Noachica / Ricominciare dopo l'ecocidio

10 Giugno 2020

Ricominciare è la parola d'ordine che riecheggia e rimbalza un po' dovunque in questi giorni, come esortazione, speranza e auspicio, e tutti sappiamo perché. Ma da dove ricominciare e in quale direzione è ancora tutt'altro che chiaro. Voci di ogni genere – di scienziati, climatologi, sociologi e di molti altri – da tempo e da diverse parti si alzano e si sovrappongono per avvertire, esortare, ammonire… e ognuna lo fa apportando ottime ragioni. Ma il mondo contemporaneo è diventato estremamente complicato e, oggi più che mai, il futuro è avvolto in una nebbia fitta e oscura. Quando il passato non rischiara l'avvenire lo sguardo avanza nelle tenebre, affermava con una certa angoscia Alexis de Tocqueville assistendo, a metà ‘800, alla fine della società che conosceva. Un senso d'inquietudine pervadeva gli animi mentre soltanto pochi percepivano che qualcosa di totalmente nuovo e ignoto andava preparandosi dietro quelle tenebre, e nessuno sapeva cosa sarebbe stato. Ed è un po' la situazione che stiamo vivendo oggi, e tanti cercano di decifrarla senza arrendersi all’ansia o abbandonarsi a una beota volontà di ignorarla.    

 

In tale contesto, nel vocio che ci confonde e ci snerva, è possibile che abbia qualcosa di significativo da aggiungere una figura tanto lontana come quella di Noè, il biblico costruttore dell'arca? Teresa Bartolomei, filosofa del linguaggio, lettrice profonda e appassionata della Bibbia e docente presso l'Università Cattolica di Lisbona, risponde senz'altro di sì. Afferma anzi che, "paradossalmente, è proprio il nostro tempo, questo XXI secolo carico di minacce planetarie inedite per dimensioni e qualità, che strappa la storia di Noè al regno arcaico della leggenda, gettando una nuova luce su questa narrazione primordiale che ci raggiunge dalle cateratte della storia, rivelando la sua urgenza tragica, la sua carica di duro realismo, la sua rilevanza etica e spirituale." E lo fa nel saggio Dove abita la luce? (Vita e Pensiero), in cui, a partire dalla fondamentale osservazione che la Bibbia non è "un parco archeologico di personaggi e aforismi" ma un grande codice ermeneutico del pensiero e della cultura Occidentale, e che la teologia è una scienza interpretativa del mondo – d'altra parte come affermava il filosofo Kierkegaard, citato nella parte finale del saggio, "non si può parlare dell'uomo senza parlare di Dio" – Teresa Bartolomei analizza la storia di Noè traendone un messaggio utile e incoraggiante per l'oggi. C'è infatti una via d'uscita, una possibilità di salvare il mondo, ma non è una via facile e percorrerla richiede decisione, volontà e determinazione da parte di tutti. Nella seconda parte del saggio l'autrice, poi, si sofferma su un'altra figura neotestamentaria, quella di Giuda attorno alla quale sviluppa un discorso stimolante ma più specificamente rivolto a chi abbia interessi nel campo teologico e spirituale. Mi soffermerò, pertanto, sulla storia di Noè, la più ecologica di tutte le storie bibliche.

 

Spogliata dai suoi contorni mitici essa diventa per l'autrice "un'ipotesi scientifica e storica di stringente attualità" che, aprendo a una nuova prospettiva teologica, porta dalla teologia della creazione alla teologia dell'ecocidio, ovvero al riconoscimento della radice etica della catastrofe ecologica. A lungo si è letto l'episodio biblico soffermandosi sulla decisione divina di distruggere l'umanità perché la malvagità degli uomini era grande e "ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre" (Gen 6, 5). Al punto che Dio si era addirittura pentito di averlo creato e ne era così profondamente addolorato da decidere di punirlo, lasciando perire con lui ogni vivente, animali e piante compresi. La malvagità umana deve essere punita, la fine dei viventi è un danno collaterale che getta un'ombra sulla giustizia divina che non fa differenza tra colpevoli e innocenti. Teresa Bartolomei invita a una lettura che non nega legittimità alla prima, ma spostando l'accento sulle conseguenze delle cattive azioni dell'umanità – del tutto dimentica del compito ricevuto di custode della Terra e delle sue creature – mostra che il custode sta compiendo un delitto: l'ecocidio.   L'intervento divino dunque non è per punire l'uomo per le sue cattiverie, ma per salvare la Terra dalla distruzione che la sua incuria provocherà. In questo giallo in cui il potenziale assassino è il maggiordomo, altrimenti detto il custode, ogni riferimento a fatti e situazioni reali è voluto, compreso l'isolamento di quaranta giorni, nell'arca o altrove; elemento certo non fondamentale, ma evocativo. Così decodificato il mito di Noè presenta l'uomo come colpevole, la Terra come vittima e Dio come suo soccorritore impegnato in un'azione drastica ma necessaria. Laicamente, come ha detto Umberto Galimberti in una recente intervista (il sito AlzogliOcchiversoilCielo) la Terra "si sta vendicando, perché la trattiamo troppo male".

 

 

La prima interpretazione, quella secondo cui il diluvio sarebbe una punizione per la cattiva condotta morale dell'uomo, avverte Bartolomei, era l'unica verosimile nel contesto in cui il racconto biblico si è formato, quando l'idea che l'uomo potesse avere il potere di distruggere la Terra era impensabile. Mentre oggi la seconda lettura, che intende il racconto come un ammonimento e l'intervento divino un'azione estrema per salvare la Terra e la vita, lo rende d'inquietante attualità, perché sappiamo di avere i mezzi per distruggerla. E molti segni ci avvertono che già l'abbiamo molto ferita. La storia, quindi, per noi non suona più soltanto come un mito dall'intento morale, è diventata qualcosa di ancora più serio, è "la profetica formulazione biblica" di ciò che l'autrice chiama, appunto, ecocidio. Nel momento in cui l'iniquità sociale assume "proporzioni talmente vaste da diventare incompatibile con il bene sommo della vita, in tutte le sue forme, al punto da potere determinare la distruzione del pianeta", l'intervento divino può davvero essere considerato malevolo o la natura, che si ribella al destino che le prepariamo, crudele? 

 

La storia del diluvio ci dice due cose "terribili e fondamentali…: che l’irreversibile distruzione dell’ecosistema terra è una possibilità reale, e che essa non è una fatalità naturale o il frutto di una meritata punizione divina, entrambe sottratte al controllo dell’uomo, ma è esclusivamente il risultato di una responsabilità umana e come tale interamente evitabile". E questa potrebbe essere una buona notizia, perché se non è inevitabile non tutto è perduto e possiamo fare qualcosa. Ma cosa? L'opinione pubblica odierna, secondo Teresa Bartolomei, è divisa tra coloro che rimuovono o negano il problema ecologico nel timore che la sostenibilità abbia costi troppo elevati, e coloro che propongono alternative radicali al nostro attuale modo di vivere, rifiutano la tecnologia e pensano a un ritorno a modelli di vita d'altri tempi. Se la prima scelta è omicida ed ecocida, la seconda è discutibile, utopistica e soprattutto poco desiderabile. Non solo, infatti, il tempo e la storia non si fermano né tantomeno possono scorrere a ritroso, ma per di più nel passato tanto agognato la maggior parte della gente viveva malissimo e si moriva di fame e di malattia molto più di oggi. Inoltre, secondo il racconto, Dio spiega a Noè fin nei minimi dettagli come deve costruire l'arca e lo istruisce con estrema precisione su tutto quello che deve fare. È pertanto impossibile trovare in esso un pretesto anti-tecnologico. La via d'uscita suggerita dalla vicenda, per Teresa Bartolomei, risulta evidente se si sofferma l'attenzione sulle finalità di tutto il lavoro richiesto a Noè, ovvero usare tutte le proprie abilità tecniche e la capacità di fare scelte razionali con l'obiettivo di preservare la vita. La costruzione dell'arca diventa, così, simbolo e figura di un nuovo approccio con il mondo, di un nuovo modello di civiltà e di convivenza con la natura. 

 

Perché la creazione non sia distrutta dalle azioni umane, è necessario stipulare un patto, l'alleanza cosiddetta noachica, tra Dio e "ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra" (Gen 9, 16), cioè con tutto il creato, affinché l'umanità si riconcili con la natura e salvi se stessa insieme a lei. Dipendono l'una dall'altra, l'umanità non ha futuro su una Terra devastata, ma questa può perdere la capacità di sostenere la vita a causa delle azioni degli uomini. Di fronte al pericolo Noè non fa calcoli economici, non esita, lascia ogni suo lavoro per dedicare se stesso e tutte le proprie risorse alla costruzione dell'arca; e non vi fa salire soltanto gli animali utili e produttivi per lui, ma anche quelli pericolosi, selvatici, impuri. Lo muove una grande e vera preoccupazione per tutta la creazione.

 

 Se la Bibbia contiene qualcosa che ogni epoca può ascoltare, se non perde mai la propria attualità rinnovandosi attraverso la continua interpretazione di generazione in generazione, in questo momento storico il racconto del diluvio "è un messaggio … che oggi, in quest'ora apocalittica dell'agonia del pianeta terra, può e deve essere letto come un manuale di istruzioni su come correre (letteralmente) ai ripari e scongiurare la sciagura incombente". E possiamo farcela, perché – e questo è un altro ammaestramento ricorrente nella Scrittura – bastano pochi giusti per salvare il mondo, come racconta la saggezza ebraica: ogni generazione si salva perché (e se) in essa vivono almeno dieci giusti. Anche se oggi la Storia fa molta paura, ha dichiarato Teresa Bartolomei in una recente intervista, possiamo e dobbiamo reagire contrapponendole la nostra capacità di sognare un futuro trasformato da noi stessi attraverso scelte concrete coerenti, non utopistiche, ma almeno di buon senso.

Ci sarà modo di tornare su questi argomenti dato che in occasione del quinto anniversario della pubblicazione dell'Enciclica Laudato Si' il papa ha indetto un anno di approfondimento invitando "tutte le persone di buona volontà ad aderire, per prendersi cura della nostra casa comune e dei nostri fratelli e sorelle più fragili". 

Per una settimana i concittadini di Noè lo avevano guardato costruire l'arca senza capire, senza chiedergli cosa stesse facendo né per quale motivo. Era stato dato loro un po' di tempo, una settimana, biblicamente vuol dire un tempo abbastanza lungo. Quanto ne sarà già passato? 

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