Dialogo della pittura

10 Ottobre 2011

 

Fin dai tempi dei tempi (tempi di Altamira, tempi di Lascaux) ho visitato con affetto, curiosità e tremore gli studi dei pittori - ogni volta sentendomi invitato in luoghi in qualche modo misteriosi, o addirittura sacri. Quelle soglie, ogni volta che le oltrepassavo, le sentivo temenoi, tagli, fra un fuori normale e un dentro altro, denso e segnato, templare: varco iniziatico (se entri io t’inizio ai miei segni e colori, te li rivelo e ti faccio partecipe) oltre cui avrei trovato colori, odori, disegni, cavalletti, tele, immagini nuove e vecchie, officina, laboratorio, cappella votiva, luogo di meditazione, di artigianato e ispirazione.

Andavo da Claudio Olivieri verso il Ticino, a ovest di Milano, fra campi di erbe, in una casa isolata, sderenata, antica, contadina - e lo trovavo (era sempre solo) con le tele intelaiate intorno, quinte, verticali - alcune bianche, alcune con qualche segno e colore, alcune finite. Parlavamo, io cercavo di decifrare, il difficile lavorio del narrare la pittura - e discutere e discutere, il dialogo del poeta e del pittore. Il pittore che aspetta le parole del poeta forse per capire cosa sta facendo.

Ma cosa fa il pittore davanti alla tela?

 

Andavo da Emilio Scanavino (nello studio, a Milano: o ad Albissola) e lui parlava parlava, inarrestabilmente - intorno vedevo i quadri con quei guizzi e nervi presi al volo, così simili al modo di muoversi di Emilio, un quasi danzare aspettando la pittura, il segno che imprimendosi tratteneva i guizzi, il pensiero segno, il nervo dei pensieri. Come si batteva con le tele, le masoniti e le terre cotte Scanavino!

Ma cosa vedeva oltre le tele, le superfici e le terre?

 

Andavo da Nanni Valentini ad Arcore - Valentini il ceramista, pittore, scultore - uno che era davanti sempre in esperimento - e lo trovavo intento a scolare e dosare il colore per le sue tazze e piatti meravigliosi - alle prese con acqua, aria, terra e fuoco, i quattro elementi del ceramista e del mondo - e mi chiedevo: Dove sta mettendo le mani, in che oltre? E nei quadri e disegno vedevo gli spazi e le visioni di Nanni - visioni quasi indecifrabili, con varchi e orizzonti - visioni di colore e segni, pre-sculture. Così ho visto nascere la Torre del fuoco, le case di Barcellona. Oggetti di straordinaria poesia, unici.

Con le mani nella creta dove frugava Nanni?

 

Andavo da Pino Spagnulo e lo trovavo intento a battersi, come un guerriero dell’Iliade, col gres, col legno - e poi col ferro e col fuoco. Kratos kai bia: potenza e forza. Ma prima trovavo gli schizzi - e nella piattezza unidimensionale indovinavo la profondità dello spazio, la terza dimensione della scultura - l’oltre. Oltre la carta, oltre il gres, il legno, il ferro e il fuoco.

Cosa c’è oltre la soglia che apre il fuoco?

 

Andavo da Jan Koblasa scultore e pittore a Praga - la Praga della Primavera, 1966, 1967 - e in silenzio stavo a contemplare quei torsi e totem estratti dai sogni e dagli incubi - e davanti a centinaia di disegni graffiti e graffiati mi pareva di essere davanti a misteriosissime porte e porticine di tabernacoli teatri - oltre cui era possibile immaginare altri mondi, altre anime. Avevo la sensazione - a volte la certezza - che Jan coi disegni e le sculture interrogasse le anime - le anime dentro la sua anima, i suoi morti - là appena oltre.

 

Andavo nello studio di Vedova in calle dello Squero - e per un breve periodo nella grandiosità della chiesa di san Gregorio, su per le impalcature, e ho assistito al passaggio - o sfondamento - dalla tela nei plurimi. Vedi, diceva, bisogna andare di là della pittura. Sfondare lo spazio, entrare.

Anche il suo parlare in fondo era pittura, oltrepassa mento della soglia con mulinare di braccia, chele, barba e occhi elettrici - sempre preso da quella mania ispirante di cui parla Platone su per i dialoghi, al tempo dei greci che fu.

 

Andavo nello studio di Vittorio Basaglia, prima a Venezia in campo san Polo e poi a Valeriano lungo il Tagliamento - e stavo là a guardare e parlare. Quando disegnava Vittorio era rapido, vedeva ciò che disegnava, come se chiamasse in scena (il foglio scena) ciò che gli appariva. Quando abbiamo fatto Marco Cavallo nel manicomio di Trieste, nel 1973, alla sera facevamo il volantino - io il testo e lui il disegno. Guardavo incantato la sua bravura nel sintetizzare l’immagine centrale (il cavallo, il ritorno di Doz, il Paradiso Terrestre eccetera) come fossero lì da sempre - eterne.

 

Cosa fa il pittore davanti al foglio, alla tela, alla creta?

Cosa facevano i pittori di Altamira e Lascaux?

Fermavano immagini della realtà vissuta?

O evocavano progetti di realtà possibili?

O chiamavano in scena, per avere aiuto, dei, eroi, sciamani e bestie magiche?

Perché andavano là sotto terra (in studi così scuri, impervi, terrorizzanti) a pitturare graffitare?

Mistero.

Mistero tanto diverso da quello di Giotto o Michelangelo e aiutanti ad affrescare creazioni, inferni e paradisi?

Che guerriero è il pittore davanti alla tela, alle malte, ai muri?

Secondo me interroga l’al di là (l’oltre) e cerca di portarlo di qua.

La tela, il muro, la tavola, la creta sono soglia e specchio. Il pittore si auto ritrae - o si ritrae da sé - per entrare oltre sé, nell’altro mondo - il mondo immenso della vita e morte che verranno.

 

Chi sono, allora, i pittori?

Io li vedo, certi pittori, come sciamani sulla soglia che, invece che cavallo a tamburo - il corredo sciamanico - hanno matite, pennelli, colori, carte, tele, malte e altro - e volano: volano stando intanati lì, nei loro studi e tane - e con pazienza aspettano a trascrivono ciò che si rivela - chiamano in qua l’al di là dell’immaginario.

Questa è l’impressione che mi resta dei pittori che ho visitato - i nominati e tanti altri.

Come le volte che sono andato - più volte, lontanamente, nel secolo 900 - alloggiando all’Hotel Cardinal in rue Cardinal a Aix-en-Provence, non lontano da casa Cézanne, non lontano dallo studio che lui pittore Cézanne si è disegnato e costruito - con la grande vetrata verso nord per avere luce - e immaginando di sentire i passi di quel suo camminare ogni giorno per andare sui motivi, fonti, monti, sentieri nascosti: a copiare la realtà?

No, a svelarla.

E Picasso - che per omaggio a Cézanne si è fatto seppellire là vicino, nel castello sulla montagna Saint Victoire - non aveva capito proprio questo del maestro quando ha detto: Io non cerco, trovo.

Dialoghi di pittori, della pittura.

Sì, aspettando, davanti a una qualunque soglia dove lasciare dei segni chi ha l’arte (la tecnica e la vocazione) trova.

Uno potrebbe dire. Ma non è lo stesso anche per la scrittura, davanti alla pagina bianca?

No.

 

Vedo il pittore - da Altamira ad oggi - che in piedi, come un sacerdote, come un combattente, davanti alla tela evoca forme, non parole - forme figurali o astratte - il mare delle visioni nel campo visivo. Dove si vedono inferni e paradisi, battaglie, natività, fughe in Egitto, operai, borghesi, fabbriche, ronde di notte, amanti, dei, cavalieri, partigiani, velieri, puttane, tempeste eccetera eccetera.

 

Ecco, Pizzinato lo vedo, anche per come l’ho conosciuto, come un guerriero e sciamano così: testardo, intransigente, duro e tenero, furlano, comunista, scorbutico, innamorato del rosso, del giallo, del blu, del verde, del bianco - dei colori più belli - uno di quei pittori di sentinella sulla soglia: soglia della storia, del tempo, del futuro, del dolore, della catastrofe, della resistenza, del mare, dei gabbiani - intento a cercare la struttura di ciò che appare (l’essere?), per decifrarlo, e formarlo.

 

Di questa straordinaria schola veneziana - lui, Vedova, Tancredi, Santomaso, Gianquinto, Basaglia e alcuni altri - si potrebbe dire che ha cercato per vie diverse, qualche volta dialogando le mitiche lotte operaie - di dare forma all’essere della storia - di cercarne il senso. Per prove ed errori.

 

Con Armando, ritrovato dopo tanto tempo, abbiamo molto dialogato (anche per merito di Cristina Giglioli, sua dottoressa) fino alla gran partenza. Di pittura, di politica, di poesia (un giorno all’Ateneo Veneto abbiamo provato a rileggere Majakovski in pubblico: com’è grande Majakovski) - com’era curioso di tutto, fino alle ultime ore, attento al mutamento, mai immemore, come quando seguiva Paolo Dorigo in carcere e poi agli arresti domiciliari - per affetto e resistenza.

 

Una mattina Armando mi ha raccontato un sogno.

Ho sognato che ero morto, mi ha detto. C’era uno spazio immenso e volavo lì su e giù, e intorno c’erano tanti che volavano, su e giù. Su e giù.

Era andato oltre la soglia, il comunista sciamano?

 

Negli ultimi tempi, molto malandato e tutto rattoppato, stava nel suo letto (molto accudito da Silvana e Angelo Goldmann) e guardava sempre la televisione. Soprattutto il canale 5 del non amato Berlusconi. E un giorno mi fa: Vedi là dentro? Quello sono io.

Sì - nella televisione (nell’oltre?) - vedeva sé vagare.

Guarda, gli ho detto, che lì prima o poi incontri Berlusconi.

Ma lui sorrideva e non capiva.

Insomma a un certo punto la testa un po’ si fa molle e si crede davvero di essere andati di là.

Stiamo a vedere.

 

Dirò, per chiudere questo dialogo della pittura, che nello studio di Armando Pizzinato non sono mai riuscito ad entrare.

Non mi ha fatto mai entrare, quel guerriero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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