Amore di sabato pomeriggio

21 Febbraio 2015

Sbirciare nel carrello degli altri, in fila alla cassa del supermercato, è sempre un’esperienza altamente edificante. Ammazza la noia, scatena l’immaginazione. C’è chi lo fa per mestiere, chi da dilettante in cerca di curiosità. Ma arriva il momento in cui ciò che più o meno distrattamente percepiamo s’impone allo sguardo. Di modo che l’insieme di oggetti che là si trovano accostati, pazientemente pronti per essere pagati, fa indiscutibile sistema. Sollecita fantasie, testimonia stili di vita, indica forme d’etica sociale che brulicano nel contemporaneo.

 

Mi mandano questa foto scattata segretamente, un sabato pomeriggio, in un mall lussemburghese. Vale a dire dappertutto. Due oggetti che incorniciano una vicenda già scritta, non per questo realizzata, ma ancora da vivere. Una sceneggiatura stereotipa. Un frame da intelligenza artificiale. Un destino segnato. Se c’è qualcuno che ancora dubita che un’immagine possa raccontare una storia, con questa è servito.

 

Di che storia si tratta? Un tizio (tralasciamo l’abbigliamento, che di per sé dice già parecchio) acquista una rosa da donare a una donna da amare. Ma in perfetta sicurezza. Lo fa senza alcun interesse alla privacy, incurante della cassiera, di chi sta in coda dietro di lui, di altri eventuali astanti. Immergersi in una progettata storia d’amore è come portare a casa detersivi e surgelati, pompelmi rosa e pane in cassetta. Con distrazione, abitudine, remissività. Sa di robotica programmazione, di lucido senso della realtà. A modellare questa storia, l’incontro nel nastro del supermercato di due oggetti semioticamente opposti. Da una parte la poesia della rosa, simbolo sovraccarico di svenevoli appassionamenti. Dall’altra la chirurgica attenzione verso una sessualità, se non anticattolica perché disinteressata alla procreazione, comunque igienicamente politically correct. Una seduzione romanticissima in vista di un accoppiamento protetto.

 

Quel che più intriga non è tuttavia l’ovvietà della storia, lo stereotipo sociale. Semmai le sue zone oscure, indeterminate, aleatorie. Non ciò che è ovvio ma quel che sarà ottuso, che resiste alla pianificazione del gesto, alla prevedibilità dei suoi esiti prossimi futuri. Per esempio, perché questo signore va ad acquistare la rosa e il pacchetto di profilattici proprio al supermercato? In fondo, avrebbe potuto servirsi altrove, evitando lo stress del parcheggio, le lunghe camminate fra gli espositori alla ricerca delle cose di cui ha bisogno, la sicura attesa alla cassa. Scarterei la solita manfrina del low cost. E introdurrei ragioni di comodità: forse costui lavora lì, o in un negozio del medesimo centro commerciale. Altrimenti non si capisce. Ricordiamoci che il nostro uomo sta acquistando esclusivamente quelle due cose. Non lo fa quando va a far la spesa, poiché quella è la sua spesa. Non ha altro che gli interessi portar via. Non è un consumatore da sabato pomeriggio, cupamente generalista, ma un soggetto con un’idea molto precisa: quella e solo quella. Entrare al supermercato appare insomma pura entropia.

 

Da cui una serie di altri interrogativi. Potremmo sospettare per esempio che quella roba non sia per lui. Ha ricevuto una telefonata da un amico o da un fratello minore alle prime armi, lo sta istruendo e rifornendo per l’occasione: prima la seduci, poi la prendi, ma stai attento, indossa il preservativo. Proviamo altrimenti a pensare che quell’attrezzatura da postmoderno dongiovanni sia proprio per lui. Da cui il domandone: chi è lei? Una collega d’ufficio, entrambi sposati, con date segreto progettato per tempo nei minimi dettagli e dall’esito scontato? Un vecchio amore da risvegliare con luna di marmellata? Una fidanzata storica? Una sconosciuta da una botta e via? Una tizia incontrata quella mattina al parco da conquistare ancora? La moglie?

 

Mi piace pensare – per giustificare l’acquisto in quel luogo, ma soprattutto per sperare nella timida sussistenza di un qualche senso dell’avventura in questo mondo grigio e crudele – che si tratti piuttosto di una persona appena incontrata lì, per caso, entrambi in coda nel reparto freschi, o dinnanzi alla parete multicolore degli ammorbidenti, con la quale ha cinque minuti prima scambiato due parole di circostanza. Con sguardo furtivo. Immediatamente complice. Voglioso. Forse si sono scambiati il numero di telefonino. O forse lei gli ha lanciato un’occhiata languida, indicandogli un posto là vicino dove infrattarsi, come quella di Gilberte a Marcel davanti alla siepe di biancospini. Chissà. E chissà come andrà a finire. Sempreché andrà a finire. Probabilmente, infatti, si tratta di nessuno: solo una pia speranza, in sabato uggioso, solitario, freddo. Ma con enorme voglia d’amore. Quello vero. E sicuro.

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