Con delle cuffie sulle orecchie

5 Aprile 2015

Raramente si pensa ai materiali che sono serviti alla costruzione delle case nelle quali abitiamo, così come raramente ci si preoccupa di sapere da dove provengano le tonnellate di pietre, mattoni e cemento che ci circondano. Qui a Parigi ad esempio conoscevo le cave del parco delle Buttes de Chaumont, attive fino alla metà del XIX° secolo, per esserci andato diverse volte sia con mio figlio che con amici. La loro parte emersa almeno, già perché la maggior parte di queste cave sono sconosciute e inaccessibili ai più, quindi misteriose e spesso 'dimenticate'. Avevo sentito dire di lavori di consolidamento a Ménilmontant, dove ho abitato per alcuni anni, di cemento versato per settimane intere in buchi oscuri senza saper bene dove questo andasse a finire e se mai quel buco si sarebbe potuto veramente colmare. Ma quando si dice che Parigi è costruita per buona parte su una sorta di groviera, si pensa normalmente alla metropolitana, alle fogne o alle catacombe, raramente a qualche cosa di più prosaico come sono le cave di pietra. Non sapevo invece che cave di ancor più grande dimensione esistono subito al di là del périphérique. Anche queste cave sono oggi quasi completamente lasciate all'abbandono e solo quando crepe sospette appaiono sulle case che le sovrastano ci si ricorda di questi abissi.

 

Così a Malakoff, città non residenziale ma neppure popolare, subito fuori Parigi, verso sud. E probabilmente avrei continuato ad ignorare la loro esistenza se non fosse stato grazie alla giovane artista francese Capucine Vever. Infatti a seguito di una residenza d'artista alla Maison des Arts de Malakoff e in collaborazione con la Biennale de Belleville, ha potuto presentare Yet Another Hole I Didn't Know About (Ancora un altro buco che non conoscevo) centrato appunto sulla scoperta sonora di questi meandri sottostanti grazie a una passeggiata sonora sul tetto di quei vuoti in due quartieri, Malakoff e Belleville, col sottosuolo come una groviera.

 

Da sinistra: In situ, Malakoff; dettaglio della mappa di Malakoff

 

 

 

Durante l’apertura delle mostre si poteva prendere a prestito uno smartphone con la sua cuffia audio e iniziare la passeggiata guidati dalla mappa del territorio circostante che appariva sullo schermo dell'apparecchio con ben evidenziate le cavità sottostanti. Ma la passeggiata rimane libera, non c'è nessun percorso obbligato così si può deambulare tranquillamente per il quartiere. L'unica regola è data dalle macchie bianche segnalate dallo schermo e che materializzano le cavità sottostanti: fino a che si è al di fuori di quelle macchie lo smartphone rimane silenzioso e si odono quindi solo i suoni della città attutiti dal porto della cuffia, ma appena si entra nel perimetro di quelle aree lo smartphone comincia a funzionare e a trasmettere i suoni registrati. Detto altrimenti, se usciamo da sopra quei vuoti il suono registrato si interrompe, tornando così ad un ascolto del presente, ma il suono riparte, là dove s'era interrotto, appena torniamo sui vuoti, ritrovando così un ascolto ‘guidato’. Infatti la cuffia isola dai suoni esterni, separa un oggetto sonoro presente ma di cui ci si vuole sbarazzare (il traffico urbano in questo caso) da un altro oggetto sonoro fisicamente assente, reso possibile solo grazie alla geolocalizzazione dell'ascoltatore, e la cui origine è situata in un altro momento temporale. Del resto ogni ascolto in cuffia mette in atto questa separazione temporale tra un presente indesiderato e un passato fissato. Così, una volta sulle cave, il nostro cervello avrà tendenza a concentrarsi più sui suoni registrati, ma la cui origine è esterna al momento presente (attenzione comunque alle macchine attraversando!) che sui suoni originati dal e nel luogo in cui siamo. Così queste cuffie sulle orecchie funzionano come elemento di trasmissione tra un tempo passato, quello della registrazione, e un tempo presente, quello della diffusione, dell'ascolto, e non come una sorta di stetoscopio che ci permetterebbe di auscultare il sottosuolo anche se forse è proprio questa l'impressione che Capucine Vever vorrebbe dare.

 

Capucine Vever

 

Concretamente abbiamo diverse aree, corrispondenti ad altrettante cave, e al di sopra di ognuna di queste le cuffie ci trasmettono un testo che descrive il territorio che vediamo davanti a noi, ci racconta la storia della cava, eventuali aneddoti o incidenti ad essa legati, il tutto ‘tenuto assieme’ da suoni dovuti a Valentin Ferré, artista sonoro e complice di Capucine Vever in numerose occasioni. Questi suoni che fanno da legame tra un testo e l'altro, sono suoni essenzialmente percussivi che fanno pensare a pietre che rotolano, e per i quali l'importante riverberazione aumenta ancora di più l'impressione che provengano da uno spazio vuoto, contribuendo così a creare un senso di vertigine come se 'vedessimo' al di sotto dei nostri piedi la voragine insospettata che sovrastiamo. Suoni essenzialmente gravi che evocano l’oscuro della cava attraverso una risonanza cupa, come smorzata e assorbita dalle pareti, atmosfera ben lontana dalla risonanza maestosa delle cattedrali.

 

In un video presentato alla Maison des Arts de Malakoff, Marches parallèles, Capucine è all'esterno, sopra, filmata di schiena, mentre cerca di seguire i movimenti di Valentin Ferré che con un amico è sotto, nelle gallerie delle cave. Di questi improvvisati speleologi udiamo l'ansimare dovuto alla fatica, la descrizione che ci fanno dell'ambiente e i suoni di questo, il tutto filtrato e deformato dall'auricolare che guida Capucine all'esterno. Perché non vedere in questo video una sorta di mode d'emploi per queste passeggiate? Noi al posto di Capucine e l'audio di chi sta sotto al posto di ciò che lo smartphone trasmette. In ogni caso, sia la passeggiata sonora che la visione del video contribuiscono a creare un'atmosfera a metà strada tra il documentario e l'esperienza poetica, l'immagine che si crea tramite l'udito di un mondo sottostante che non possiamo vedere, e che forse non esiste neppure, e le fantasie che tutto ciò può generare in quest'epoca di complottismo e di incredulità in ogni cosa.

 

Comunque sia questa esperienza non è limitata alla durata delle mostre, dato che è possibile scaricare direttamente da casa propria l’applicazione YAHIDKA (acronimo di Yet Another Hole I Didn't Know About) che permette di effettuare le passeggiate a proprio piacimento, basta recarsi a Belleville o a Malakoff e grazie al sistema di geolocalizzazione si può ascoltare la parte sonora direttamente sul posto.

 

Se nelle passeggiate sonore di Capucine Vever ci si incammina per le strade della città, quelle di Pierre Redon si svolgono prevalentemente all'esterno delle città. Infatti ha concepito diverse Marches Sonores per parchi naturali, zone di montagna o attorno ad abbazie isolate. Tutte rispettano lo stesso protocollo. Richiedono un walkman, una cuffia audio o degli auricolari e l'acquisto del CD e della mappa della marcia. Sono camminate che quindi si possono effettuare a qualsiasi momento, ma, a differenza di quelle di Capucine Vever, il loro percorso non è libero, anzi si deve seguire un tracciato ben determinato e, se si vogliono seguire le istruzioni alla lettera, fermarsi ad ascoltare in posti predeterminati in una sorta di «fermati e ascolta!».

 

Una mappa di Pierre Redon

 

Anche in Pierre Redon suoni musicali fungono da legame tra i testi delle varie 'stazioni' d'ascolto, ma questi sono molto meno evocativi del luogo in cui si ascolta che non quelli di Valentin Ferré. I testi sono di persone che hanno vissuto o lavorato in quei luoghi e che spesso ci raccontano come il tempo e la modernità li hanno modificati secondo un intento ecologico ben evidente. Col passare del tempo il suo lavoro è evoluto dal documentario ecologico-sonoro sul territorio e attraverso il territorio verso un percorso iniziatico dichiaratamente sciamanico. Il fatto che le sue Marce Sonore esistano su CD, permettendo così anche un ascolto 'casalingo', testimoniano solamente il fatto che solo cinque o sei anni fa certe tecnologie semplicemente non esistevano. Infatti anche lui in lavori più recenti, come Lichen (2014), usa le applicazioni per smartphone, ma, da buon 'retro-futurista', l'uso di queste tecnologie moderne non gli impedisce un uso sconsiderato di pratiche 'primitivistiche' a base di riti sciamanici, ipnosi o riferimenti a pratiche magiche extra-occidentali che lui definisce come «finzione etnografica».

 

Nel suo lavoro sempre di più la presenza sonora della natura circostante è ridotta, da un lato a causa dell'uso delle cuffie e dall'altro a causa dell'obbligo del cosa e del dove si deve ascoltare. È come se fossimo in una natura silenziosa, senza presenza sonora, e di cui solo ci interessasse l'aspetto meteorologico: la sensazione del sole sulla pelle, la pioggia che cade, il vento tra i capelli, ma tutto ciò resta muto perché rimanga solo ciò che l'autore ci dà ad ascoltare.

 

Altri artisti hanno usato nel loro lavoro le cuffie, l'audio e la deambulazione in uno spazio. Come ad esempio Janet Cardiff e George Bures Miller, anche se le loro Sound Walks sono costruite più come fictions in tre dimensioni nelle quali entriamo come testimoni che come raccolta di esperienze o di ricordi al racconto dei quali assistiamo come in Redon e Vever. Le loro Sound Walks sono concepite come audioguide che guidano, appunto, il partecipante all'interno di uno spazio, di un territorio, la cui mappa è nel supporto sonoro stesso. In questa sorta di cinema per l'orecchio, spesso estremamente suggestivo, tutto è costruito perché il partecipante possa immergersi il più possibile in esse. Immersione che è sovente rafforzata anche grazie al continuo sollecitare la memoria dell'uditore attraverso l'uso nella stessa storia di registri temporali diversi con un frequente passare da un tempo passato a un tempo presente. È probabilmente per questo che le loro Sound Walks risultano essere estremamente direttive, imponendo al partecipante di rinunciare a eventuali scelte individuali. È il testo ascoltato in cuffia che fornisce le istruzioni sulla direzione da prendere e dove dirigere lo sguardo. Così che il presente dello sguardo e dell'ascolto del partecipante, nell'ingiunzione di guardare e ascoltare in quella direzione, si sovrappongono allo sguardo e all'ascolto dei realizzatori, situati in un tempo passato, quello della realizzazione dell'opera. Cardiff e Miller chiedono ai partecipanti di fare di nuovo, seguendo le loro orme, ciò che loro hanno già fatto.

 

Janet Cardiff in ascolto, Mûnster 1997

 

Man mano che la passeggiata avanza una storia è raccontata, vera e propria fiction con tanto di copione, mischiata a effetti sonori, a suoni musicali e a suoni prelevati precedentemente dall'ambiente nel quale si svolge la marcia, come il suono dei passi di una camminata precedente, quella del personaggio che racconta. Così lo spazio in cui si svolge la camminata ha come funzione di fornire un contenente alla storia e al suo spettatore-partecipante. In questa sorta di cinema immersivo la sala di proiezione è sostituita dall'ambiente nel quale il 'regista' ha scelto di presentare la storia. Ma questo spazio, come nelle sale cinematografiche, ha bisogno del silenzio, ha bisogno di eliminare eventuali interferenze, così l'ambiente della camminata deve diventare silenzioso, i suoni esterni e estranei al volere dell'artista devono essere ridotti al minimo grazie appunto alle cuffie sulle orecchie, al percorso obbligato e alla massima attenzione richiesta ai suoni diffusi dalle cuffie.

 

 

Anche Christina Kubish ha usato particolari cuffie a induzione elettromagnetica per ascoltare i brusii inudibili dei trasformatori, dei cavi elettrici e di tutta quella panoplia di apparecchi funzionanti con l'energia elettrica, solo apparentemente silenziosi, ma che generano campi elettromagnetici, linee di forza che non si vedono e che normalmente non si odono ma nelle quali siamo orami costantemente immersi. Le sue prime esperienze con l'induzione elettromagnetica, che risalgono ai primissimi anni ottanta, non si svolgevano però all'aperto ma nel chiuso dei musei o delle gallerie d'arte e questi campi elettromagnetici erano appositamente creati grazie a una rete di cavi elettrici fissati ai muri o sospesi mezz'aria nello spazio della performance. Con apposite cuffie sulle orecchie si potevano captare queste linee di forza e seguirne le variazioni secondo le loro variazioni intrinseche o secondo la distanza dal cavo elettrico.

 

Iter Magneticum Galleria Giannozzo, Berlino 1986

 

Questi cavi elettrici potevano anche permettere, attraverso una segmentazione dello spazio, la delimitazione di spazi di diffusione di determinati suoni così che spostandoci, passando da una zona all'altra, si poteva passare da un suono all'altro. Spostandoci nello spazio della galleria creiamo, coi suoni messi a nostra disposizione dal compositore, un mix personale. Così come in Ocigam Trazom presentato nel 1985 al Palazzo della Permanente di Milano nell'ambito di Intorno al Flauto Magico e poi edito sul CD Mono Fluido.

 

Solo negli anni novanta questo tipo d'esperienza d'ascolto esce dalla galleria d'arte per espandersi nelle città fino a diventare una pratica quasi esclusiva del suo lavoro artistico, tanto che il suo sito recensisce, tra il 2004 e il 2013, ben 47 Electrical Walk. Anche all'aperto il principio rimane lo stesso. Camminare per le strade della città prestando attenzione, ascoltando, le manifestazioni elettromagnetiche che le particolari cuffie sulle orecchie ci permettono di percepire e scoprire.

 

Five Electrical Walks, 2007

 

Alcune di queste Electrical Walks sono state registrate e edite su CD e in questi casi, evidentemente, si tratta di una delle percezioni possibili della performance. Infatti non solo la sorgente sonora, ciò che è dato ad ascoltare, non è costante ma variabile secondo le variazioni della tensione elettrica ad esempio, ma la fruizione che se ne ha, la percezione che se ne ha, è soggettiva, dovuta agli spostamenti, alla permanenza in quel campo o alla prossimità più o meno importante della sorgente sonora. Gli 'incontri elettromagnetici' fatti durante la passeggiata nel caso degli Electrical Walks o della deambulazione nel caso di Ocigam Trazom sono funzione dei nostri spostamenti. Quindi ciò che restituisce il CD è la fissazione di uno degli ascolti possibili, il mix di Christina Kubish delle diverse sorgenti sonore.

 

L'uso delle cuffie ad induzione elettromagnetica nei primi anni ottanta è stato usato anche da un collettivo bolognese, Superfluo, che nell'estate del 1981 ha presentato in un parco di Reggio Emilia Sensibile armonia in commutazione arborea nel quale muniti di apposite cuffie si poteva 'entrare' in diverse aree ognuna delle quali diffondeva determinati suoni.

 

L'intento qui è definito come «intervento di sonorizzazione » di un luogo per creare «ambienti musicali immaginari» come fecero nel luglio dell'ottanta a Bologna nell'ambito del festival Isole del suono. Comunque sia e nonostante le poche informazioni a mia disposizione (e ringrazio fin d'ora chiunque possa fornirmi ulteriori notizie a proposito di Superfluo), ciò che mi interessa qui sottolineare è l'uso estremamente precoce delle cuffie, di questo modo di diffusione del suono. Tutti questi lavori, nonostante i diversi approcci allo spazio e al suono, hanno in comune l'uso di quel particolare aggeggio che sono le cuffie audio e di una mappa che delimita uno spazio o che obbliga a un percorso. Al di fuori della mappa, o di quello spazio, e senza la geolocalizzazione che questa permette, il suono che si vuole dare in ascolto non è più udibile.

Ma il passeggiare con la cuffia sulle orecchie toglie ogni aspetto sonoro al luogo, isola e mette in relazione solo col suono predeterminato, fissato, dal compositore, senza più alcuna libertà o possibilità lasciata al caso. Così come, più in generale, se l'ascolto in cuffia è paragonabile a due altoparlanti che diffondono determinati suoni, ciò che cambia è che, essendo le orecchie dell'ascoltatore il più vicino possibile a questi altoparlanti, ciò che normalmente sarebbe frapposto tra la sorgente sonora, l'altoparlante, e l'orecchio, tra diffusore e ricettore, è eliminato. Ed è per questo che questa tipologia di passeggiate sonore è fondamentalmente diversa da quelle effettuate senza cuffie, ma con le orecchie libere e ben aperte al mondo circostante.

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