Le ore

29 Ottobre 2012

Negli ultimi giorni si è molto parlato delle nuove iniziative che il ministero sta intraprendendo di fatto contro i docenti della scuola italiana. L’attenzione di tutti si è incentrata sulla questione dell’aumento delle ore lavorative di lezione frontale da 18 a 24.

L’annuncio di una settimana fa era: cattedre a ventiquattro ore per tutti; e forse doveva servire a spaventare la categoria in vista di una trattativa; dopo pochi giorni di levate di scudi di tutti i sindacati e di diversi esponenti politici (abbastanza svegli da ricordarsi di un potenziale bacino elettorale) la ‘cosa’ si trasformata in: cattedre a diciotto ore di lezione con obbligo di sei a disposizione per le supplenze, maternità, malattie e spezzoni (ovvero cattedre non complete). Le ore sarebbe ovviamente non retribuite.

 

Di che ore stiamo parlando? Si tratta dei posti dei ‘precari’, che a questo punto sarebbero fuori dalla scuola dopo una progressiva erosione della cattedre negli ultimi anni. Di fatto sono i colleghi ‘a tempo determinato’ che pagano il prezzo più alto, rispetto a chi è ‘di ruolo’ ma comunque sotto minaccia di essere ‘perdente posto’ a causa del combinato disposto ‘più ore per cattedra, più allievi per classe’.

Dopo giorni in cui si sono viste diverse agitazioni (assemblee pubbliche, blocchi stradali, blocco di attività didattiche) sembrerebbe – il condizionale è d’obbligo – che anche questa versione stia rientrando.

 

Marco Rossi Doria si è esposto impegnandosi per il ritiro del decreto e probabilmente nel giro di poco tempo la questione verrà riassorbita nella vertenza sindacale di rinnovo del contratto di lavoro. Cosa che peraltro sarebbe anche corretta, visto che un disegno di legge non può modificare contratti di categoria: potrebbe anche configurarsi una trattativa in tal senso; se fossi un ragioniere dello Stato per risparmiare alle casse pubbliche il costo degli straordinari, ore a disposizione potrebbero servire. Viceversa una normazione più chiara delle attività pomeridiane di supporto alla didattica, programmazione, progettazione potrebbe essere una buona cosa per chi passa a scuola giornate intere.

 

Ma è interessante notare che in questi giorni i commenti pubblici, nelle conversazioni tra amici come sui forum di giornali e siti, sono caratterizzati da un feroce coro di soddisfazione del fatto che finalmente ‘anche gli insegnanti avrebbero lavorato’.

Proporre più lavoro per gli insegnanti è un’astuzia, moralmente discutibile, che si fonda su ignoranza o malafede e che sfrutta il rancore di un’opinione pubblica piegata da anni di erosione di diritto del lavoro. Da prima ancora che la crisi cominciasse a mordere ci sono ambiti del privato in cui se pronunci la parola ‘straordinario’ si mettono a ridere.

 

L’intervento migliore è quello, profetico e anacronico, di Luigi Einaudi nel 1913 sul Corriere della sera, a proposito del disegno di Legge Credaro: “la merce ‘fiato’ perde in qualità tutto ciò che guadagna in quantità. Chi ha vissuto nella scuola sa che non si può vendere impunemente fiato per venti ore alla settimana, tanto meno per trenta ore. La scuola, a volerla fare sul serio, con intenti educativi, logora. [...] A me sembra che diciotto ore di lezione alla settimana sia il massimo che possa fare un insegnante, il quale voglia far scuola sul serio, e quindi prepararsi alla lezione e correggere i compiti coscienziosamente ed attendere ai gabinetti di fìsica o chimica; il quale, sopra tutto, voglia studiare”. Liberali così non ne fanno più.

 

La questione è appunto questa: diciotto ore di lezione sono già molte (la media europea è 16.3 nella secondaria di secondo grado, 18.1 in genere, mente chi dice il contrario) e sono stancanti dal punto di vista cognitivo ed emotivo. In particolar modo se si è di fronte a un uditorio attivo di adolescenti: qualcuno ha idea di cosa voglia dire insegnare in una terza media di trenta persone, per di più di un quartiere difficile? O in una quinta superiore di trenta diciannovenni alla sesta ora in una aula sottodimensionata? Per non dire dei bambini delle scuole primarie: a proposito, le maestre fanno già ventiquattro ore. Su di loro il cambiamento è già in atto da tempo (con questo decreto farebbero altre due ore, tolte alle riunioni di programmazione da sempre il vero punto di forza di questo ordine di scuola). A questo punto, a costo di essere noioso, vorrei ricordare cosa fanno gli insegnanti.

 

Citato direttamente da uno dei tanti documenti che si stano producendo per sensibilizzare i genitori degli studenti (grazie ai docenti del Liceo ‘Giordano Bruno’ di Torino per il concerto di intelligenze). Gli insegnanti svolgono diciotto ore in classe, in un’aula multimediale, in un laboratorio, in una palestra o per uscite didattiche. A queste ore, si aggiungono molte altre ore di attività essenziali per la vita della scuola per:

- aggiornare le competenze nelle materie d’insegnamento (spesso più di una - italiano, latino, storia, geografia; matematica e fisica; chimica e biologia...), per arricchire l’offerta formativa (spendendo in libri, prodotti multimediali e informatici, mostre, ecc. - senza poter detrarre niente dalla dichiarazione dei redditi);

- preparare le lezioni: è falso che siano sempre uguali (ogni classe è diversa) e se avviene a casa propria è perché le scuole non sono dotate di mensa (talora di un bar, a spese proprie)

- preparare le verifiche scritte ed orali e correggerle - la durata di queste operazioni dipende della classe, dall’anno di corso, dalla materia, dalla tipologia di verifica da somministrare;

- partecipare alle riunioni degli organi collegiali di classe, di dipartimento, d’istituto e ai consigli di classe con colleghi, con genitori e studenti - monte ore aumentato nel corso degli anni (in relazione alle cresciute esigenze dell’utenza, ottanta ore su duecento giorni);

- predisporre piani di lavoro per ogni materia insegnata in ogni classe, piani di studio individualizzati per studenti diversamente abili e per studenti che devono seguire i corsi di recupero, tenere sia corsi di recupero durante l’anno scolastico, sia corsi estivi di preparazione per gli studenti con debito a settembre;

- effettuare ore di straordinario per coprire le supplenze giornaliere, molto spesso su due o più classi contemporaneamente (è una conseguenza dei tagli dell’organico già fatti);

- ricevere i genitori su appuntamento al mattino e in riunioni pomeridiane e preserali, per venire incontro alle esigenze delle famiglie;

- partecipare agli esami di stato che si svolgono tra la seconda metà di giugno e la metà di luglio;

- effettuare uscite didattiche di uno o più giorni (per le quali non riceviamo più indennità alcuna);

- attività di progettazione per il POF, orientamento in entrata e in uscita, formazione classi, elezioni scolastiche, incontri con esterni, stage in aziende, corsi presso le università, gare per l’eccellenza, progetti di innovazione anche internazionali.

Secondo stime ufficiali europee il lavoro di un docente consta di 35/40 settimanali.

Ci siamo.

 

Se qualcuno continuasse a ritenere gli insegnati dei privilegiati – cosa che io credo nel senso che faccio un lavoro che mi piace – ricordo che tutti hanno dedicato un certo numero di anni allo studio con buoni risultati. E sarebbe opportuno potessero continuare a farlo per la qualità del loro lavoro, con buona pace di chi ci pensa “organizzatori delle conoscenze” in scuole che sono descritte come “centri civici di socializzazione”. I risultati medi della scuola italiana continuano ad attestare che, nonostante tutto, produciamo qualità.

 

Forse il lancio delle ventiquattro ore è stata l’ennesima scivolata in una strategia di comunicazione eccessiva. Però, mentre tutti quanti ci agitiamo su questa tema, il decreto Aprea prodotto in era Gelmini continua il suo iter parlamentare: un decreto che smonta i Decreti delegati e mina alla base la democrazia interna alla scuola, rendendo possibili pesanti ingerenze del settore privato in un plesso vitale come la scuola pubblica. È lo smantellamento della pubblica istruzione mascherata da autonomia. Nel migliore dei casi si conferma la logica del Miur che continua a vedere la scuola come un serbatoio 
destinato ai tagli di spesa, dal quale in tre anni sono già stati prelevati otto miliardi di euro e al quale vengono destinati due punti di PIL in meno della 
media europea.

 

Quale che sia il destino di questo provvedimento sull’orario, è evidente che la stagione di cambiamenti nella scuola in cui avevamo sperato non ci sarà.

Per chi vuole bere l’amaro calice del nichilismo fino alla feccia qui di seguito il video del Miur Porta a scuola i tuoi sogni con Vecchioni. Oltre a sembrare un prodotto di propaganda della Corea del Nord è stato girato in una scuola privata.

 

 

 

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