Dada e Surrealismo a Alba / Avanguardia e sogno

7 Febbraio 2019

Ah, le avanguardie! Ma perché a un certo punto se ne è parlato così male? Traditi, pentiti, disillusi? Si rimprovera loro quello che si dà per scontato oggi? Cioè che il mondo è quello che è, che là fuori è la giungla, che il sistema... Sia come sia, però, insomma, un’effervescenza, un impegno, un coinvolgimento tali che sembra che si inventasse qualcosa ogni giorno per sé e ogni settimana in condivisione, ogni opera era l’elaborazione dentro la propria poetica di un’idea che circolava. Oppure diciamolo così: quelle beghe, quelle contraddizioni, quei fallimenti che gli si rimprovera, erano la vita stessa di quella vita, e la sua nuova forma.

Nostalgia? No, grazie, si fa solo per dire, per invitare a visitare una mostra di più, leggere una rivista di più, tentare qualcosa diversamente.

Una rivista: quando leggo “Mousse” – purtroppo ora solo in inglese, ma è un segno non solo di mercato ma anche di pubblico interessato – a volte ho l’impressione che in certe capitali internazionali ci sia ancora questo fermento, naturalmente di altro tipo, su altri registri, ma si ha l’impressione che un dibattito ci sia, che gli artisti e i critici si confrontino su argomenti che condividono, che li interessa.

Ma veniamo alla mostra: a Alba, nel regno illuminato della Ferrero, si può visitare ancora fino al 25 febbraio – gratuitamente! e per questo è meglio prenotare perché c’è sempre la fila – la mostra Dada e Surrealismo, con opere dei due movimenti artistici provenienti dal Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam e curata da Marco Vallora.

 

René Magritte, Le bon exemple, 1953.


Il sottotitolo è un po’ scontato, richiamando i due termini più usati per i due movimenti nell’immaginario comune, “Dal Nulla al Sogno”, ma a pensarci l’effetto è interessante, poetico invece che definitorio: è un passaggio, quello dal nulla al sogno, invece che al reale, che non va per contrasto né per condensazione ma per spostamento, mantenendo un’evanescenza, un’immaterialità. È curioso pensare in questi termini a tutto quell’agitarsi che si sono dati i surrealisti, a tutte le opere, le figure, gli oggetti.

In mostra ci sono alcune delle opere imperdibili dei principali protagonisti dei due movimenti: c’è il Torso ombelico di Jean Arp, c’è la Scatola-in-valigia di Marcel Duchamp, c’è lo sfacciato Egoismo di Francis Picabia, Man Ray a iosa, dagli “oggetti a funzionamento simbolico” più famosi (il ferro da stiro con i chiodi, la macchina da cucire impacchettata...) a fotografie e “rayogrammi” a diversi dipinti, così come numerosi Dalì, dal telefono-astice a quadri famosi come Il grande paranoico e Impressioni d’Africa (accompagnato da impressionanti disegni preparatori); c’è l’enigmatico Pittura-poesia di Joan Mirò dedicato a Michel Leiris e Georges Bataille; c’è la misteriosa Coppia di Max Ernst, nonché suoi bellissimi “frottage”; ci sono diversi René Magritte, famosi e no, tra cui un comicissimo e inquietante Personaggio seduto che raffigura invece un uomo in piedi! Ci sono le foto delle Bambole di Hans Bellmer ormai diventate imprescindibili… e così via per tanti altri artisti. Insomma la mostra è davvero antologica e di grande soddisfazione già sotto questo aspetto.

 

Max Ernst, Le couple, 1923.


Le opere sono raccolte in otto stanze intorno ad altrettanti nuclei tematici piuttosto che secondo un percorso cronologico: la finalità della mostra non è storica ma di rilettura e reinterpretazione. Anche i temi sono non solo i più noti e inevitabili, ma anche qui non senza slanci: così dal “nulla”, o particolare negazione (“Dada non vuol dire nulla”), di Dada si passa agli elementi di continuità con il Surrealismo, quindi al sogno e al doppio “a lezione da Freud”, si fa una pausa di riflessione con i “padri nobili e segreti” del Surrealismo, ovvero poeti e scrittori come Lautréamont (le non notissime illustrazioni di Dalì ai Canti di Maldoror) e Raymond Roussel o il “performer”, diremmo oggi, Arthur Cravan, pugile-poeta-viveur; viene quindi naturalmente l’Eros, l’“amore folle”, non senza il risvolto di quello che viene qui chiamato “corpo offeso”, cui segue una nuova pausa sul “cuore antico” della “rivolta del Moderno” – e qui la parte da leone la fa Giorgio de Chirico – per passare a un tema meno noto qual è l’interesse dei surrealisti per la scienza nuova, dalle geometrie non euclidee alla relatività alla scissione dell’atomo (in cui Dalì vedeva l’apice “paranoico critico” dell’incontro tra fisica e metafisica). Chiudono infine una riflessione sul “rapporto tra arte e cultura di massa” e una chiusura che è giustamente un’apertura e titola “Verso la libertà?”, con bel punto interrogativo.

 

André Masson, copertina di minotaure, n. 12-13, 1939.


Ma non solo opere eccellenti, dicevamo. Vorrei dire semplicemente: tutto quel materiale che solitamente il pubblico considera di complemento, di arricchimento documentativo, di curiosità nelle mostre, e che fortunatamente invece è ormai sempre più abbondante, non è lo sfondo, non il resto, ma una parte essenziale, a diverso titolo, e la parte "viva" anche, quella che ci fa entrare dentro la scena, dentro il lavorio delle menti e dei corpi, dentro i dettagli come dimensione ulteriore e diversa, io vorrei dire dentro l'arte dalla parte degli artisti, della fase e delle ragioni dell’ideazione e creazione, non di quella "dopo", che dà l'opera per fatta e fatta per noi che la guardiamo, come se fare arte fosse fabbricare un oggetto (d'uso, fosse pure intellettuale). Con il Dada e il Surrealismo, dicevo all'inizio, questo è addirittura epico, con eventi continui, provocazioni, scandali ricercati, litigi, esclusioni, amori, suicidi.

Si guardino allora con curiosità le fotografie, i documenti, i libri illustrati, quelli "d'artista" (la meravigliosa Histoire naturelle di Max Ernst non è certo un'opera minore), le riviste (con fantastiche copertine belle come quadri), come erano impaginate e con che testi certe immagini che conosciamo magari a parte, o viceversa (come per esempio il proprio per questo frainteso La fotografia non è arte di Man Ray), gli interventi d'artista per i libri dei poeti (come l'incredibile doppia pagina di Dalì per Notes sur la poésie di Breton e Éluard, che sembra un Do it Yourself di Andy Warhol, se non fosse per i volti allucinati delle due donne), e gli oggetti, anche di arte "applicata" (e anche se bruttini, come a me sembra la boccetta di profumo Le Roy Soleil di Dalì per Elsa Schiaparelli, o belli come le carte da gioco Puiforcat), o le opere e gli artisti cosiddetti di secondo piano, in realtà rivelatori di altri piani e percorsi (conoscevate la tavolozza sporca di colore con su scritto Mer de merde di Man Ray?). Questa mostra ne è ricca e fonte di una quantità di scoperte.

 

Dalì, Autoritratto studio per impressions d'Afrique, 1938.


Il catalogo è molto bello, ricco di tutte le immagini e molte di più. Il curatore Marco Vallora si è prodigato in un lungo racconto dei due movimenti e di analisi di ciascun tema delle sezioni, disponendo anche un’antologia finale, vezzosamente intitolata “Marginalia” (in onore di Edgar Allan Poe), con testi vari su ulteriori temi per niente marginali. Al centro poi un’ampia messe di contributi eccellenti, di alto livello italiano: Sergio Givone riflette sul Nulla, Pietro Bellasi sulla “ricerca di una vita invivibile” tra quotidianità e spettacolo; Valerio Magrelli ripercorre il periodo e gli eventi dei due movimenti, Paolo Fabbri e anche Antonella Sbrilli indagano il ruolo del gioco, dei giochi, nel Surrealismo, mentre Andrea Cortellessa racconta le città al centro di tre occasioni surrealiste, Bruges-la-Morte, Nadja e Vertigo; e ancora: Marcello Barison legge il Surrealismo tra etnografia e filosofia, mentre Giorgio Agamben propone una sua lettura politica; Giovanni Amelino-Camelia ricorda l’interesse dei surrealisti per le scienze contemporanee, e infine Andrea Zucchinali ne ricostruisce il rapporto con la fotografia. Dimenticavo: trattandosi di opere di una collezione, non mancano due preziosi testi di Hanneke de Man e Saskia van Kampen-Prein sulla sua storia e sul museo che oggi le ospita. Un insieme davvero ricco e consistente, così abbiamo al tempo stesso una mostra importante e godibilissima e uno strumento di riflessione di grande livello, un’operazione culturale che può soddisfare tutti, ciascuno secondo i propri interessi.

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