La biblioteca di Atlantide / Leo Steinberg, La sessualità di Cristo

1 Settembre 2019

C’è un intero continente di saggi scomparsi che gli editori italiani non ristampano più. Eppure in mezzo a loro ci sono delle vere perle, libri che possono aiutarci a capire il mondo intorno a noi, anche se sono stati pubblicati quaranta o cinquanta anni fa; con questa serie di articoli proviamo a rileggere questi libri, a raccontarli e indicare l’aspetto paradigmatico che contengono per il nostro presente.

 

Sono centinaia e centinaia di opere, quadri, sculture, incisioni, in cui Gesù, sia come Bambino sia come Cristo in croce, figura con il sesso in bella vista. Per cinque secoli, spiega Leo Steinberg in La sessualità di Cristo (il Saggiatore), tutte queste immagini sono state passate sotto silenzio. Lo storico dell’arte, nato in Russia da una famiglia di ebrei – il padre fu membro del gabinetto governativo di Lenin dal 1917 al 1919 – ha scandagliato questo continente sommerso in una serie di conferenze tenute nel 1981 presso la Columbia University di New York e pubblicate come numero speciale della rivista “October” nel 1983, la più importante rivista d’arte della seconda metà del Novecento. Steinberg, che è morto pochi anni fa novantenne, ha insegnato nelle principali università americane ed è stato il più originale studioso di Picasso, Pollock, Rauschenberg, Warhol e altri artisti del XX secolo. Il suo libro è una incredibile galleria della manifestazione fallica del Figlio di Dio. Per non passare da visionario lo storico ha collezionato ben 123 opere nel volume. Perché questa apparizione del Dio sessuato con la Controriforma sia stata obliata, non è difficile da capire, mentre appare teologicamente più complesso spiegare perché il Bambino divino raffigurato con la Madonna in una incisione di Hans Baldung Grien (1511), mostri un sesso ben visibile, oppure il Cristo risorto di Michelangelo (1514-20) abbia un pene di discrete dimensioni (oggi ricoperto da un pudico manto). Dopo la fine del Rinascimento cadde un interdetto su quella che era la manifestazione terrena del Figlio di Dio, dotato di organi genitali alla pari di tutti gli uomini.

 

 

La ragione teologica è semplice: la necessità di rendere il Cristo incarnato fatto di carne e sangue è un atto religioso per quegli artisti, testimonianza della massima impresa compiuta da Dio con il suo Figlio, vero uomo oltre che vero Dio. Se la divinità si è incarnata per subire il destino umano, deve per forza fare propria la condizione di essere sia sessuato che mortale. Attraverso la mortalità di Cristo è assunta anche la sua natura sessuata, parte del progetto divino di redenzione. L’esibizione dell’organo sessuale di Gesù è la prova lampante dell’umanizzazione di Dio. Sant’Anna indica con il dito il pene del Bambin Gesù appena velato da un panno trasparente in un quadro del Cavalier d’Arpino (1592-93) e nella crocifissione di Hans Schäufelein (1512) il perizoma, che copre il Cristo crocefisso, è legato in modo da manifestare un sesso eretto nel più classico motivo itifallico presente pure in altre pitture del medesimo periodo. Di questi motivi c’è evidente traccia, spiega Steinberg, in una novella del Boccaccio, la decima della terza giornata del Decameron, dove l’eccitazione del romito Rustico è con blasfema ironia definita “resurrezione della carne” dopo la sua mortificazione, motivo che si ritrova nel gigantesco quadro di Sebastiano del Piombo conservato a Londra cui collaborò Michelangelo: il perizoma di Lazzaro mostra un’evidente erezione. Altri esempi sono quelli delle deposizioni pittoriche, dove il corpo deposto del Cristo pianto dai discepoli e dalla Madre presenta spesso la mano appoggiata sui genitali ricoperti dal sudario. L’incarnazione della seconda Persona della Trinità costituisce il perno dell’ortodossia cristiana, dove la sua divinità rimase celata affinché il Diavolo non la potesse riconoscere, nascosta persino ai discepoli più intimi del Cristo con i pochi miracoli compiuti.

 

La teologia cristiana mise a punto fino al XVI secolo questo aspetto terreno del Messia separandosi in modo deciso dalla Santa Icona bizantina, dove il motivo terreno è assente. La rassegna d’immagini commentate dallo studioso di Rodin e Jasper Johns – il suo libro più bello sul XX secolo s’intitola Other Criteria (Oxford University Press) – è vasta, con piccoli peni infantili, falli, genitali di varia dimensione e disposizione. In molte opere il sesso di Cristo acquista rilevanza proprio grazie alla mano protettrice della Vergine, con movimenti di grande tenerezza che vanno ben al di là del semplice pudore; la mano di Maria ripara e converte in simbolo la vulnerabile umanità di Cristo come nel dipinto di Giovanni Bellini, Madonna col Bambino  (1475-80). Sono soprattutto i quadri della reviviscenza post mortem di Gesù che identificano erezione e resurrezione recuperando motivi precristiani, ad esempio quello di Osiride, il dio egizio dell’oltretomba, che era raffigurato con il membro maschile ricostruito a forma di lancia.

 

Il quadro di Maarten van Heemskerck, Cristo Dolente (1525-30) esibito in una pagina è connotato dal panno che si erge al centro delle gambe di Gesù coperto di spine, che esprime una sofferenza indicibile, malinconica e triste. C’è poi la questione della circoncisione di Gesù, del sangue di quel rito che ritorna nella memoria visiva del sangue che scende sulla croce e irrora il pube di Gesù. La visualizzazione del dogma, secondo un’espressione che lo storico dell’arte ha desunto da una studiosa italiana, si fonda su una indagine dettagliata delle prediche e dei sermoni cristiani scandagliati dal padre gesuita John W. O’Malley, il cui commento alle conferenze di Leo Steinberg, compare nel volume. Il religioso vi conferma le intuizioni teologiche dello storico dell’arte. Il finale del volume fa molto riflettere. Perché sono scomparse quelle immagini e gli artisti non hanno più insistito sulla sessualità di Cristo? Per vergogna e per pudore? Sì, ma il motivo è più profondo. Lo coglie Stephen Dedalus, il personaggio di Joyce, che indica il costante ritegno fisico che tiene separati padri e figli. Il cristianesimo aveva cancellato questa distanza nel dogma Trinitario, che indica la fusione di divino e umano, attraverso un’altra immagine molto forte: la mano del Padre che si posa sull’inguine del Figlio. L’oblio che è calato sulla complessa iconografia della sessualità di Cristo è “il prezzo pagato dal mondo moderno per il suo storico abbandono collettivo dei fondamenti mitici del Cristianesimo”. Per favore ristampate il libro di Leo Steinberg? È importante e unico.

 

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Questo articolo è apparso sul quotidiano "La Repubblica" che ringraziamo.

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