Georges Perec

9 Maggio 2012

Riga, una collana che avvicina ai grandi innovatori del Novecento

 

Riga è nata nel luglio del 1991 senza nessun particolare programma. Volevamo piuttosto fare la rivista «che ci sarebbe piaciuto leggere». Una rivista dedicata al contemporaneo, ad autori e temi che ci sembravano rilevanti nel corso dell’ultimo secolo, ma non solo. Una rivista che conservasse la memoria del passato, e insieme che si protendesse sul futuro.

 

Marco Belpoliti, Elio Grazioli

 


 

Può darsi che La vita istruzioni per l’uso non sia più “l’ultimo vero avvenimento nella storia del romanzo”, come l’ha definita Italo Calvino, di certo l’opera di Perec nato nel 1936 e morto 1982 a soli 46 anni, resta una delle più significative degli ultimi anni e comincia a essere conosciuta ampiamente anche in Italia.
Dai romanzi e racconti, così come dalla miriade di articoli, noterelle, inventari, tentativi di descrizione, poesie, che vengono ora raccolti in volume, emerge finalmente l’immagine complessa del lavoro di Perec e la figura di uno scrittore che porta, per eccesso di minuzia, la rappresentazione del mondo che lo circonda fino all’iperrealismo.

 

Un intreccio di vicinanza e distacco cui contribuiscono anche i mezzi formali elaborati dall’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle) di Raymond Queneau e François Le Lionnais, che Perec ha saputo assumere e manipolare in modo da mantenere il vissuto quotidiano a distanza sufficiente per descriverlo e trasformarlo in materiale di gioco senza tuttavia che in esso cessino di tralucere le promesse di senso dell’esplorazione «endotica» e i riverberi tragici della Storia e del destino personale. La versatilità sistematica che ne deriva, poi, riesce a tracciare un paradossale percorso autobiografico obliquo, nel quale ciò che è più personale viene raccontato per mezzo di ciò che è più comune, a una generazione, a una città, a un’epoca.


 

È questa parte del lavoro di Perec che Riga ha scelto di mettere al centro della sua riflessione, quella che passa dalle cose, si sofferma sugli spazi e si risolve nella descrizione. Lo spazio «non è mai mio», scrive, «mai mi viene dato, devo conquistarlo», è un problema, un dubbio, deve essere continuamente individuato, designato. Le cose, gli oggetti, così come i rituali della vita della grande metropoli, i gesti, i «luoghi comuni» divengono gli elementi con cui «cercare miracolosamente di trattenere qualcosa, di far sopravvivere qualcosa: strappare qualche briciola precisa al vuoto che si scava, lasciare da qualche parte un solco, una traccia, un marchio, qualche segno».

 

La descrizione - o i suoi sostituti: l’enumerazione, l’elenco, l’accumulo - occupa quasi per intero la scena, ma anziché impoverire la narrazione imponendosi come unico soggetto, si articola, come accade ne La vita istruzioni per l’uso, fino a diventare la cornice che include in sé l’intero libro - la descrizione di un unico istante dell’edificio di Rue Simon-Crubellier 11 - e, nel contempo il motore che trascina nei singoli capitoli la miriade di raccontini che bruciano in poche pagine un’intera vita.
È del resto qui la contrainte, la costrizione formale oulipiana, è men che mai vincolo subito, ma, legata com’è al reale e al vitale, mostra pienamente il suo originale carattere di forma complessa capace di raccogliere quelli e al tempo stesso di individuare e moltiplicare i punti di orientamento così come i rimandi del senso.

 

La contrainte di Perec è vista da Riga come una possibile altra forma di quella sfida (giacomettiana per antonomasia) del fare che non è mai riduzione o fallimento ma sempre crescita umana, proprio perché legame indissolubile tra arte e vita.
Con la consueta scansione si incontrano nelle pagine di Riga testi inediti o trascurati dall’autore, insieme alla sua voce trascritta in interviste e conferenze. In particolare viene documentato l’interesse di Perec per le cose, risalendo alle parodiche «recensioni» egli oggetti di culto e dei comportamenti alla moda negli anni Sessanta - scritte pochi mesi dopo Le cose - e arrivando fino alla dichiarazione di puro e semplice amore per fabbricare oggetti da cima a fondo, «oggetti che si prova piacere a prendere tra le mani», su cui si conclude la conferenza del 1981. così lo spazio e la sua descrizione si trovano al centro degli scampoli di trascrizioni «infraordinarie» delle minime variazioni degli ambienti familiari dei Luoghi, guardati con lo sguardo straniato della indagine etnologica o ricordati nei tentativi di ricostruzione autobiografica indiretta. Allo stesso modo l’attenzione per lo spazio domina le sparse osservazioni sulla descrizione, dell’ultimo periodo, che contengono, incastonata, la lettura di un testo tra i più sofisticati di Perec nel descrivere un ambiente minimo - la sua scrivania - e le quasi impercettibili variazioni che il lessico mostra nella sua speculare ripetizione en abîme, come rileva Valerio Magrelli nella sua traduzione e nella nota che la correda.


Sugli inganni della visione, sul potere di illusione delle immagini insiste poi il saggio sul trompe-l’oeil, dichiarazione di poetica oltre che scrittura sul guardare e il rappresentare, che è anche, in forma di analisi del fare, il problema da cui parte la conversazione intorno all’esperienza di lavoro con alcuni pittori, alle possibili analogie formali con le parole scritte di ciò che essi fanno nelle arti visive. Alle «regole rigorose», allo sfondo dell’OuLiPo, al puzzle e al gioco, alludono, invece, il Viaggio d’inverno tradotto e commentato da Gianni Celati, e il componimento oulipiano di Italo Calvino che apre il numero.


Il gruppo di interviste – tutte degli ultimi anni – provvede ad una analitica informazione, che ancora mancava in lingua italiana, sulle ragioni, i riferimenti, le idee-guida, gli autori e i problemi della poetica di Perec.
La sezione degli interventi critici comprende, quindi, due principali raggruppamenti di testi. Al primo appartengono il «catalogo» della vita e delle opere di Perec stilato dall’amico Harry Mathews, la simpatetica disamina critica de La vita istruzioni per l’uso di Calvino, la ricostruzione – lontana dell’aneddoto – della nascita di Perec scrittore nelle parole di uno dei suoi primi maestri, Jean Duvignaud, e la messa a fuoco di una comune propensione per «ciò che passa» nel saggio del suo amico e compagno di avventure editoriali Paul Virilio. Più distante rispetto ai contributi degli amici, ma eco cifrata di un dialogo segreto, la rievocazione dello psicanalista Jean-Baptiste Pontalis.


Del secondo raggruppamento fanno parte, poi, i saggi di alcuni studiosi, che attingono a un’enciclopedia di saperi che apparenta la letteratura, tra gli altri, alla filosofia, alla psicanalisi, alla semiotica, e che contornano più da vicino i temi sui quali è incentrato questo volume: gli oggetti, l’ossessione di classificazione ad essi legata (Eleonora Bertacchini) e l’abisso sul quale si protende la scrittura che li enumera e descrive (Daniel Gunn); lo spazio e la descrizione, nelle loro istruzioni per l’uso e la modalità di funzionamento (Sandra Cavicchioli) come nel problema di una teoria della raffigurazione (Santino Mele); e, in conclusione, la risoluzione imperfetta della tensione tra compiutezza e inafferrabile che intorno ad essi si mostra (Andrea Borsari).


Aprono il numero, come è consueto per Riga, testi poetici e narrativi di Italo Calvino, Luigi Grazioli e Marco Belpoliti, mentre lo chiudono, infine, alcune fotografie di Luigi Ghirri e il suo scritto Atlante dedicato ai viaggi sulle carte geografiche, il contributo di uno sguardo certo non estraneo alle intenzioni di Perec.

 

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