I nomi dei colori / Che colori vedevano i greci?

18 Aprile 2016

Tra le varie lingue non vi è precisa corrispondenza nei termini di colore: prendo qui in esame l'esempio del greco antico. I greci avevano un diverso sistema cromatico rispetto al nostro: lo dimostra uno scritto molto particolare e interessante, il Perì chromáton, che il Medioevo attribuiva ad Aristotele. L'autore, forse Teofrasto o Stratone di Lampsaco, raccoglie una miriade di osservazioni empiriche sui colori e proprio per questo suscitò l'interesse di Goethe che lo tradusse in tedesco per la parte storica della sua Teoria dei colori. In italiano abbiamo la traduzione di Maria Fernanda Ferrini in [Aristotele], I colori e i suoni (Bompiani, 2008; la stessa autrice aveva anche approntato l'edizione critica, pubblicata dalle Edizioni ETS nel 1999).

 

L'opera è breve e complessa, prima di tutto per l'uso dei termini di colore che ci disorienta. Prende avvio con la connessione tra i colori semplici e i quattro elementi che gli antichi consideravano le radici di tutte le cose: «l'aria e l'acqua – scrive lo Pseudo Aristotele – sono di per sé bianche per natura, il fuoco e il sole sono gialli. Anche la terra è bianca di natura, ma appare di vari colori perché viene tinta» (p. 71 dell'edizione Bompiani). 

 

La prima affermazione ci trova in genere concordi: aria e acqua sono bianche o, meglio, trasparenti, ma leukós – il termine greco che traduciamo con bianco – indica anche la chiarezza e la limpidezza e «può indicare – come spiega la curatrice – non solo che un oggetto è colorato di bianco, in tutte le sue gradazioni, ma anche che è luminoso, brillante, chiaro e limpido, un oggetto che 'dialoga' con la luce, riflettendola o lasciandola passare» (p. 108, n. 3).

 

Anche su fuoco e sole possiamo concedere che siano definiti come gialli: infatti nel termine greco xanthós sono comprese varie gradazioni del giallo fino all'arancione, al rosso, al bruno; esso può designare il giallo vivo e luminoso del sole e del fuoco, ma anche il biondo dei capelli e il colore dell'oro.

 

Più difficile pensare alla terra come bianca, ma la nota ci spiega che è la presenza di liquidi che possono intriderla e colorarla: il nero compare infatti soltanto quando gli elementi mutano, quando essi si trasformano gli uni negli altri. 

 

Il nero richiede quindi una trattazione a parte poiché esso si presenta in tre modi. In primo luogo «ciò che non si vede è nero per natura»: il nero in questo caso è un colore proprio dell'oggetto; l'oggetto – scrive l'autore antico – promana una luce nera. In secondo luogo il nero significa 'senza luce', un nero che appare in contrasto con lo spazio circostante illuminato. Infine il nero come diminuzione di luce, dove è scarsa la luce, come nelle ombre, nel mare agitato, nelle nuvole. 

 

L'opposizione bianco/nero (leukós/mélas) si affianca, senza identificarsi, con quella di luce/ oscurità (phôs/skótos). La luce è inoltre il colore del fuoco, visibile per sé e che rende visibili le cose, ma non è, per altri versi, soltanto il colore del fuoco, è anche, ad esempio, colore degli oggetti fosforescenti.

 

I quattro elementi, affresco 1250: le linee rappresentano le trasformazioni di fuoco, aria, acqua e terra secondo i principi aristotelici. 

 

Questa esposizione dei colori semplici già chiarisce l'interesse dell'opera: l'analisi cromatologica richiede un linguaggio che si adatti al fenomeno in questione, che sappia distinguere tra il colore di una superficie ben levigata e il colore di un liquido, che sappia parlare di lucentezza, di luminosità e di incandescenza. Le parole usate in questo testo lo sanno fare, richiedono di sostituire nella traduzione alcuni termini con l'originale greco che porta con sé uno spazio semantico diverso, impegnando il lettore a guardare, il che significa a pensare in un modo diverso, a guardare per davvero e non a immaginare di guardare. A meno che non si voglia considerare come autentica la teoria un poco assurda – spesso riportata negli interpreti, Goethe compreso – che i colori possano scaturire dall'opposizione del bianco e del nero.

 

I colori composti derivano dunque, secondo il filosofo peripatetico, dalla mescolanza (krásis) dei colori semplici: dunque dalla mescolanza di leukós, mélas e xanthós. 'Mescolanza' però – viene chiarito subito – non significa mescolanza dei colori come fanno i pittori, mescolanza cioè dei pigmenti, per cui diciamo, ad esempio, che dal giallo mescolato con il blu otteniamo il verde. Bisogna osservare invece le mutazioni del colore che abbiamo preso come base (un colore corporeo, diventato corpo, verkörpert, traduce Goethe nella sua Storia dei colori) quando lo esponiamo alla luce del sole e della fiamma, quando lo guardiamo attraverso un mezzo come l'aria e l'acqua. La luce stessa – scrive Ferrini – in questo contesto sembra acquistare una consistenza materiale per potersi mescolare con i colori delle cose: il primo colore che sorge dalla mescolanza è il rosso, il phoinikoûn, quando il nero e lo scuro si combinano con la luce. 

 

L'autore greco dedica i restanti capitoli all'analisi dei modi di manifestazione del colore nella lucentezza, nella levigatezza, del colore dei materiali bruciati, liquefatti, fusi dal fuoco, del colore della luce, dell'aria (bianco e diafano) e dell'acqua; tratta poi delle tinture e infine dei colori delle piante e degli animali.

 

Gli antichi greci avevano quindi un'altra e diversa classificazione dei colori. Come nel caso dei senzacolore di Oliver Sacks, i greci tenevano conto della luminosità, dell'interazione tra luce e materia, della tessitura della superficie delle cose. Un approccio che potremmo quasi definire 'fenomenologico': si prende un oggetto, lo si osserva, lo si descrive, si cambiano le condizioni dell'osservazione, si descrive di nuovo ciò che si vede, senza preoccuparsi se la percezione abbia un carattere irrimediabilmente soggettivo, né si cercano le cause fisiologiche o fisiche del fenomeno. Si tratta di uno sguardo molto simile a quello del pittore oppure, se vogliamo, a quello dello psicologo della percezione, non quindi di uno sguardo ingenuo o infantile, privo di teoria. In esso scopriamo una dimensione del colore che le nostre classificazioni abituali non conoscono; pensiamo – tanto per fare un esempio – all'ordinamento delle matite colorate nella scatola dei colori, un ordine lineare che contiene sempre qualche incongruità: dove lo mettiamo il rosa? prima o dopo l'arancione?

 

 

È quindi molto difficile tradurre nella nostra lingua i termini usati dagli antichi greci per indicare i nomi dei colori e ancor più difficile immaginare un diverso sistema per classificarli.

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