Biennale 2024, una provocazione inattuale

6 Maggio 2024

Foreigners Everywhere / Stranieri Ovunque, la 60° Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, appena inauguratasi e destinata a durare fino a novembre 2024, non è teatrale, non è trendy, non è cool. 

In fondo nel suo intento di dare visibilità all’arte di soggetti rimasti sinora marginali – il rifugiato, lo straniero, il queer, l’outsider e l’indigeno – non è neppure così originale: prima del suo curatore Adriano Pedrosa, altri direttori di Biennali di arte e di architettura avevano già affrontato analoga tematica.

Si tratta però di una Biennale sincera. Lo si avverte nelle parole, parche ma risolute, con cui Pedrosa – brasiliano, direttore artistico del Museo d’Arte di Sao Paolo – l’ha presentata durante la conferenza stampa: “Sono il primo curatore del global south, quindi ho dovuto pensare strategicamente”. E ancora: “questa mostra è una provocazione”.

In effetti la provocazione c’è. E non risiede dunque nel riferimento allo straniero che vive tra noi e che, come sostiene il curatore, tutti siamo.

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Bordadoras de Isla Negra, Untitled, 1972, 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere, 60th International Art Exhibition, Photo by Marco Zorzanello, Courtesy La Biennale di Venezia.

A sconcertare il pubblico, a partire da quello degli esperti, è piuttosto il fatto che la mostra sia disseminata di opere delle First Nations del global south; forme di espressione spontanee legate a culture locali; ad artisti autodidatti o depositari di linguaggi tradizionali, indigeni e folk ereditati all’interno della comunità o addirittura della famiglia.

Queste opere, tendenzialmente straniere al sistema dell’arte, hanno uno spazio ampissimo sia nella parte di mostra che si svolge all’Arsenale, sia in quella dei Giardini. Così Pedrosa mette in discussione la stessa categorizzazione che vede arte colta e arte tradizionale e folcloristica separate, la prima legittimata a salire sui grandi palchi dell’arte contemporanea, quello rappresentato dalla Biennale in primis, la seconda subalterna, confinata al locale.

Si può dissentire con questa scelta, ma non se ne può mettere in dubbio la chiarezza: occorre riscrivere la storia, mettendone in discussione la versione dominante perché queste forme di espressione rappresentano una storia parallela vera e propria. Sono da sempre una sorta di presenza assente, alla quale ora è giunto il momento di dare spazio. 

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Gabrielle Goliath, Personal Accounts, 2024, 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere, 60th International Art Exhibition, Photo by Matteo de Mayda, Courtesy La Biennale di Venezia, photo by Matteo de Mayda, Courtesy La Biennale di Venezia.

Pedrosa si presenta come soggetto implicato, deciso a farlo. Ha perseguito questa scelta ostinatamente, viaggiando tra America Latina, Asia, Africa, Medio Oriente, Nuova Zelanda.

Dall’idea di sottrarre all’arte contemporanea di matrice occidentale la sua esclusiva facendo riemergere altre forme di espressione, resuscitando i loro autori alla nostra coscienza, deriva tutto il resto compreso la presenza di alcune sezioni storiche e il fatto, poco usuale per una rassegna fortemente orientata verso la stretta contemporaneità, che una percentuale molto alta degli artisti in mostra – oltre un terzo – non viva più. 

Nell’Arsenale, all’entrata delle Corderie, a comparire per prima a mo’ di statement è la scritta al neon del duo Claire Fontaine “Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere”: una delle sessanta versioni in lingue diverse che punteggiano l’insieme. Segue immediatamente l’installazione di dimensioni ambientali del collettivo femminile maori Mataaho di Aotearoa/Nuova Zelanda: una trama di fasce che copre lo spazio evocando una capanna e una culla. La tecnica con cui l’opera è realizzata è antica e si tramanda per via matrilineare. Il gruppo Mataaho è stato premiato come migliore partecipazione alla mostra centrale. Dopo il loro lavoro compare la figura di un solitario astronauta – pellegrino carico di oggetti terreni e vestito di tessuti batik come se si trattasse di una seconda pelle. È l’opera dell’anglonigeriano Yinka Shonibare, che da sempre utilizza questa lavorazione tessile come emblema dei colonialismi del mondo e delle loro complessità.

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Bouchra Khalili, The Constellations series, 2011, 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere, 60th International Art Exhibition, Photo by Marco Zorzanello, Courtesy La Biennale di Venezia.

È così che Pedrosa ci introduce, tra l’altro, al tema della lavorazione tessile, intesa nella sua varietà di tecniche; tecniche che, alternandosi con la pittura, ricorrono per tutta la mostra con la frequenza di leitmotiv. Evidentemente il curatore considera queste pratiche estetiche come capisaldi dell’arte tradizionale e ha proprio scelto di fare il punto sulle forme di espressione a esse legate.

E infatti dopo il viandante di Shonibare ecco apparire una strepitosa tela ricamata, lunga quasi otto metri, risultato del lavoro collettivo delle Bordadoras de Isla Negra: un gruppo di donne cilene che fondono la rappresentazione della propria isola con quella del Cile intero, delle sue attività e dei suoi abitanti; tra gli altri personaggi qui compare la figura di Pablo Neruda. L’opera fu realizzata a grande velocità nell’ambito di un’iniziativa rimasta epica: quella di riempire di opere d'arte il Palazzo della UNCTAD III, fatto costruire a Santiago del Cile dal presidente Salvador Allende. Lo sforzo era teso a evidenziare il ruolo della cultura come strumento di lotta politica e di emancipazione.

Il tessuto scomparve nel 1973, con la presa dell’edificio da parte di Pinochet, che ne fece un proprio quartier generale. Sopravvisse, però, e ricomparve fortunosamente nel 2019, venendo reintegrato nell’edificio. Oggi in mostra se ne constata la straordinaria vitalità.

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Lydia Ourahmane, 21 Boulevard Mustapha Benboulaid (entrance), 1901-2021, 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere, 60th International Art Exhibition, Photo by Marco Zorzanello, Courtesy La Biennale di Venezia.

La mostra curata da Pedrosa si sviluppa poi, con opere di artisti che si muovono tra diverse sessualità e generi. Molti provengono da contesti in cui le figure queer sono perseguitate e messe al bando. Altri artisti sono outsider, o autodidatti, o folk, o popolari; in molti casi sono indigeni, e paradossalmente proprio per questo tendono a essere trattati da stranieri nella propria terra.

Ci sono anche artisti attenti alle tematiche dell’estraneo, dello strano e dello straniero, ma più familiari alla scena contemporanea internazionale; per esempio Gabriele Goliath, Bouchra Khalili, Lydia Ourahmane, Teresa Margolles, Sol Calero, Alessandra Ferrini, Karimah Ashadu. 

Alle Corderie c’è una sezione speciale dedicata al Disobedience Archive, l’archivio di Marco Scotini che dal 2005 raccoglie video incentrati sulle relazioni tra pratiche artistiche e attivismo.

Ma comunque la parte contemporanea della mostra risulta intercalata da ampie sezioni storiche, forse tra i momenti più densi e interessanti.

I nuclei storici sono dedicati di volta in volta a espressioni di matrice specifica. Uno, per esempio, è composto da opere legate ai modernismi provenienti dall'America Latina, dall'Africa, dal Medio Oriente e dall'Asia. Si tratta di un esercizio curatoriale speculativo volto a mettere in discussione i confini e le definizioni dell’arte del XX secolo.

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Teresa Margolles, Tela Venezuelana, 2019, 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere, 60th International Art Exhibition, Photo by Matteo de Mayda, Courtesy La Biennale di Venezia.

Un altro, nel Padiglione Centrale, è dedicato alle Astrazioni così come si sono andate sviluppando in molti paesi del mondo, dall’Argentina, alla Aotearoa/ Nuova Zelanda, al Brasile, al Cile, alla Colombia, Cuba, Egitto, Filippine, Guatemala, India, Indonesia, Iraq, Giordania, Libano, Messico, Marocco, Pakistan, Palestina, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Sudafrica e Turchia.

Un nucleo torna su opere di matrice esplicitamente queer – e qui il tema è la singolarità complessa, la libertà di scegliere chi essere, e anche eventualmente come ridisegnare il proprio corpo; un’altra è dedicata ai ritratti e alle rappresentazioni della figura umana. Quest’ultima sezione prende la forma classica di una quadreria. La maggior parte dei lavori ritrae personaggi non caucasici. Sono centinaia gli sguardi da ricambiare, tutti vitalissimi.

Interessante la sezione dedicata all’Italia, o meglio agli artisti italiani che per svariate ragioni hanno lasciato il paese, costruendo un proprio percorso in altre parti d’Europa o in Africa, Asia, Stati Uniti, e soprattutto in America Latina, in Brasile e in Argentina. Stranieri anche loro, dunque. Molti si sono inseriti nelle culture locali, ne hanno subito la profonda influenza, anche contribuendo allo sviluppo di narrazioni moderniste locali. Le opere di questa sezione sono esposte sui bellissimi cavaletes de vidro di Lina Bo Bardi, visionaria architetta, designer italiana trasferitasi anch’essa in Brasile nel 1946. In questa sezione c’è anche un disegno di Anna Maria Maiolino, approdata dalla Calabria in Venezuela negli anni Cinquanta, poi in Brasile nel 1960, dove vive da allora.

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Sol Calero, Pabellón Criollo, 2024, 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere, 60th International Art Exhibition, Photo by Matteo de Mayda, Courtesy La Biennale di Venezia.

Maiolino ha anche realizzato, in un piccolo edificio in fondo all’Arsenale, una grande installazione composta da un’infinità di sculture di argilla, che erano ancora fresche al momento dell’inaugurazione, e poi si andranno modificando nel tempo: un lavoro frutto di una sensibilità per i materiali elementari e per l’espressione gestuale, e capace di parlare di tempo, di corpo, di precarietà.

La Biennale ha riconosciuto a Maiolino il Leone d'Oro speciale alla Carriera. L’altra figura insignita di questo onore è stata Nil Yalter, l’artista turca nata al Cairo e poi trasferitasi a Parigi, radicale pioniera del movimento artistico femminista sempre attenta a tematiche politiche e sociali. Una configurazione nuova di una grande installazione di Yalter, Exile is a Hard Job, apre la mostra ai Giardini. 

Tornando alla mostra nel suo insieme: l’allestimento è semplice, classico, rigoroso, caratterizzato da un certo senso di simmetria; con i quadri alle pareti e le opere di dimensioni maggiori e di carattere scultoreo o installativo a segnare il centro tra una campata e l’altra, soprattutto nell’Arsenale. La compartimentazione fondamentale è dunque quella determinata dallo spazio stesso. L’insieme è lineare e riposante rispetto alle biennali del passato.

Le opere contemporanee, però, si perdono talvolta nella profusione di pittura e opere tessute. Non solo, ma anche queste ultime, spesso radicali nel significato, senza sistematizzazione e senza contesti corrono il rischio di contribuire a una sorta di caleidoscopio che rende forte il senso di pluralità, ma neutralizza invece la specificità della situazione e del progetto. Il rischio, insomma, è che artisti diversissimi tra loro finiscano semplicemente per rappresentare la macrocategoria individuata da Pedrosa, quella dello “straniero”.

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Alessandra Ferrini, Gaddafi in Rome: Anatomy of a Friendship, 2024, 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere, 60th International Art Exhibition, Photo by Matteo de Mayda, Courtesy La Biennale di Venezia.

A questa considerazione se ne aggiunge un'altra: sì, coraggiosamente, il curatore ha contravvenuto alle aspettative del pubblico e del mondo dell’arte; e sì, ha sostenuto con chiarezza la propria posizione: solo a partire da una nuova comprensione di ciò che, nell’arte come nella società, è sempre stato trascurato, si può ripartire. 

Sì, questa posizione equivale a una critica profonda nei confronti del modo in cui il sistema culturale ha sempre classificato le forme di espressione. L’urgenza, dice Pedrosa, è rifondare il nostro sguardo sulla storia.

Nondimeno, in questa biennale impressiona la quasi totale assenza di presa diretta rispetto agli eventi in corso nel mondo, un mondo che sta esplodendo. Così come manca un rilancio in avanti.

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Karimah Ashadu, Machine Boys, 2024, 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere, 60th International Art Exhibition, Photo by Andrea Avezzù, Courtesy La Biennale di Venezia.

Per una rassegna biennale, dalla quale normalmente ci si aspetta un coinvolgimento, un punto della situazione e una prospettiva in avanti, è una scelta piuttosto peculiare.

In copertina, Nil Yalter, Exile is a hard job, 1983-2024, 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere, 60th International Art Exhibition, Photo by Matteo de Mayda, Courtesy La Biennale di Venezia.

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