Il caciucco

28 Marzo 2011

Un legame possibile, profondo e insieme banale: “siamo ciò che mangiamo”. Certamente la materia che ci attraversa nel corso di una vita fa quell’unica vita, lentamente la costruisce e la modifica nel tempo.
È anche sotto forma di un’“alchimia della materia” chiamata cucina che il cibo diventa parte di noi; “la forma e la sostanza” delle nostre scelte alimentari, la cucina nella sua alchimia è già umanità, parte integrante del nostro stare al mondo.
E allora anche il caciucco può diventare una cosa diversa da una splendida testimonianza mediterranea, altra cosa da una semplice zuppa di pesce…
 

Caciucco  / Toscana
(Setacciare il creato )              

500 g pesci con lisca (scorfano, gallinella, tràcina)
g 200 palombo
polpo di scoglio: gr 200
seppie: g 300
cicale (o canocchie) : g 200
pomodori maturi o "pelati" g 300
una cipolla
tre spicchi d'aglio
prezzemolo
peperoncino
poco vino rosso
sei fette di pane casalingo
olio d'oliva
sale


Pulite bene tutti i pesci, che avrete scelto di taglia piuttosto piccola. Squamateli, sventrateli ed eliminate le pinne. Il palombo spellatelo e tagliatelo a tronchetti. Pulite bene anche i molluschi e tagliateli a pezzi.
Fate un trito fine di aglio, cipolla, prezzemolo e peperoncino e fatelo rosolare in mezzo bicchiere d'olio. Appena la cipolla inizia ad imbiondire bagnate con mezzo bicchiere di vino e quando sarà evaporato mettete nella pentola i polpi e le seppie.
Dopo pochi minuti aggiungete i pomodori, salate e continuate a cuocere per un altro quarto d'ora. Unite infine gli altri pesci e le cicale,quindi proseguite la cottura per una ventina di minuti. Se necessario aggiungete brodo di pesce.
Servite il cacciucco piuttosto liquido su fette di pane abbrustolite e leggermente agliate, messe sul fondo di una zuppiera.


Caciucco: piatto unico di una Toscana affacciata sul mare, esempio di saggezza alimentare in grado di soddisfare tutte le esigenze di chi ha scritto nelle proprie cellule un destino da onnivoro.
Nel caciucco si può trovare questo ma anche il sospetto che un'alimentazione equilibrata sia una fandonia, una specie di invenzione per oscurare l'ignoranza di una dietetica - la nostra - ancora incompiuta.
È allontanandosi un poco, distanti da questo “piatto unico” e dai destini personali, che si può tentare di vedere le cose più profondamente, anche solo diversamente.
Così, dentro i margini di razionalità che una ricetta può disegnare, c’è spazio per l'irruzione del caso: un alimento, come una ricetta, può essere piacere, scelta consapevole, abitudine, simbolo, ma spesso non è solo una mescolanza casuale di queste forze?
Se fosse, ogni ricetta sarebbe un disegno ricombinatorio di alimenti, di probabilità… cos’altro se non l’irruzione del caso sotto forma di ingredienti?
Tanto più in un piatto come questo che si dice unico… un piatto che cioè dovrebbe contenere “ogni cosa necessaria alla vita” ma che proprio in questa ambizione lascia intuire la vanità di ogni tentativo di mettere un ordine nell’alimentazione e nel creato, se non per approssimazione, per campionamento casuale di moltissimi ingredienti, guidati dal gusto, dalla ragione, dalla necessità… cosa ancora se non le molte possibilità del caso? Quel caso che rivela sempre le sue due facce: fortuna e malasorte, successo e fallimento, positivo e negativo…
Perché è inevitabile che per chi, come noi, “setacciando il creato” sceglie per sorte o in ragione dei gusti e delle mille possibilità che fanno la nutrizione, il bilancio possa alla fine essere anche negativo.
Con gli errori infatti si accumulano “scorie” sulla vita e il proprio benessere alla lunga potrà rivelarsi un miraggio, qualcosa destinato a seccarsi al sole del domani, sebbene…
Sebbene lo svanire del proprio benessere lasci spazio a un'altra certezza, seppur invisibile, perché se un individuo sbaglia nello scegliere i “pezzi di natura” utili per sé, non potrà sbagliare la maggior parte della specie.
La specie, silenziosa ed inavvertita presenza che ci comprende e che ci ignora…
Così, è come se il vapore di un piatto antico, sollevandosi, lasciasse intravedere qualcosa di inaspettato; come scoprirsi attori inconsapevoli di una recita più grande di noi, come se il proprio destino fosse parte infinitesima di qualcosa di più generale e che solo questo alla fine avesse un senso.
La vita, come il caos, scorre indifferente ad ogni destino personale.

 

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