La fabbrica della comunicazione

11 Gennaio 2015

Non in una generica "tipografia", come riferito dall'informazione. La fuga dei pluriomicidi di Charlie Hebdo è terminata in un'azienda di Dammartin-en-Goële che produce materiale pubblicitario. Lì dove si realizzano affissioni, stampe su vetrate, pannelli adesivi, palloncini promozionali... Partiti da una redazione, diventati tremenda notizia globale, i fratelli Kouachi hanno finito la loro corsa nel più significativo dei luoghi: una fabbrica della visibilità.

 

Votre communications sur tous supports, recita il claim dell'azienda, che ora pare un commento alla tragica notorietà ottenuta dai due killer. Il nome stesso della ditta di Dammartin - Création Tendance Découverte - suona come uno slogan del terrorismo contemporaneo: creazione di pratiche della paura finora inconcepibili, tendenza egemonica per gli jihadisti di tutto il mondo, scoperta nell'occidente di fragilità sempre nuove.

 

 

Tuttavia la sinistra consonanza tra le parole commerciali e quel percorso di morte va oltre il progetto mediatico dei terroristi. Certo, più di ogni altra cosa essi vogliono essere un contenuto di comunicazione, e su ogni supporto, come dice lo slogan. Tutto, nelle loro azioni, aspira a essere diffuso e d'ispirazione per altri. E una fine "da eroi" gli importa, come pare abbiano dichiarato, ma che questo accada in diretta mondiale deve sembrargli di massima utilità alla causa.

 

Andare a morire tra gli oggetti pubblicitari, però, ricorda piuttosto una celebre scena di Zombie, il classico horror di George Romero (1978), nella quale i morti viventi affollano un centro commerciale e un personaggio commenta “Deve essere una sorta d'istinto. Il ricordo di quello che erano abituati a fare. Era un posto importante quando erano vivi”.

 

Zombie di George Romero, 1978, frame

 

Questo terrorismo sembra cioè non poter vivere nessun'altra dimensione se non quella forzata di una comunicazione da perseguire fino allo stremo. Un'angustia senza uscita, una gabbia disperata. Se in questi anni abbiamo assistito alla loro crescente capacità di penetrare nella modernità mediatica, è forse iniziata un'altra fase.

 

Ora sembra sia il sistema dei media ad agire su di loro. A costringerli a produrre morte sempre più ferocemente, in un circuito infernale che parte da una strage e finisce con l'autodistruzione. Solo così essi sentono di poter mantenere intatto il proprio monoteismo dentro il mondo della comunicazione che hanno invaso, attraversandolo senza cedere niente di sé, senza perdere il sacro, senza prima o poi lentamente diventare altro.

 

Parigi, 9 gennaio 2015, assalto all'Hyper Cacher per la liberazione degli ostaggi

                                                                                         

C'è qualcosa d'inesorabile nei nostri media globali, come una kafkiana macchina del supplizio. Le immagini dell'altro scontro a fuoco, quello di Parigi, ne mostrano un silenzioso emblema: davanti al negozio ebraico, mentre dentro si moriva, un'affissione rotor ha continuato impassibile ad alternare i suoi variopinti messaggi pubblicitari. Raggelante, oppure terribilmente tenace.

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