Speciale

Compassione

1 Gennaio 2016

Definizione

 

Il soggetto prova un sentimento di forte compassione nei riguardi dell’oggetto amato ogni volta che lo vede, lo sente o lo sa infelice per questa o quest’altra ragione, esterna alla relazione amorosa in sé.

 

Terminologia

 

Un’insegna possibile: Michelet: «Ho male alla Francia» → «Io ho male a X». Essa dice bene il senso della figura: identificazione estrema (propria del dinamismo dell’immaginario) all’oggetto, che diviene una parte, un organo del corpo del soggetto.

Diverse sono le parole possibili per questo sentimento di partecipazione intensa.

Simpatia: va bene, se in senso forte, etimologico. Ma la connotazione attuale è molto insipida. Il “vero” senso: sentimento leggero fino all’insincerità: latino, per simpatia.

Commiserazione: sarebbe questa una bella parola: “sentimento di pietà in presenza delle disgrazie di qualcuno”. Ma vi è in essa una connotazione di condiscendenza (il ricco nei riguardi del povero). Peccato perché in questa citazione da Rousseau (Discorso sull’origine dell’ineguaglianza), è indicata l’identificazione che vi è intesa: «un sentimento che ci mette al posto di colui che soffre».

Empatia: ottima, in linea di principio: “atto con cui si è consapevoli intuitivamente dei sentimenti altrui, si partecipa affettivamente allo stato soggettivo altrui”. Ma parola compromessa dalla sociologia che la tira verso il senso di “coscienza dell’altro sociale”. Bisognerebbe tornare a un senso più psicoanalitico: «la coalescenza empatica con il proprio oggetto». Cfr. Einfülung: allucinazione onirica, illusione (visuale).

 

Se ho citato queste possibilità, di cui nessuna è veramente soddisfacente (ivi compresa la parola “compassione”) è perché queste circonlocuzioni designano, in sottofondo, la parola giusta. È la parola che il soggetto stesso impiega nel suo discorso (discorso amoroso) per designare l’identificazione nella sofferenza: è la parola amore (che questa parola abbia altri sensi nello stesso discorso non imbarazza il soggetto: il soggetto se ne infischia dei “pericoli” della polisemia!).

 

La Madre

 

Il ruolo assunto dal soggetto nel corso della figura (una figura è un episodio di linguaggio) è evidentemente quello della Madre (di una madre) → sentente materno intenso nei riguardi di Piccolo-altro. È stato detto (Lacan, credo) che bisogna mettere Dio al femminile (cfr. “Pray to God: she will help us”). Circolarità dei ruoli, come nel sogno, circolarità dell’attivo e del passivo: il soggetto è come il bambino in rapporto alla Madre, ma improvvisamente (apparizione della figura) egli diventa Madre per l’oggetto.

Madre imperfetta, tuttavia, per il fatto che: è corroso(a) dalla coscienza del narcisismo inerente all’Immaginario amoroso. Infatti, al tempo stesso in cui si identifica con l’infelicità di Piccolo-altro, ciò che il soggetto vi legge è che questa infelicità ha luogo senza di lui, e che essendo infelice di per sé, Piccolo-altro abbandona il soggetto: poiché è infelice senza di me, io non conto nulla per lui (per lei). La sua sofferenza mi annulla nella misura in cui avviene senza di me.

Quindi la figura si sviluppa e termina (prima che un’altra ne sopraggiunga) logicamente con il tenersi a distanza (artificiale). Poiché Piccolo-altro soffre senza di me, perché soffrire per lui? Stacchiamo un po’ da lui (lei), impariamo ad assumere una certa freddezza → parola finale pronunciata davanti a ogni genere di morte dell’altro: Viva la vita!

 

La delicatezza

 

La “Compassione” è dunque una figura ambivalente, complessa: economia oscillante, che può risolversi in un certo compromesso etico (di condotta). Io soffrirò con Piccolo-altro, ma senza Pesare, senza perdermi. Si può dare un nome a questo sentimento-condotta, al tempo stesso molto affettuoso (originato dall’affetto) e molto controllato, sentimento che mescola insieme l’amore e le “buone maniere” (la discrezione): la delicatezza, come forma non nevrotica, civile, di compassione.

 

Poetizziamo un po’:

  1. 1) Il Convivio: Platone parla di delicatezza dei piedi di Ate (dea dello Smarrimento). Eros: un piede alato che tocca leggermente.
  2. 2) E questo aneddoto: Van Gulik (la Vie sexuelle dans la Chine ancienne): «L’ultimo imperatore degli Han Anteriori (6-1 a.C.) ebbe un certo numero di giovani amanti, di cui il più noto fu Tong Hsien. Un giorno in cui l’imperatore divideva il letto con Ton Hsien, quest’ultimo si addormentò appoggiato su una manica dell’Imperatore. Quando si chiamò il sovrano affinché accordasse una udienza, questi prese una spada e tagliò la sua manica, per non disturbare il sonno del suo favorito. Da qui il termine toan-hsieo, “tagliare la manica” che è divenuto l’espressione letterale della omosessualità maschile».
  3. (XVII secolo, trattato anonimo sulla omosessualità maschile, Toan- hsieo-piën “Atti della manica tagliata”).

 

 

Questo brano è tratto da Roland Barthes, Il discorso amoroso. Seminario a l’École pratique des hautes études. 1974-1976. Seguito da Frammenti di un discorso amoroso (inediti), traduzione e cura di Augusto Ponzio, Mimesis 2015, pp. 656, € 28,00.

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