Viseità

16 Gennaio 2012

1803, Giovanni Aldini, nipote di Luigi Galvani, è a Londra a mostrare teste mozzate che fanno smorfie se stimolate per via elettrica. La sua fama è nota tra gli intellettuali romantici inglesi, William Godwin, il padre di Mary Shelley, ha assistito alla messa in scena di Aldini e ama parlarne con gli amici. Più tardi queste considerazioni sono riprese tra Percy Shelley e Lord Byron. La viseità ha assunto quel carattere macabro e grottesco che darà vita - nel 1818 e poi nel 1831 - a Frankestein, il moderno Prometeo, di Mary Shelley.

 

Viseità è la traduzione italiana di visagéité, parola usata, più ancora che da Deleuze, da Felix Guattari. Il quarto capitolo dell’Inconscio macchinico s’intitola Viseità significante, viseità diagrammatica. Il libro L’inconscient machinique è difficile da trovare in francese e non credo sia mai stato tradotto in italiano. Invece l’editore di Los Angeles Semiotext(e), ne ha appena ripubblicata la traduzione inglese: “Tutti i fenomeni di comunicazione e scambio dipendono dalle leggi e dalla giurisprudenza che governano la viseità dominante” (Guattari, tradotto dalla versione inglese). Come se la società contemporanea postulasse una sorta di viseità suprema, che deve interpretare ogni ridondanza in maniera da dominarla e ricondurla a una significazione univoca. La viseità può variare, solo sotto il controllo di un sapere incardinato, specialistico, scientifizzato. Invero, come insegna Bergson, la vita è costitutivamente irriducibile al sapere scientifico e le ridondanze visuali possono eccedere la classificazione psicologica degli affetti fondamentali - gioia, tristezza, vergogna, disgusto, rabbia, ansia, ecc. – e delle ridondanze – euforia, pena, malinconia, aggressività, timidezza, angoscia, ecc. Nei casi eccessivi, la supposta viseità suprema propone due sistemi d’interdizione: la falsità, che include una serie di patologie dello spettro isterico – istrionismo, simulazione, suggestione, disturbi fittizi, sindrome di Ganser, altre pseudo demenze, malingering – oppure patologie funzionali [sic] franche, dal delirio alle allucinazioni schizofreniche. Mettiamo da parte, per semplificare, le sindromi neurologiche come il delirium tremens e la sindrome di Capgras. Di Ganser e Capgras riparleremo.

 

Faciality, è la parola inglese che traduce visagéité. A differenza di Deleuze, Guattari aveva operato direttamente con la follia presso la clinica La Borde, organizzando la terapia istituzionale con i pazienti psichiatrizzati. Da quell’osservatorio aveva ricapitolato tutta la psicologia dell’espressione visiva, prendendo le distanze da ogni tentativo di fondare una semiologia dispotica delle espressioni visive. Le espressioni visive sono oggetto di classificazione, si trasformano in tracce catturate dentro il triangolo semiotico universale, che è anche il triangolo della viseità. Per quanto semiologi, psicologi, sociologi intendano disporre questa classificazione universale - una sorta di riduzione del tratto visivo a espressione significante - alcuni sguardi emergenti dal triangolo ristretto occhi-naso, e da quello appena più largo fronte-guance-labbra, continuano a presentarsi, all’occhio dell’osservatore esperto, come buchi neri, attrattori caotici, sistemi lontani dall’equilibrio. Guattari la chiama micropolitica della viseità: ciò che sta dietro l’impeto psicologico ad assegnare un significato universale alle espressioni. Invero ci sono già differenze di genere nell’intertestualità quotidiana.

 

Melensa era una parola che spesso i genitori borghesi dicevano alle figlie, quando facevano un certo sguardo, al fine di educarle a espressioni corrette, così accadeva alle mie sorelle, non a me, tema di genere. Marilyn Monroe era il paradigma della melensa (l’oca), almeno fino al 1962, anno del suo suicidio per un eccesso di barbiturici che le erano stati prescritti per curare le sue linee di fuga. Gli spostati (The Misfits) di John Huston, sceneggiato da Arthur Miller, inizia con Roslyn (Marilyn Monroe) davanti allo specchio che cerca di ripetere a memoria, sottovoce, le dichiarazioni da fare per il divorzio, come pregasse, mentre si trucca. L’attrice è perfetta e finalmente riesce a raggiungere la massima viseità ironica. Ciò che da sempre le avevano rimproverato le autorità espressive hoollywoodiane, mancanza di variazione espressiva, ipersessualità, poca eleganza [sic!] si trasforma in immagine soggettiva libera.

Schizofrenica era la madre di Norma Jean, montatrice cinematografica fino al ricovero definitivo. Padre incerto. Che Norma avesse un destino outsider è noto dalla nascita, dai disordini familiari, dagli interventi riparativi socio-sanitari, dalla sua vita e dalla sua morte. Quando si leggono le pagine di Guattari, vengono in mente la Marilyn degli Spostati, la Magnani di Pelle di Serpente, la Calamai di Ossessione, la Vitti di Deserto rosso. Che lenti questi film! Dice chi s’inquieta e diventa frenetico, cercando di forzare un momento di vuoto, come si guardasse allo specchio e cogliesse la sua parte svuotata. Dipende da come leggi la parola lenti. Se è aggettivo qualificativo oppure nome. Perché l’immagine soggettiva libera si ferma sul volto dell’attrice, producendo la viseità inquietante, borderline, che induce la noia benpensante, meccanismo di difesa nevrotico. Che significato ha stare tutto quel tempo a scrutare con la lente della macchina da presa quei volti sconcertanti?

 

Elettroshock è una pratica di svuotamento della viseità. Benché inventato oltre un secolo dopo, nasce dalla linea di fuga di Aldini. Non contento di essere uno scienziato, decide di girare il mondo per fare un po’ di spettacolo coi suoi cadaveri. Giusto per diventare famoso, per suggestionare. Oggi si fa sui vivi, benché dicano in anestesia totale, dunque il paziente non dovrebbe soffrire [sic!]. Se tutto questo non fosse macabro, prendendo le dovute distanze dalla fattispecie giuridica di questa viseità, potremmo dire che la filosofia della terapia elettroconvulsivante somiglia alla teoria dei cartoni animati. I cartoni animati, prendono martellate in testa, cadono da un dirupo, sono investiti da un treno, prendono anche la scossa; però non muoiono. L’elettroshock non fa bene al paziente, ma produce una sensazione di onnipotenza in chi lo pratica, si sente come il regista dei cartoons, dice anche che forse, in alcune circostanze estreme, potrebbe funzionare. Come comprare a un bambino una pistola vera. Perché privarli di questo godimento?

 

 

 

(continua..)

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