Atelier d’estate / 4

27 Agosto 2013

Downtown Abbey in cambio di The Killing, The Bridge in cambio di The Newsroom: le serie televisive si scambiano come figurine, accendono discussioni, permettono identificazioni, diventano un sottotesto comune del globale. Esercito l’inglese, mi preparo al viaggio in Danimarca, intanto guardo Borgen (in danese con sottotitoli). La mia amica attiva in politica non ne vuole sapere, teme che per lei sia troppo realistico, la mia amica giornalista ne ha già discusso in redazione, in coppia si rischia il litigio, perché la serie parla dell’arte del possibile, la politica, e di quella impossibile, il rapporto tra i sessi.

 

Quello che in questo caso fa la differenza è che il politico protagonista non è il tradizionale lui, ma un’affascinante e capace lei: Birgitte Nyborg (Sidse Babett Knudsen), leader del Partito moderato che diventa, a sorpresa, primo ministro. In Danimarca – quarto paese al mondo per il tasso di partecipazione politica femminile – una cosa del genere è capitata davvero, infatti dal 2011 è premier Helle Thorning Schmidt.

 

 

Gli episodi (in italiano su LaEffe) hanno il ritmo di un giallo, il plot appassiona per l’intreccio dei temi e dei destini nel triangolo dello scontro tra governo, media e vissuti dei protagonisti. L’attualità incalza, già la costituzione del nuovo governo è un percorso a ostacoli, agli habitué del palazzo il premier donna pare più facile da manipolare, in coro l’ammoniscono: basta che non facciamo la fine dell’Italia. Ogni puntata – introdotta da una citazione sull’esercizio del potere, da Cicerone a Kipling, da Churchill a Shakespeare  –, ha un ordine del giorno dettato, insieme, dall’agenda politica estera o interna e dalla pressione della realtà privata. Katrine, la giovane giornalista in carriera, è l’amante del consigliere di un politico che rischierà la carriera per il vizio cleptomane della moglie, Hanne, giornalista navigata, si ubriaca perché non riesce a comunicare con la figlia, Kaspar, lo spin doctor di Birgitte, è perseguitato da un passato segreto. Tra casa e lavoro non ci sono altre dimensioni – come in molte esistenze metropolitane l’unico stacco è la corsa open-air o la palestra.

 

 

Borgen (la serie scritta e ideata da Adam Price) significa castello, è il soprannome del Christiansborg Palace, situato su un isolotto del centro di Copenaghen che concentra in uno stesso edificio i poteri del Parlamento, dell’esecutivo e della corte suprema.

 

Onesta e tenace, Birgitte Nyborg cerca di governare senza rinunciare ai suoi ideali e valori, per lei la politica si declina con l’etica. Tranelli e tradimenti, agguati e sgambetti, attacchi della stampa la portano ad affinare la strategia e la tattica, mentre cerca di rimanere se stessa impara l’arte del divide et impera. Consapevole dell’ambito di manovra ristretto che ha in patria, punta ad acquistare un ruolo sulla scena internazionale. Sono le puntate, aggiornate e interessanti, che portano lo spettatore in Africa e in Afghanistan, che fanno conoscere una realtà particolare come la Groenlandia. Uno scoop giornalistico rivela che sull’isola più grande del mondo, a statuto autonomo, che appartiene al regno danese, sono detenuti clandestinamente prigionieri di Guantanamo. Il primo ministro decide di andare a vedere di persona, scopre una natura splendida impervia per gli umani. Per chi la abita è un paese senza speranza, la maggioranza si affida all’alcol, una persona su cinque cerca ogni anno di uccidersi. Rinegoziare la presenza americana diventa un modo per ridare dignità a chi vive nella “terra degli uomini” – com’è chiamata nella lingua indigena.

 

Le giornate volano in una continua guerra dei nervi, Birgitte controlla stress e stanchezza – approfitta degli attimi per distendersi sul divano, per farsi un tè o per togliersi la maschera del sorriso dalla faccia. L’acrobazia più spericolata è tenere insieme il privato e il politico, il suo ruolo pubblico con il matrimonio e i figli. La sua famiglia danese è solidale e democratica, il suo successo condiviso, il cambio di status nella egualitaria Danimarca non prevede domestici né babysitter, la bicicletta rimane il principale mezzo di trasporto. Il marito Phil, docente universitario, l’accoglie con un bicchiere di vino e gesti amorosi, lei cerca di arrivare in tempo per dare a Magnus e Laura il bacio della buonanotte. Ma Birgitte  spinge le ore sempre più in là, finché la giornata lavorativa occupa tutte le ventiquattro. Quando torna, sempre più spesso i bambini sono a letto, anche Phil dorme già.

 

 

La sua capacità multitasking va in crisi dentro le mura domestiche, mentre il cellulare continua a squillare le viene richiesto un altro tipo di attenzione. C’è la crisi di governo, a casa però è Natale, Phil riceve una proposta di lavoro che potrebbe interferire con l’orientamento del primo ministro. Il governo è blindato per un summit di pace, a casa va in scena la catastrofe: il marito chiede il divorzio, la figlia adolescente ha attacchi di panico, e deve essere ricoverata. Il crescente successo politico si rovescia nel fallimento privato. Il primo ministro si ritrova sola ad affrontare la malattia della figlia e le critiche dell’opposizione. Il fattore umano che per un politico uomo è considerato valore aggiunto, per una donna diventa segno di debolezza. Lo psichiatra della figlia non ha dubbi: è la carriera della madre che ha prodotto il crollo della figlia. Lo spin doctor vorrebbe che lei uscisse allo scoperto, si raccontasse, facesse del gender la sua arma. Ancora una volta il primo ministro stupisce. Decide di fuggire la ribalta, di proteggere la figlia. Affida provvisoriamente il governo a un vice. Una psichiatra empatizza con il suo senso di colpa, in un dialogo entrambe confessano di fare parte del club delle workalcoholic.

 

Quando torna i sondaggi sono dalla sua, il bilancio viene approvato, in un discorso ricorda i nomi delle prime quattro donne che sono entrate, nel 1918, nel  parlamento danese. Indice le elezioni di cui non ha paura, per essere giudicata non per il suo essere donna, ma per la sua capacità di governo. Birgitte ha rischiato di perdere casa e Borgen, la sua coerenza paga. Finalmente può alzare la voce con il marito, che sembrava forte invece è scappato. Siamo alla puntata venti, forse Phil tornerà, si vedrà.  
Borgen ha stupito per il successo in paesi diversi, a tenere desta l’attenzione non è solo la politica, quanto il racconto di una dimensione nella quale oggi molti possono riconoscersi.

 

Borgen parla di un mondo dove i ruoli dei partner sono interscambiabili, dove i figli crescono anche senza genitori, e il peso della mediazione tra casa e fuori è tutto sull’elasticità della coppia che prima o poi, sempre più prima, scoppia. Avere un impegno lungo come il giorno ed essere moglie e madre è un sogno onnipotente. Che oggi, a emancipazione avvenuta, inizia a spaventare anche le donne.

 

In un sondaggio di una settimana fa, il 43% delle donne croate intervistate ha dichiarato di non volere un ruolo dirigente se questo significa lavorare dodici ore al giorno, di preferire un part-time per avere tempo e nervi per gli altri e per se stesse. Vista dalla Croazia la donna ideale rimane scandinava. Da lontano tutto sembra più grande.

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