Bianca Guidetti Serra, avvocato di tutte le buone cause

25 Giugno 2014

Bianca Guidetti Serra era stata una donna della Resistenza, ben più che una staffetta partigiana, e in quel biennio tragico e glorioso aveva combattuto al fianco di colui che divenne suo marito, Alberto Salmoni, e di tanti compagni e compagne destinati a un futuro importante (un nome fra tutti, Primo Levi). Era come tanti di quei combattenti iscritta al Partito comunista italiano, da cui, con tanti altri, uscì nel 1956, in seguito al trauma dell’Ungheria. Ma rimase una donna di sinistra, e, anzi, non smise di essere una militante comunista, sia pur diversamente declinando la sua fede politica e la sua passione civile. Fu davvero Bianca la rossa, come recita il titolo della sua “biografia autorizzata” (firmata da Santina Mobiglia, per Einaudi, nel 2009).


Del resto era nata nel 1919, nel fuoco del biennio rosso, nella Torino che Gramsci vedeva come la “Pietrogrado d’Italia”, la capitale della futura possibile rivoluzione proletaria. Seguì invece la controrivoluzione, e la lunga notte fascista. Bianca studiò nel mitico Liceo D’Azeglio, quello di Augusto Monti, e della sua “Banda” di cui furono parte Giancarlo Pajetta, Cesare Pavese, Massimo Mila, Giulio Einaudi…  Ma a quel tempo Monti e buona parte della “Confraternita” erano al confino o in galera. Si addottorò in Giurisprudenza, ma scelse subito da che parte stare, e a quella scelta non venne meno, nei decenni seguenti. La legge fu per lei garanzia per i deboli, non usbergo per i potenti: e concepì l’avvocatura come un servizio non come una professione.

 

 
Fu davvero l'avvocato di tutte le buone cause. Difese i deboli, i perseguitati, gli innocenti ai quali una giustizia ingiusta pretendeva di far pagare la "colpa" di essere contro le ingiustizie di ogni genere. Non ci fu compagno nella Torino e nel Piemonte degli anni più intensi delle lotte studentesche e operaie che finito nei guai non sia stato sostenuto e aiutato dalla parola incoraggiante, dal sorriso appena accennato, dalla fine dottrina e dall'esperienza dell’avvocato Guidetti Serra. Bastava una telefonata, e lei arrivava, o se impossibilitata mandava una sua collaboratrice. Riceveva chiunque le chiedesse udienza. Non credo abbia mai presentato una parcella a chi le si rivolgeva per chiedere aiuto legale, per una manifestazione non autorizzata, per un corteo, per una occupazione o un blocco stradale, per un’accusa (che allora forse persino più di oggi fioccava con grande facilità) di “resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale”. La sua presenza rincuorava i fermati e gli imputati e insieme intimoriva gli uomini in divisa o in toga.


Ma fu rilevante, il suo contributo, soprattutto nello svelamento e nella denuncia delle schedature perpetrate illegittimamente e clandestinamente dalla Fiat ai danni dei suoi dipendenti, in una battaglia che segnò gli anni Settanta, e impose la Guidetti Serra come un’eroina moderna della giustizia e della legalità: non quella astratta, ma quella dalla parte degli ultimi. Dopo quella vicenda nessun datore di lavoro, fino ai tempi di Marchionne, si permise più di trattare i lavoratori come materiale inerte, sul quale si potevano commettere abusi e soprusi.


Eppure seppe essere anche donna delle istituzioni. Svolse ruoli  politici, a livello locale, come consigliera comunale,  e nazionale, come deputata. E in quelle assemblee elettive, la sua fu una presenza attenta, capace di dare autentici contributi di sapere e di buon senso, all’insegna di una composta severità piemontese e di una concretezza quasi contadina. Concretezza e buon senso, serietà e semplicità: l’understatement della gente della sua terra. Ma era e rimase fino alla fine donna di sinistra, nemica delle fumisterie, degli ideologismi, e delle dispute che allora come oggi dilaniano la sinistra. Si cimentò anche nella ricerca, in particolare con un lavoro di storia orale che ha fatto epoca: Compagne. Testimonianze di partecipazione politica femminile (Einaudi, 1977), che testimoniava ancora una volta la sua appartenenza e la sua vocazione militante.


Bianca la rossa è mancata ieri a Torino, nel giorno in cui la città festeggia il santo patrono, San Giovanni Battista, poco prima di raggiungere il traguardo dei 95 anni, nel grande appartamento di Via San Dalmazzo, che fu anche sede del suo studio legale. Era molto minata nel fisico da tempo. Ma il dolore e il rimpianto accompagneranno tanti della mia generazione, oltre che i pochissimi sopravvissuti della sua.

 

La sua scomparsa avviene nella discrezione con cui aveva condotto l’intera esistenza: si può dire senza enfasi che fu una grande persona che rifuggì dai palcoscenici, e che concepì la militanza partigiana, l'avvocatura, l'attività politica e quella intellettuale come autentico servizio alla collettività, a cominciare da coloro che hanno minori possibilità, ma maggiori bisogni.


Grazie, Bianca. Non dimentico, non dimentichiamo quanto aiuto hai dato a tanti e tante di noi. Avrebbe meritato ben altri incarichi e onori, data la sua dirittura morale, il suo valore intellettuale, la sua competenza giuridica e anche la sua sensibilità istituzionale. Ma a ben vedere, queste virtù appaiono, nel nostro tempo infame, ostacoli e non incentivi ai pubblici riconoscimenti.

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