Occhio rotondo 29. Colossale

21 Aprile 2024

Che cos’è oggi una fabbrica? Un luogo di produzione, ma anche un luogo complesso. Un luogo di macchine e strumenti, eppure un luogo difficile da visualizzare. E da abbracciare con lo sguardo. Per questo ci voleva l’occhio grandangolare di Luca Campigotto per restituirci l’immagine di una fabbrica odierna. Scegliendo il taglio diagonale l’autore ci permette di capire le dimensioni della fabbrica e insieme la complessità della sua organizzazione produttiva. Tra il primo piano con i tubi anneriti e le strutture là in fondo corre una distanza ragguardevole che possiamo solo intuire. È una macchina produttiva difficile da leggere per chi non è del mestiere, per chi non si aggira giorno dopo giorno dentro lo stabilimento.

Solo loro – operai e i tecnici – potrebbero dirci i nomi delle “cose” che ci sono nella fabbrica e come funzionano. Campigotto non ha voluto indicare il nome dello stabilimento industriale, a Brescia, dove ha scattato la fotografia, e neppure cosa produce. Forse non gli interessava neanche. Quello che gli preme è la dimensione di questo apparato, la sua complessità tecnologica. Il fotografo veneziano ha una particolare predilezione per il colossale, per lo smisurato, per ciò che appare enorme. Sia che si tratti di una montagna, di un deserto, di una piazza o di una rovina, l’occhio di Campigotto divora lo spazio e ce lo restituisce, passando per l’obiettivo, sotto forma di monumento. L’atto fotografico per l’artista veneziano è un atto del e nel presente, e tuttavia comprende dentro di sé il passato e persino il futuro.

Monere è la parola latina da cui deriva il termine che usiamo per indicare gli edifici e le strutture architettoniche che possiedono un particolare valore artistico. Campigotto fa esattamente questo: rende memorabili le cose che guarda: un residuo bellico su una spiaggia della Normandia, una nave ancorata nel porto di Genova, un fontego a Venezia, un teatro a Chicago, il Tesoro di Petra. Nessuna differenza tra la pietra, il ferro, il marmo, la sabbia o il ghiaccio. Campigotto rende tutto immenso, e perciò degno della nostra attenzione come della nostra meraviglia. Ci stupisce, ci sorprende, ci lascia a bocca aperta, a seconda delle situazioni e dei luoghi, ma sempre suggerendo di guardare qualcosa di portentoso.

La Natura come l’opera umana è fonte di continua sorpresa. Proprio come questa incredibile fabbrica: misteriosa, oltre che strana e indecifrabile. Questo ci fa sospettare che il mondo intorno a noi, se guardato da Campigotto, possa provocare stupore, lo stesso sentimento che egli intravede d’acchito dentro l’obiettivo della sua macchina fotografica. Come si produce questa meraviglia? Attraverso il colpo d’occhio, che è l’inquadratura, così come l’ha fissata l’autore dopo vari movimenti e spostamenti del suo apparecchio, dopo varie calibrature successive e ponderate. Ma non c’è solo questo, come nel caso della fabbrica qui ritratta. Il generale necessita del particolare; è la somma di dettagli che ogni fotografia di Campigotto contiene. Figlia dello sguardo della pittura settecentesca – Canaletto, Bellotto, Guardi – la visione di questo fotografo veneziano porta a compimento il movimento descrittivo che è stato fissato da Gabriele Basilico.

Lo dilata e lo dettaglia, là dove per Basilico era la luce e lo stato fisico del fotografo di fronte alle architetture a descrivere le città del mondo. Campigotto è condizionato dal dettaglio, dall’accumulo di dettagli, che non a caso costituiscono ancora oggi la bellezza intarsiata della sua Venezia. La parola “dettaglio” è un francesismo; sta per: “tagliare a pezzi”. Ma questi pezzi, come si vede nella fabbrica lombarda, Campigotto li unisce insieme al fine di dare più forza alla propria immagine. Più che di fotografie si dovrebbe parlare d’immagini, così come le pitture di Bellotto sono fotografie composte con i pennelli e il colore. Non si può che provare ammirazione e sorpresa per questa fabbrica così simile a un canale veneziano attraversato da gondole, a una piazza o a un campiello visitato da una miriade di persone. La fabbrica è qualcosa d’immenso, ma anche di dettagliato, composto da un’infinità di particolari che si vedono solo se ci si avvicina allo scatto e lo si osserva con attenzione.

La fabbrica è uno dei miti della modernità. Racconta Luca Campigotto che da bambino suo padre lo portò a vedere Goliath, una balena di ventidue metri conservata in formalina sotto un tendone in Riva dei Sette Martiri. Il suo cuore pesava 450 chili. Ricorda ancora l’odore nauseabondo del mammifero, ma in quel momento, nacque in lui l’attrazione per ciò che è smisurato, inaudito: “Bellezza, in fondo, è tutto quello che posso restare a contemplare meravigliato”. 

Industria metallurgica, Brescia, 2022, copyright Luca Campigotto

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