Longley: l'Irlanda, l'amore e la guerra

20 Marzo 2024

Una nuova selezione della poesia di Michael Longley – Il maestro del lume di candela (a cura di Piero Boitani e Paolo Febbraro) è uscita alcuni mesi nella collana Lo Specchio. Il titolo è quello della penultima raccolta del 2020. Del grande poeta irlandese erano disponibili un’antologia – Lucciole alla cascata (a cura di Roberto Bertoni e di chi scrive, Trauben, 2005) e la raccolta Angel Hill (a cura di Paolo Febbraro, Elliot, 2019). Premio Librex Montale nel 2006, Premio internazionale di poesia Antonio Feltrinelli due anni fa, destinatario di numerosi, prestigiosissimi riconoscimenti internazionali, tra i quali il T.S.Eliot e il Pinter Prize, Longley ha ricevuto il 15 marzo il Premio Internazionale Fondazione Roma. 

È ben augurante, per le fortune della poesia irlandese in Italia, che Mondadori abbia nello stesso anno ristampato, nel decennale della sua scomparsa, anche la selezione delle poesie di Seamus Heaney, inclusa nel Meridiano uscito nel 2016. I due poeti, legati dall’amicizia di una vita, formano, insieme a Derek Mahon, la terna straordinaria di quel revival letterario che a partire dalla fine degli anni ’60, in Nord Irlanda, ha contribuito ad avviare la trasformazione di una società chiusa e settaria riscattandola dall’apartheid culturale (parole di Longley) in cui le due comunità che la componevano erano vissute per secoli. 

Nato nel 1939 a Belfast da genitori inglesi, in un Ulster profondamente diviso lungo linee di appartenenza etnica e confessionale, Longley scopre la poesia al liceo e questo interesse si confermerà una delle ragioni prime di vita al Trinity College di Dublino, che frequenta tra il 1958 e il 1962. A Trinity, Longley conoscerà Derek Mahon, un incontro decisivo nel suo apprendistato poetico sia dal punto di vista dell’acquisizione degli strumenti tecnico-formali sia sul piano della discussione quotidiana sulla poesia moderna e contemporanea. “Insieme con il fumo delle sigarette – scriverà – respiravamo Crane, MacNeice, Thomas, Yeats, Larkin, Hughes, Stevens, come pure Rimbaud, Baudelaire, Rilke, così, alla rinfusa”. Studente di lettere classiche, Longley ha la fortuna di approfondire, sotto la guida di docenti straordinari, lo studio della poesia greca e latina, iniziato nella scuola secondaria. Una passione che ritornerà alla fine degli anni ’80 a rivitalizzare la sua poesia dopo un lungo periodo di silenzio. Una funzione particolare avrà l’epica omerica, che Joyce in Ulysses aveva utilizzato, senza timori reverenziali, per lo schema e i riferimenti simbolici della giornata del suo moderno Ulisse, Leopold Bloom. Con i poemi omerici, letti inizialmente attraverso la lente di Joyce, Longley sperimenterà agli esordi – ne sono testimonianza “Odyssey”, “Nausicaa” nella prima raccolta – saggiando la tecnica che andava acquisendo, e a Omero ritornerà, dopo la crisi, per sfruttarne a pieno e in modo originale la vena inesauribile di miti, simboli e modelli. Iliade e Odissea, come pure la tradizione greca e latina, rimarranno fonti di ispirazione, riserva dell’immaginario, e strumento essenziale per gestire in poesia il tema della guerra e della morte. Materia, questa, associata in particolare alla figura del padre, soldato nel primo e secondo conflitto, e, in ambito poetico, alla lezione di modelli quali Edward Thomas, Isaac Rosenberg, Wilfred Owen, poeti che dalla loro esperienza al fronte avevano tratto versi memorabili, denunciando la retorica del “dulce et decorum est pro patria mori” e che rimarranno per Longley punti di riferimento costanti, ispiratori di numerose poesie. La riflessione sulla guerra, elaborata attraverso Omero e unita all’antimilitarismo dei poeti citati, avrà una sua necessità cogente poiché fornirà al poeta quell’armamentario intellettuale e poetico indispensabile ad avviare una sua particolare meditazione sul fenomeno della violenza, così pressante nella sua comunità, e una propria ponderata risposta alle uncivil wars che scuoteranno l’Ulster per più di un trentennio. 

In una delle sue lezioni in qualità di Ireland Professor of Poetry nel 2009, Longley ha ironicamente confessato “di essere perseguitato da Omero da 50 anni”. In realtà, si tratta di un assillo necessario ad affrontare altre ossessioni. Le scene dell’ Odissea, ha detto Longley in un’intervista a Peter MacDonald nel 1998 “ combaciavano con emozioni che avrei trovato quasi impossibile affrontare altrimenti: dolore straziante, paranoia, amarezza, odio, paura. Omero mi ha dato un nuovo vocabolario emotivo e psicologico”. 

Non c’è migliore dimostrazione del potere generativo della poesia omerica, in relazione alla tragedia in corso in Irlanda, del sonetto “Ceasefire”, pubblicato sull’Irish Times ad agosto del ’94 quando correva voce di un imminente cessate il fuoco da parte dell’IRA, primo segnale di un percorso accidentato che avrebbe portato, nel 1998, all’accordo del Venerdì Santo. Vi si rievoca la vicenda di Priamo, che si reca da Achille per chiedergli la restituzione del corpo del figlio, Ettore, ucciso dal Pelide. Episodio che, secondo Longley, è l’anima del poema. Eccolo nella versione di Paolo Febbraro, che ha curato in modo impeccabile gran parte delle traduzioni :

n

Cessate il fuoco

I

In mente il suo stesso padre, mosso al pianto,
Achille prese il vecchio re per mano e piano 
lo scostò da sé, ma Priamo si raccolse ai suoi piedi
e pianse con lui colmando la tenda di mestizia.

II 

Preso il corpo di Ettore fra le sue braccia Achille
si assicurò che fosse lavato e rivestito intorno
delle armi. Che Priamo lo potesse riportare a Ilio
adorno come un dono, al primo scoccare del giorno.

III

Quando ebbero mangiato insieme, fu loro grato
come agli amanti mirare l’un dell’altro la bellezza,
Achille simile a un Dio, Priamo nobile d’aspetto
e conversevole, lui che tra i singhiozzi aveva detto:

IV

“Piego le mie ginocchia, acconsento al destino
e bacio la mano che ha ucciso mio figlio.

Altro tema, collegato alla riflessione sulla violenza e la guerra, che affiora nel 1986 è quello della Shoah. A seguito di una visita al Museo dell’Olocausto di Montréal, una foto di violini appesi in una stanza nel ghetto di Theresienstadt gli detta “Terezin”, un distico: “Nessuna stanza è stata mai così silenziosa/ come quella In cui centinaia di violini sono appesi all’unisono”. Longley riscopre nell’occasione anche le sue radici ebraiche per parte di madre. L’Olocausto costituirà una persistente preoccupazione come confermano numerosi componimenti contenuti nelle ultime due raccolte, tra questi “La domanda di Primo”:“Come puoi uccidere milioni di persone/nel cuore dell’Europa e non saperlo?” Come Heaney e Mahon, e come ogni poeta che si rispetti, Longley ha riflettuto sul proprio mestiere e sui doveri del poeta. In particolare, sulla funzione della poesia davanti al male. In un’intervista a chi scrive nel 2006 ha affermato: “Lungi dal non esserci più spazio per la poesia dopo Auschwitz, come sosteneva Adorno, essa deve essere in grado di gettare il suo sguardo su quanto c’è di peggio (“a full look at the worst”) e quel peggio per noi è Auschwitz. Altrimenti non ha ragione di essere”. 

Gli altri tre temi profondi che lo stesso Longley dichiara essere quelli cardinali della sua ispirazione sono: “una lunghissima poesia d’amore, una lunghissima poesia ispirata alla natura e una poesia giocosa sull’arte poetica”. Essi sono tutti presenti sin dalla prima raccolta, No Continuing City, del 1969. I fili di queste tematiche spesso si intrecciano: la poesia d’amore, anche nella sua dimensione esplicitamente erotica, con quella di natura e naturalmente con l’approccio giocoso e amicale. “Le poesie di Longley”, ha scritto Seamus Heaney,” considerano i fenomeni del mondo naturale con il ponderato piacere del dito di un amante che vaga sull’ accidentato sentiero delle vertebre”. La poesia di Longley è, infatti e sempre secondo Heaney, contraddistinta da un’esplicita “musica erotica dominante”. Heaney sta parlando qui della sequenza “Botany”, composta di quattro quartine dedicate ad altrettante piante (lemna, digitale, lapazio, orchidea) per arrivare a una poesia, “The Linen Industry” , purtroppo non inclusa in questa selezione, che egli definisce una delle più belle poesie d’amore di Longley. Heaney vi legge anche, a sottolinearne la polivalenza semantica, il legame storico tra il potere industriale di Belfast fondato proprio sull’industria tessile e la sua politica maschilmente bellicosa e intransigente, che “rifiutava l’elemento femminile simboleggiato dalla terra d’Irlanda”. Il tema dell’amore non è soltanto centrale e pervasivo, ma si può a ragione definire pilastro strutturale delle altre aree tematiche. L’amore è quello che lo lega dagli anni universitari a Edna Broderick Longley, una delle critiche letterarie più autorevoli in Irlanda e in Gran Bretagna, e sua prima lettrice. A lei è dedicata la prima raccolta, No Continuing City del 1969, che si apre con “Epithalamion”, poesia che il poeta volle anche in apertura dei Collected del 2006. All’amore per Edna è ispirata una sequenza, nella seconda raccolta, composta da “The Rope-Makers”, “Love Poem”, “Swans Mating”, “Galapagos”: “Ora ti sei sparpagliata in isole –/ seni, pancia, ginocchia, monte di Venere / tutte Galapagos della mente”. In Angel Hill, il poeta rievoca, con un’autoironia che è anch’essa un tratto della sua arte, lo scambio epistolare da fidanzati: “Le mie lettere d’amore erano persino più libidinose /di quelle di Apollinaire a Madeleine dal fango del fronte” (“Fidanzamenti”). 

Il motivo dell’amore coniugale, intrecciato a quello dell’interesse ecologico, attraversa tutta l’opera. Nella penultima raccolta eponima, la poesia “Et”, sull’uso particolare della congiunzione nella poesia di Properzio, oltre a essere un’altra originalissima poesia d’amore, conferma la condivisione degli interessi e l’acume critico della compagna: “Fosti tu a segnalarmi l’et/nelle elegie d’amore di Properzio,/come prevalga e sottintenda,/separi e unisca – una parola ambigua/ Et rappresentava la poesia e te e me/ che traducevamo dal latino erotico/ ‘Cupido’ e un’amica naufraga”.

Amore e eros, destinati a essere sempre presenti nei versi, fino all’ultima raccolta The Slain Birds del 2022:

n

Nidi

Quando muoio voglio che tu mi chiuda gli occhi
e per sempre scruti nello spazio dell’anima
come una volta nel nido dell’allodola
riposto accanto al pozzo a Carrigskeewaun
o, da sotto, il nido delle rondini precario
nel portico di casa, e te calma invece,
o il nido del germano nella paludosa Claggan
nascosto tra gli iris selvatici sotto il cielo
e te assorta nel contare le uova.

A contare le uova al suo fianco è sempre Edna, ispiratrice e protagonista di versi tra i più alti della poesia d’amore del Novecento, come i seguenti:

Schiuma

E ora da vecchio ricordo l’amore
che facemmo sulle dune di Thallabaun
non troppo lontani dalla tana del tasso
e poi nuotammo nudi ad Allaran Point
scavalcando le orme di lontra, preservando
segni di vita, spuma tra le dita dei piedi.

L’avvio del tema ecologico naturalistico, forse anche generato dall’impatto del libro spartiacque di Rachel Carson The Silent Spring, del 1962, che poneva al centro del dibattito la difesa ecologica come la questione centrale del nostro tempo, è dato nella prima raccolta da due poesie: “The Ornithological Section” e “Journey out of Essex”, dedicata a John Clare, il poeta contadino dell’Ottocento considerato un maestro della poesia di natura. Il titolo è quello del resoconto scritto dal poeta stesso della sua fuga dal manicomio di Essex nel 1841, diretto al suo villaggio natale, Helpston, di cui riportiamo le prime due strofe:

Via dall’Essex

Sono disteso con la testa
sopra il confine del mondo.
sfilando via i miei recapiti
con il nome dell’istituto
che hanno cucito sui lenzuoli.

Ora indisposto per il maltempo
o per un virus preso in palude
dissolvo in una pozzanghera
le mie biografie degli uccelli
e i nomi dei fiori.

Di uccelli e fiori saranno affollati i versi di Longley e il suo immaginario lungo tutto il corso della sua carriera. L’universo naturalistico percorso in lungo e in largo è quello del distretto di Carrigskeewaun nell’ovest irlandese, il locus amoenus che Longley e la moglie scelgono negli anni Sessanta per appagare il comune interesse per la natura e, per quanto riguarda il poeta, ritemprarsi dalle tensioni derivanti dal lavoro di funzionario o, come si definirà nella poesia dedicata a Otomo Yakamochi , di “minor bureaucrat” dell’ Arts Council del Nord Irlanda, cui era approdato dopo il ritorno a Belfast. Carrigeeskewan costituirà negli anni insieme un rifugio creativo e una riserva inesauribile di emozioni. Significherà inoltre la scelta implicita di dirsi figlio di quella terra, l’Irlanda, lui nato da genitori inglesi, riscoprendone la poesia (Si veda la resa di “Il lamento della madre” del grande poeta in gaelico Peadar Ó Doirnín o “Proseguendo Amergin” , un riverbero della primissima poesia irlandese), valorizzandone la musica, riflettendo sulla sua storia coloniale, appropriandosi dei reperti di gaelico ancora conservati nella lingua del posto e nei toponimi, sempre consapevole dei segni della storia, dai tumuli sepolcrali ai seminativi abbandonati dal tempo della grande carestia. 

Mentre Heaney e Mahon lasciarono l’Ulster negli anni ’70, Longley rimase a Belfast durante il trentennio dei Troubles, impegnato in un lavoro estenuante, volto all’improba impresa di sgretolare le barriere settarie, incoraggiare il dialogo e il reciproco riconoscimento e sostenere i giovani artisti. Un’impresa che riesce a portare avanti con un certo successo ma che paga con 12 anni di silenzio. Poco prima della crisi, nella quarta raccolta, aveva composto delle elegie alle vittime della violenza settaria in corso, tra queste il trittico intitolato “Corone”, o l’ancora più nota “Il gelataio”, la poesia dedicata al gelataio cattolico ucciso dall’IRA nel suo quartiere, componimenti che per il poeta hanno, come egli dice in A Wide Expanse “una qualche importanza tra le poesie scritte sui Troubles”. Alla figura del gelataio, George Larmour, ritorna Longley nella penultima raccolta con “Flower-Names”. 

Longley è consapevole che il poeta deve rispondere ai tragici eventi che colpiscono la comunità, ma deve anche sapere che, se fallisce, il risultato sarà una “tragica impertinenza”. Come egli afferma in Tuppenny Stung : “In un contesto di violenza politica dispiegare parole il più possibile precise e suggestive rimane uno dei pochi antidoti alla disonesta mortifera”. Si tratta di un principio importante, condiviso da Heaney e Mahon, che offre il destro per parlare della funzione dell’epos cui si ispirano tanti componimenti. La riproposizione di episodi tratti dai poemi omerici consente al poeta di avvicinarsi a una materia – la violenza e il male – ribollente nel qui e nell’ora, di nominarla, mettendone a fuoco alcuni aspetti da una distanza di sicurezza così da non rimanerne abbacinato. Questo accade, nella raccolta eponima, con “Guerra” (sulla morte di Polidoro per mano di Achille), “Gloria” (sulla furia sanguinaria e inarrestabile di Achille) e, nell’ultima raccolta, “Banchetto”, in cui è descritta la strage dei Proci per mano di Ulisse. Ma già prima, nella raccolta The Weather in Japan, vi è una poesia, “I cavalli”, che è, a ben vedere, una condanna senza appello della violenza bellica. I cavalli sono quelli di Achille che piangono Patroclo: “Immobili come pietre tombali, le teste chine/davanti al carro affusolato e immoto,/calde lacrime cadono dalle ciglia a terra/perché sono ancora in lutto per Patroclo,/ il loro auriga, sotto il giogo su ambo i lati/ le lucenti crinieri inzaccherate”. Una poesia che sta sullo stesso intenso livello di pregnante significatività de “I cavalli di Achille” di Kavafis. “Il tragico guasto” che provoca il pianto e lo sdegno dei destrieri immortali, “l’irrevocabile sventura della morte”, come dice Kavafis, sono prodotti da un uso violento e spietato della forza. Questa poesia illumina il complesso rapporto del poeta con la poesia omerica, che nasce come raffinato esercizio letterario ma che si rivelerà ambito di riflessione e strumento di conoscenza. Longley non è l’Omero irlandese, come è stato definito, né tantomeno un discepolo “stregato”, ma un interprete sagace, capace di rendere nostro contemporaneo il poeta antico. La lettura che Longley ne dà, soprattutto per quanto attiene al tema della violenza presente nella sua comunità, è in consonanza profonda con quella, sempre attuale, che dell’Iliade offre, alla fine degli anni Trenta Simone Weil nel suo saggio “L’IIiade o il poema della forza”. Anche per Longley, il centro della questione è rappresentato dall’esercizio di un potere che si basa su un uso sproporzionato della forza, elemento che “fa di chiunque gli sia sottomesso una cosa”. Tra l’impulso e l’atto, sostiene Weil, manca il pensiero, lo spazio per la riflessione: “dove non c’è spazio per il pensiero – avverte Weil – non ce n’è neppure per la saggezza e la giustizia”. I poeti possono contribuire a trovare questo spazio creando argini simbolici con la descrizione meticolosa del mondo, uno spazio, reso più significativo e credibile dal dialogo con i classici, con Omero, nel caso di Longley, con Virgilio e Dante, in quello di Heaney. Omero, confessa Longley, “gli dette anche la forza per esprimersi indirettamente sulla guerra civile in corso (…) Odisseo avrebbe capito la profonda, ottusa violenza della nostra ignobile misera guerra civile che doveva durare trent’anni”. L’Accordo del Venerdì Santo, che nel 1998 poneva fine alla trentennale guerra civile, ha ricordato Longley nella sua prolusione ai Lincei, utilizzava una precisione e una suggestività quasi poetiche per comunicare il suo complicato messaggio. Non è azzardato affermare che alla stesura di quell’Accordo abbiano contribuito in modo determinante i versi che tennero vivo il dialogo, senza oscurare il ricordo delle vittime, ricordo indispensabile per la cura e la sopravvivenza, approntando un vocabolario in grado di contribuire ad articolare i termini della pacificazione. 

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TAGGED: Michael Longley