Roma Agrawal / I ponti non devono crollare

7 Aprile 2019

Una delle maggiori attrazioni turistiche di Tapei City è un grattacielo alto 509 metri: Taipei 101. Deve la sua fama all’altezza vertiginosa e a una sfera di 660 tonnellate sospesa all’interno della sua struttura. Quando l’edificio è scosso da una tempesta o da un terremoto, la sfera si comporta come un pendolo che oscilla assorbendo l’energia generata dalle scosse. In Costruire. Le storie nascoste dietro le architetture (Bollati Boringhieri, Torino 2019) Roma Agrawal spiega quali siano le forze che “fluiscono” attraverso le architetture e quali siano i sistemi strutturali che le reggono. L’uso di esporli anziché nasconderli, come nel caso di Taipei 101, deriva dall’idea che solo l’innovazione tecnologica dei sistemi costruttivi abbia il diritto d’introdurre mutamenti nella forma architettonica, in modo tale che essa risponda in modo diretto alla funzione che la costruzione deve svolgere.

 

Il Centre Pompidou in costruzione. Parigi.


Il Centre Pompidou inaugurato nel 1977 a Parigi è un esempio di come questa idea sia stata declinata in utopia sociale e libertaria: una struttura composta da piattaforme sovrapposte e ininterrotte che consentono di modificare lo spazio in base alle esigenze espositive. Per ottenere uno spazio libero da costrizioni (“liberare” era l’imperativo sociale e politico di quegli anni), Renzo Piano, Gianfranco Franchini e Richard Rogers hanno portato all’esterno ciò che di solito si trova all’interno di un edificio. Mostrare ciò che è nascosto, rendere pubblico ciò che è privato. Il telaio esterno dell’edificio, una rete di tubi a X che serve a mantenere stabile la struttura se sollecitata dal vento, è ben in vista. Insieme a questa sono in vista anche i tubi dell’acqua potabile e di scarico, i cavi elettrici, i condotti di ventilazione, le scale e gli ascensori. 

 

Étienne-Louis Boullée, disegno per il Cenotafio di Newton, 1784. Parigi, Bibliothèque Nationale / Taipei 101, dettaglio della sfera antisismica.


L’idea di esporre anziché nascondere i sistemi strutturali è stata intesa in diversi modi. Nella torre di Taipei mettendo la scienza del costruire al servizio dello spettacolo e della meraviglia. Il pendolo antisismico che oscilla fra il novantaduesimo e l’ottantasettesimo piano trapianta la forma sferica di Étienne-Louis Boullée in un colossale fusto di bambù svettante sulla città. Piegando l’ingegneria strutturale alle esigenze di una forma spettacolare, che ibrida l’utopia architettonica alle distopie della letteratura e della cinematografia fantascientifica, Taipei 101 porta dentro l’architettura uno sguardo grafico, fotografico e cinematografico. L’architettura fascista aveva compreso il ruolo che lo sguardo dall’alto, documentato dalla ripresa fotografica e cinematografica, avrebbero avuto nell’architettura moderna. Sorvolando Calambrone, una frazione di Pisa distesa lungo la costa tirrenica, si possono riconoscere ancora oggi edifici a forma di fascio littorio, di aereo puntato verso il mare, di simbolo dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI) fondata dal regime. “Oggi, con l’aereo, abbiamo la prova, registrata su lastra fotografica, che abbiamo ragione di voler cambiare qualcosa nell’architettura e nell’urbanistica” scrive Le Corbusier nel 1935 (En frontespice aux images de l’épopée aérienne, in Casabella n°532, Gennaio-Febbraio 1987, pp. 84-85). 

 

Colonie estive di Calambrone progettate da Angiolo Mazzoni Del Grande nel 1925 e costruite nel 1932-33. Da sinistra: colonia Principi di Piemonte a forma di aereo puntato verso il mare e colonia Regina Elena a forma di fascio littorio.


Allo sguardo fotografico e cinematografico si somma quello grafico teorizzato da Robert Venturi, Denise Scott Brown e Steven Izenour in Learning from Las Vegas del 1972, pubblicato in Italia nel 1985 (Imparando da Las Vegas. il simbolismo dimenticato della forma architettonica, nuova edizione Quodlibet, 2010), e quello televisivo di Frank Gehry. L’architetto canadese racconta che l’idea per il rivestimento della torre della Warner Bros in Time Square, mai realizzata, gli fu suggerita da una gag televisiva. Qui la forma prende decisamente il sopravvento sulla struttura piegando l’ingegneria strutturale all’estro creativo che fa lievitare i costi di produzione in modo significativo. Il costo degli stampi per il calcestruzzo, usati per realizzare la complessità geometrica di questi edifici può raggiungere il 60 per cento del budget totale per la realizzazione di un progetto, spiega Agrawal nel suo libro. Niente di più lontano dall’austerità predicata da Adolf Loos, che considerava immorale spendere lavoro umano, denaro e materiali per l’originalità inventiva: “un delitto contro l'economia del paese” (Adolf Loos, Ornamento e delitto, 1908). 

In un’intervista rilasciata nel 2009 a Hans Ulrich Obrist (Vite degli artisti. Vite degli architetti, Utet, Milano 2017), Gehry racconta delle sue conversazioni con Sydney Pollack, autore del film documentario Frank Gehry. Creatore di sogni (2005), nel corso delle quali venivano discussi i modelli economici che dominano l’impresa cinematografica tanto quanto quella architettonica. Questi modelli pongono dei vincoli che, secondo Gehry, bisogna sfruttare come un surfista sfrutta l’onda cavalcandola in piedi sulla tavola (p. 151). Nella stessa intervista lamenta un ritorno dell’architettura all’austerità “intesa come valore”, da lui paragonata alla marcia dei Lemming (p. 148). A quel tempo la considerava un limite posto all’espressione in architettura che presto si sarebbe superato, ma le cose non sono andate così: l’austerità intesa come severa semplicità rappresenta ancora un “valore”. Lo testimonia Renzo Piano con la dichiarazione fatta a proposito del nuovo Ponte di Genova: “Sarà un ponte bello, bello com'è intesa la bellezza a Genova. Un ponte molto genovese. Semplice ma non banale. Un ponte di acciaio, sicuro e durevole. Perché i ponti non devono crollare”. 

 

Renzo Piano, progetto per il nuovo Ponte di Genova, 2018. Rendering e disegni illustrati dall’autore.


L’esigenza di “trovare un equilibrio tra bellezza visiva e integrità tecnica”, di cui parla Agrawal nel suo libro, sembra testimoniare una tensione verso un’etica del costruire ancora da farsi, perché non siamo più ai tempi di Vitruvio, quando l’uso della cultura tecnica e scientifica era un officium utile al rinnovamento politico e sociale, e neppure ai tempi di Loos, quando bastava l’onestà della struttura a garantire l’eticità del costruire. Neppure ai tempi della modestia in architettura di Giuseppe Pagano, cioè ai tempi di un’arte del costruire posta al servizio della società e non dell’estro creativo. L’ingegneria strutturale è un territorio nel quale potrebbero germinare nuove idee. La giovanissima Agrawal nata nel 1983 (all’età di soli 23 anni ha iniziato a lavorare alla costruzione dello Shard disegnato da Renzo Piano) racconta nel suo libro del succo di frutta che, insieme ad altre sostanze, compone la miscela usata per saldare la cupola del Taj Mahal, del cartongesso che ha provocato il crollo delle Twin Towers e di molto altro. Soprattutto racconta della forza che “fluisce” attraverso gli oggetti (p. 20).

Questa forza ha un potere di trasformazione, anche sociale.

 

Giovanni Anselmo, Senza titolo, 1966. Foto: Carlo fossati 1999.


Senza titolo è una scultura di Giovanni Anselmo realizzata nel 1966: un sottile stelo metallico verticale inserito in una base. Basta un minimo tocco e lo stelo si flette. “È il mio autoritratto” mi confida all’inaugurazione della mostra Lavori diversi / 2 curata da Carlo fossati (E/static, Torino 1999). Senza titolo è senz’altro uno degli oggetti attraverso i quali la forza “fluisce”. Nel libro Arte Povera (a cura di Germano Celant) pubblicato da Mazzotta nel 1969, Anselmo scrive: “i miei lavori sono veramente la fisicizzazione della forza di un’azione, dell’energia di una situazione o di un evento” (p. 109). Siamo negli anni in cui l’energia che attraversa alcune opere è la stessa che attraversa le relazioni sociali e l’attività politica. 

 

Renzo Piano, Richard Rogers e il loro team nel cantiere del Centre Pompidou, 1972. Studio Piano & Rogers. Fondazione Renzo Piano.


Ora le forze non sono più quelle rappresentate dal pugno chiuso nella foto di gruppo scattata al Centre Pompidou in costruzione, e anche la ricerca ingegneristica è andata oltre. Le biotecnologie aprono un nuovo scenario, imponendo alla ricerca l’adozione di nuovi paradigmi che possono essere utili all’ingegneria tanto quanto alla politica e all’arte, i cui mezzi sono usati da alcuni artisti contemporanei per creare occasioni di esperienza e riflessione critica in ambito sociale, politico e filosofico oltre che artistico.

L’interdipendenza dei sistemi complessi è uno dei temi sui quali sembra convergere la ricerca.

Una recente innovazione dell’ingegneria strutturale è il calcestruzzo “autoriparante” che contiene capsule di lattato di calcio mescolate al calcestruzzo liquido. Nel capitolo sesto del suo libro, Agrawal spiega che le capsule contengono un batterio che si trova nei laghi altamente alcalini e che può sopravvivere senza ossigeno e cibo per cinquant’anni. Se si formano crepe nella struttura in calcestruzzo, l’acqua che penetra attiva le capsule che rilasciano i batteri. Abituati agli ambienti alcalini, come il calcestruzzo, i batteri liberati si cibano delle capsule combinando calcio con ossigeno e anidride carbonica per formare calcite (calcare puro), che riempie le fessure riparando la struttura. Nell’ultima pagina del suo libro, Agrawal profetizza un futuro in cui le case realizzate in materiale biologico potranno “crescere” adattandosi ai nostri bisogni. 

Le biotecnologie hanno aperto un nuovo fronte di ricerca anche nelle arti visive. L’opera Echoes of the Arachnid Orchestra with Cosmic Dust di Tomás Saraceno è a questo riguardo emblematica. Il lavorio di un ragno che tesse una ragnatela è amplificato da microfoni che captano le vibrazioni e le restituiscono in suoni; allo stesso tempo lo spostamento dell’aria causato dal suono degli altoparlanti stimola gli spostamenti del ragno. Realizzare ambienti biotecnologici pare sia diventata una tendenza dell’arte contemporanea. L’opera After A Life Ahead realizzata a Münster da Pierre Huyghe per la manifestazione Skulptur Projekte 2017, è forse la più sensazionale per la sua monumentalità. È un habitat la cui mutazione sfugge volontariamente al controllo dell’artista. Gli elementi che lo compongono sono fra loro interdipendenti: dalla texture della conchiglia di un mollusco velenoso (il Conus textile) è stato ricavato un algoritmo che determina l’illuminazione e l’oscuramento dell’acquario che contiene il mollusco e l'apertura o la chiusura di due grandi piramidi create su un soffitto per permettere l'entrata e l'uscita delle api che vivono in due alveari verticali. Quando le piramidi sono aperte lasciano entrare la luce e la pioggia. Dei sensori captano le variazioni della temperatura e dell’umidità determinate dagli agenti atmosferici oltre che dall’affluenza e dalla circolazione dei visitatori. Un incubatore contiene delle cellule cancerogene il cui tasso di crescita è determinato dalle misurazioni eseguite dai sensori. La mutazione delle cellule guida a sua volta il comportamento di alcune forme generate da un software di realtà aumentata. 

 

L’interdipendenza dei sistemi, la loro complessità e imprevedibilità sembrano costituire la nuova frontiera della ricerca in diversi ambiti. Per la scienza delle costruzioni l’imprevedibilità è sempre stata una risorsa. Nella seconda metà dell’Ottocento Henry Bessemer, insufflando aria calda nel forno del suo laboratorio per alzare la temperatura di fusione di alcuni pezzi di ferro, e tastandoli con una barra, scoprì che non erano fragili come la ghisa, ma duttili e malleabili: era ferro puro ottenuto attraverso una reazione esotermica, al quale bastava aggiungere la giusta quantità di carbonio per ottenere l’acciaio. Senza questa scoperta, avvenuta per caso, non avremmo né lo Shard né altra costruzione sostenuta da strutture in acciaio. Senza la casuale scoperta che la pozzolana estratta dai depositi intorno al Vesuvio mescolata con calce, detriti e acqua solidificava anche sott’acqua non avremmo ponti in muratura. Attenzione però: nel laboratorio di Bessemer si scatenò l’inferno: piccole esplosioni e metallo fuso schizzarono ovunque eruttando dal forno. L’imprevedibilità mette in gioco la vita e la morte come nell’opera di Pierre Huyghe o nelle costruzioni che crollano.  

In Crolli (Einaudi, Torino 2005), Marco Belpoliti analizza attraverso la letteratura, l’arte, il cinema e la fotografia la caduta del Muro di Berlino e l'abbattimento delle Twin Towers. Se il crollo del muro aprì uno spazio, quello delle torri lo chiuse con gravi conseguenze geopolitiche. Il crollo è la conseguenza dell’imprevedibilità dei sistemi complessi, quando non si trova un punto di equilibrio: “Il lavoro di un ingegnere assomiglia molto a quello di un giocoliere con i piatti cinesi. Bisogna prevedere, e controllare una moltitudine di problemi contemporaneamente” scrive Agrawal nel suo libro (p. 88). La politica, come l’ingegneria, dovrebbe tener conto dell’imprevedibilità dei sistemi complessi, nei quali l’interdipendenza costituisce un fattore importante, trovando di volta in volta dei punti di equilibrio “perché i ponti non devono crollare”. 

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