Speciale Appennini / La montagna dei risvegli

30 Ottobre 2017

Il territorio del Reventino è un pezzo di Calabria interna solcato dai fiumi Amato e Corace. Prende il nome dall’omonimo monte (1417m), la cima più alta di una cresta sottile e armoniosa che separa queste valli dal Mar Tirreno. Alle spalle l’altopiano della Sila. 

Ho lasciato questa terra vent’anni fa alla ricerca di lavoro: quando sei giovane pensi che le cose belle siano lontane da casa tua. Questa esperienza ha scavato un solco profondo tra me e la Calabria e tutto ciò a volte mi disorienta: troppo poco per sentirmi lombardo, quanto basta per mettere in crisi la mia identità calabrese. 

Sono tornato qualche anno fa e ho trovato la mia terra profondamente cambiata: molte porte chiuse, strade e piazze ormai semideserte che si animano solo d’estate. Mi chiedo spesso se è stata la scelta giusta e se alla fine riuscirò a ritrovare quello che cerco. 

 

Ma poi penso che un futuro deve pur esserci per posti come questi, e devo provare a immaginarlo.

 

 

Bisogna essere un po’ folli e un po’ poeti per dare forma ai sogni, per guardare oltre quelle porte, per immaginare ancora una comunità. La nostra terra ha bisogno di poesia, lo dico da sempre, non di un Ponte sullo Stretto o di grandi opere, ma di un’idea diversa di sviluppo.

Per decenni abbiamo inseguito quello industriale, imitando anche su piccola scala modelli lontani da noi. La conseguenza è stata disseminare l’intero territorio calabrese di impianti industriali dismessi, capannoni chiusi, attività mai aperte, sprecando risorse economiche importanti. Milioni di euro gettati al vento in opere pubbliche inutili, o finiti nelle mani di pochi che non sono stati capaci di utilizzarli. 

Per salvare un territorio occorre leggerlo, come si fa con un libro. 

 

 

L’errore che commettiamo spesso è di volerlo cambiare senza provare neppure a guardarlo, nella pretesa di conoscerlo. E invece continuiamo soltanto a lusingare noi stessi, proiettando su ciò che ci circonda il nostro piccolo universo personale, nella convinzione che tutto ruoti intorno a noi. 

Qualcosa sta lentamente cambiando. Nell’estremo tentativo di salvare la bellezza, negli ultimi anni un pezzo di società si sta muovendo. È il mondo delle associazioni che sta segnando la direzione: si edifica collaborando, costruendo una rete e superando le divisioni territoriali. Il fenomeno associativo è una risorsa importantissima per il Reventino, un tassello fondamentale per l’intera società civile. In questi ultimi anni le associazioni hanno realizzato tanto e l’hanno fatto insieme.

Da questa idea è nato “Rivìentu” il coordinamento delle realtà associative. Rivìentu che promuove ogni anno “Una montagna di pace”, la manifestazione che propone un punto di vista diverso sullo sviluppo delle aree interne della Calabria: tavoli tematici, incontri, mercatini, agricoltura, escursioni. Il tentativo di superare la visione campanilistica che ha sempre caratterizzato le nostre aree montane e marginali, un progetto di sviluppo integrato. La verità è una sola: si cresce insieme o si muore irrimediabilmente soli, rinchiusi nel proprio bellissimo giardino.

 

 

La Calabria è costellata di occasioni perse, dovremmo vivere di turismo ma ci ostiniamo a inseguire modelli di sviluppo che non sono nostri. Siamo seduti su un tesoro ma guardiamo da un’altra parte. Passata l’euforia del turismo di massa, che ha visto le nostre montagne deturpate da improbabili villaggi e colate di cemento, la direzione da seguire è un’altra: Il futuro e l’economia per le nostre aree interne passa dall’utilizzo consapevole del nostro territorio, dal tentativo di costruire un’idea di turismo sostenibile. Germoglia quindi un pensiero e nasce “Discovering Reventino”, un progetto di mappatura partecipata che opera sul territorio da diverso tempo. Lo scopo è di esplorare per riconoscersi e ritrovarsi, perché spesso viviamo il paesaggio come qualcosa che non ci appartiene, come un quadro appeso alla parete, statico, circoscritto da una cornice e fuori dalla realtà. Per quanto noi possiamo cercare di interpretarlo, c’è una cornice che ci tiene fuori. 

Imparare a leggere il territorio è importante perché educa a vivere lo spazio.
I livelli di lettura sono tanti: il primo è quello fotografico, si guardano luoghi e si riscoprono i toponimi. Poi, aumentando la “profondità di campo”, si scoprono storia e relazioni. E appena si varca questo confine la sorpresa è grande perché esiste un rapporto di appartenenza fra persone e paesaggio: in quel quadro ci siamo anche noi.

 

Il passo successivo è quello di trasformare il paesaggio in opportunità economica. Il turismo sociale fatto di trekking, gastronomia, collaborazione con le realtà produttive, ospitalità, può rappresentare il primo tentativo di costruire un disegno sano di sviluppo per il nostro territorio.

Il nostro futuro comincia dal paesaggio e dall’uso che sapremo fare di esso. Il capitale c’è già, sotto i nostri occhi, fuori dalla strada asfaltata, anche se non lo vediamo: occorre un po’ di fantasia, di poesia e di sogni.

Il Reventino è storia e cultura. Un’altra esperienza di risveglio è quella dell’Abbazia di Corazzo, importante insediamento cistercense nella valle del Corace. Grazie alla lungimiranza dell’Amministrazione Comunale di Carlopoli (Cz) e alla collaborazione delle associazioni questo sito sta rivivendo un periodo di splendore. L’area attorno all’abbazia è stata riqualificata e migliaia di turisti ogni anno vengono a visitarla. Attività agricole, progetti con le scuole, visite guidate, concerti in una location da sogno. Un radicale cambio di prospettiva, un guardarsi attorno con occhi diversi che ha generato il miracolo: il lavoro costante dei volontari sta lentamente restituendo l’anima all’abbazia. 

 

Quello che sta avvenendo a Corazzo è il segno di qualcosa d’importante: l’animazione dei nostri luoghi può e deve diventare il volano di crescita economica. Noi non abbiamo la Fiat e le grandi industrie, ma non le vogliamo neppure: le nostre risorse sono la natura e i beni culturali. La direzione da seguire allora è quella: valorizzare ciò che abbiamo, che guardiamo ogni giorno ma che non vediamo più.

Forse è il miracolo di Gioacchino da Fiore, che di Corazzo fu Abate, o forse soltanto quello degli uomini del nostro tempo che costruiscono, passo dopo passo, un cammino importante. Non si tratta di edificare cattedrali, di impegnare ingenti risorse finanziarie, di colare cemento in mezzo a queste splendide valli, ma di progettare lentamente la rinascita di un luogo, a partire dalle persone. 

Conflenti (Cz) ci ritorno ogni anno a raccogliere l’affetto di volti conosciuti. Antonella, Alessio, Andrea, Giuseppe e tantissimi altri ragazzi sono l’anima di “Felici e Conflenti”, il festival che rappresenta un incontro con la musica della tradizione. Corsi di zampogna, di organetto, di danza tradizionale e la scoperta di un immenso patrimonio culturale che lentamente sta scomparendo.

 

 

Là ho conosciuto Xenia, tedesca di Berlino, una ragazza con la zampogna sulla spalla, venuta qui dalla Germania a conoscere le tradizioni che noi stiamo perdendo. Sono tantissimi i turisti europei che ogni anno arrivano qui, dalla Germania, dalla Francia: quasi in sessanta nell’ultima edizione hanno abitato il centro storico. A Conflenti hanno capito che la nostalgia, la memoria e le tradizioni possono trasformarsi in economia. In tre anni di “Felici e Conflenti” sembra che, tra questi vicoli, il miracolo stia pian piano accadendo. 

Il Reventino è agricoltura. Quello di Decollatura (Cz) in passato è stato un distretto di importanza regionale nella coltivazione delle patate. Lo sfruttamento intensivo e dissennato della terra a monocoltura ha per lungo tempo imposto uno stop alla produzione. Oggi si assiste a un lento ritorno all’agricoltura responsabile e c’è chi cerca di indirizzarsi verso quella biologica e di qualità. Carmine e Mario sono i nuovi agricoltori, protagonisti di “Orto Corto”. Lo scopo è quello di ridurre la lunghezza della filiera e la distanza tra produttore e consumatore, offrendo sul mercato prodotti totalmente biologici: un pezzo di terra in comodato, un vecchio motocoltivatore e tanta voglia di mettersi alla prova. 

 

 

Alba e Francesca sono due ragazze di Castagna (Cz), piccolo borgo di 500 anime, che si sono inventate i laboratori di cucina sociale. 

Vivere su queste montagne non è molto semplice, soprattutto d’inverno e la cucina sociale vuole essere un’occasione per riscoprire le nostre radici attraverso i sapori della tradizione. Un ponte tra passato e presente. Non uno sterile rimpianto, ma la scoperta del cuore che batte ancora tra le mura di questo piccolo paese. Mettersi in gioco alla ricerca di odori, gesti e ricordi, recuperando le ricette popolari, facendo rivivere le vecchie case e con la pretesa di restituire un senso al quotidiano. Il laboratorio col tempo è diventato itinerante e si è aperto a tutto il territorio, nel tentativo di riuscire a disegnare una geografia gastronomica del Reventino. 

 

E alla fine ci sono io, che insieme ai miei fratelli ho provato ad aprire una di quelle porte chiuse, quella della casa dei miei nonni. Fino a pochi anni fa l’unico pensiero era di svenderla, di liberarci da un peso. Poi all’improvviso, al nostro ritorno in Calabria, prende corpo un’idea: ristrutturarla, andarci ad abitare e utilizzarla per accogliere chi avesse voglia di conoscere il nostro territorio. Il nostro non è un progetto imprenditoriale ma nasce da un sogno: portare la gente a conoscere questo pezzo di Italia interna che merita di essere valorizzato. Nasce così il b&b “La Casa dei Nonni”, una sfida soprattutto affettiva, familiare, che ha a che fare con il recupero delle radici. Un luogo non per turisti, ma per viaggiatori che hanno voglia di svegliarsi all’alba per perdersi in un bosco, di conoscere l’Abbazia di Corazzo, di ascoltare storie e di bere un bicchiere di vino leggendo un libro mentre fuori piove.

Ho provato con parole e immagini a raccontare la mia visione di questa parte dell’appennino calabrese. Non è l’unica strada percorribile, è soltanto un’idea, un punto di vista, un piccolo solco nel quale provare a seminare un briciolo di speranza.

 

 

Il lavoro da fare è tantissimo, anche a livello educativo: non possiamo coprirci gli occhi davanti allo strapotere della criminalità organizzata che mette in ginocchio la Calabria, allo scempio dei rifiuti abbandonati sul ciglio delle strade o allo sfruttamento dissennato delle risorse boschive.

Abbiamo bisogno di imparare una narrazione positiva del territorio, dare valore alla bellezza che ci circonda, cercare come scrive Calvino: “chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Forse l’espressione più efficace è questa: innamorarsi della propria terra. 

Sta tutto qui, in questa banale espressione, in questo capitolo di un immaginario “bilancio immateriale”, la speranza di uno sguardo diverso, di un briciolo di tenera compassione, per questa terra e per noi. 

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