Un mundo absolutamente maravilloso

2 Settembre 2015

Mi avete chiesto di scrivere un testo sulle mie letture estive per Doppiozero. Lo faccio, seppure in ritardo, molto volentieri. Ma procederò in maniera disarticolata e per digressioni, me lo perdonerete. Mi sento così, e la disarticolazione è l’unica forma che riesco a portare fuori di me. Quest’estate ho letto e sto leggendo soltanto libri in spagnolo. Ovvero: Los detectives selvajes, Amuleto, Putas asesinas e El gaucho insufribile di Roberto Bolaño; Después del invierno e Octavio Paz. Las palabras en liberdad della messicana Guadalupe Nettel; Una vida aboslutamente maravillosa. Ensayos selectos di Enrique Vila-Matas, El aprendizaje del escritor e Ficciones, di Jorge Luis Borges; i racconti di Cristina Fernández Cubas, La habitación de Nona. La mattina al bar, ad Amsterdam, dove sono in residenza su invito della Dutch Foundation for Literature, leggo esclusivamente El País. In tutto questo: io non so lo spagnolo.

 

Prima digressione sullo spagnolo.

Nel maggio del 2012, al Salone del libro di Torino, ho partecipato ad una conversazione con lo scrittore spagnolo Andrés Barba, autore di alcuni libri, tra cui il bellissimo La sorella di Katia, che Instar Libri ha pubblicato nella traduzione di Federica Niola e che però è purtroppo passato quasi inosservato. Ma insomma: prima che cominciasse l’incontro, hanno chiesto ad entrambi se volessimo un interprete. Essendo la Spagna il Paese Ospite, il pubblico era misto, il che – ci hanno comunicato – di per sé non rendeva necessaria la traduzione. Barba ha risposto che non ce n’era bisogno, che capiva l’italiano, perché tra italiani e spagnoli funziona in questo modo. Io ho confermato che era proprio così. Poi abbiamo detto frasi del tipo che questa era la vera Europa, e io devo aver citato il film di De Oliveira, Un film parlato, in cui ciascuno si esprimeva nella propria lingua e tutti si capivano. Quindi siamo saliti sul palco, e per un’ora abbiamo conversato. Difficile immaginare un’intesa più riuscita. Siamo coetanei, e nonostante io nutra infinite perplessità sui discorsi generazionali, questo deve avere in qualche modo aiutato: ci siamo integrati reciprocamente a meraviglia. Gli studenti e gli insegnanti – avevamo un pubblico di scolaresche, soprattutto – ci hanno confortato con applausi e complimenti finali. Al termine dell’incontro, io e Barba ci siamo abbracciati virilmente e ci siamo detti che era stato molto interessante: intesa perfetta, immaginario comune, ironia, totale sintonia generazionale. Quindi ci siamo salutati. Poco dopo l’incontro mi ha raggiunto un’amica che ha vissuto anni a Barcellona e a Città del Messico. Si è avvicinata e mi ha detto con uno strano sorriso che era stato un incontro surrealista: nessuno dei due aveva capito nulla di quello che l’altro diceva, motivo per cui andavamo avanti lungo binari che mai si sono incrociati. Rispondevamo a quello che pensavamo che l’altro avesse detto, ma che in realtà non aveva detto. Le ho chiesto se secondo lei le persone in sala se n’erano accorte, e lei mi ha detto, con un lieve imbarazzo, di sì. Andrés Barba ed io avevamo inventato quello che l’altro diceva. Per questo era stato molto facile trovarsi d’accordo. Ciascuno di noi portava avanti una sorta di monologo interiore per due voci. Una delle due voci era incarnata da un tizio seduto sulla sedia accanto che gesticolava con un microfono in mano arringando alla folla.

 

Seconda digressione sullo spagnolo.

Il primo autore che ho letto in spagnolo è stato Enrique Vila-Matas. Ed è stato anche – mi rendo conto che possa sembrare strano ma tant’è – la prima persona spagnola con cui ho parlato in vita mia. Da quando ci siamo conosciuti, poi, abbiamo continuato a parlarci e scriverci regolarmente. Sempre ciascuno nella propria lingua. Tutto ciò è avvenuto prima dell’incontro con Barba al Salone del libro di Torino. Ai tempi avevo letto in spagnolo Bartleby y compañía e Suicidos Ejemplares. La lingua e l’immaginario di Vila-Matas sono così assorbenti che, come avviene con tutti i grandi scrittori, piegano il mondo e se lo fanno assomigliare: di colpo, succedevano moltissime cose che sarebbero potute succedere soltanto in un suo romanzo. Da quel momento in poi –  ovvero da quando ho conosciuto Vila-Matas – tutto quel che ho letto in spagnolo mi è sembrato scritto da lui. Il mondo in lingua spagnola, che si trattasse di un articolo di giornale di carattere culturale, economico o sportivo, o di un saggio, o di un volantino pubblicitario, o di un manifesto elettorale, non era nient’altro che un suo prodotto. Era Enrique Vila-Matas che scriveva, sotto pseudonimo, tutti gli articoli di El Pais, era Vila-Matas che costruiva un’infinita opera letteraria, seppure con stili anche molto diversi tra loro così come erano diversi gli eteronimi. Io leggevo e aggiungevo un tassello alla comprensione della sua opera. Vila-Matas è di per sé uno scrittore prolifico: in questo modo non solo diventava infinitamente prolifico, ma di fatto si trasformava nell’unico autore di lingua spagnola al mondo.

 

Terza digressione sullo spagnolo.

A giugno di quest’anno sono stato a Barcellona a presentare un mio libro che si intitolava Saludos cordiales, che è la traduzione del mio Cordiali saluti, uscito in Italia dieci anni fa presso Einaudi. Come avviene in questi casi, nei giorni della promozione, mi sono sottoposto ad alcune interviste. I giornalisti si sedevano sulla sedia accanto alla mia e mi facevano delle domande in spagnolo a cui poi io rispondevo in italiano. A mediare, però, c’era Carlos Gumpert, il traduttore del mio libro (nonché di molti altri romanzi italiani) prestato in quel momento all’interpretariato. Mi dilungo sempre troppo, nelle risposte: credo nella complessità, la pratico, ma a volte del tutto a sproposito. Come in quel caso. Ad ogni modo, quando Carlos Gumpert traduceva le mia risposte – mantenendo miracolosamente tutta la loro inutile complessità – avveniva una specie di prodigio. Le mie considerazioni, complesse ma non particolarmente pertinenti, diventavano di enorme interesse appena si sviluppavano in spagnolo. Ascoltavo allibito Gumpert: in spagnolo il mio pensiero era infinitamente più interessante di quanto non lo fosse in italiano. In spagnolo, diventavo uno scrittore con un immaginario tipicamente spagnolo. Molto vilamatasiano, pensavo ascoltandolo. Da quel momento in poi ho ampliato ulteriormente la mie già lunghe risposte, perché durasse più a lungo il tempo in cui – grazie alla macchina magica custodita da Carlos Gumpert – sarei stato un tipico scrittore di lingua spagnola.

 

Di qui la decisione di passare l’estate a leggere soltanto in spagnolo: di trasferire il mondo e gli esseri umani dentro lo spagnolo, così da riuscire ad apprezzarli di più di quanto, purtroppo, non riesca a fare. Il che, mi rendo conto è una considerazione anche amara, ma l’amaro d’estate esiste anche fuori dalle aranciate. Così insomma, eccomi qui, ad Amsterdam, a scrivere un romanzo in italiano e leggere soltanto in spagnolo. Leggo un unico autore che si chiama Vila-Matas e che ha scritto, firmandoli con nomi diversi, i seguenti libri: Los detectives selvajes, Amuleto, Putas asesinas, El gaucho insufribile, Después del invierno, Octavio Paz. Las palabras en liberdad, Una vida aboslutamente maravillosa, El aprendizaje del escritor, Ficciones e La habitación de Nona. Forse li capisco. Forse li invento. In quel caso, mi duole ammettere, sono tutti libri miei.

 

Un caro saluto

Andrea

 

Amsterdam, 24 agosto 2015

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