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Scarabocchi / Come è difficile disegnare un albero

19 Settembre 2021

Si disegna sul foglio come gli alberi spogli tracciano il cielo lanoso di alcune mattine d’inverno. Ogni volta che dalla finestra osservo le linee dei rami, quelle linee si fanno memoria. Ogni volta che lascio la penna nera scorrere sul foglio, scarabocchiando senza senso, non mi accorgo di ripetere le linee dei rami guardati da molte finestre durante la mia vita.

 

Nell'inverno del 1961, al MIT di Boston, Edward Lorenz, matematico e studioso di meteorologia, si accorse che una perturbazione impercettibile poteva far evolvere in modo imprevedibile un sistema complesso, creando degli effetti a catena, capaci di cambiare il sistema stesso. Non c’era sistema deterministico che potesse sfuggire a questa legge, creando un alone di indeterminatezza che rendeva ogni previsione incerta. 

Quel fenomeno, che confermava la Teoria della Complessità, già ben intuita da Henrì Poincaré, fu battezzato “Butterfly Effect” (effetto farfalla), coniando una delle metafore più potenti e utilizzate degli ultimi cinquant’anni. La forma della farfalla compariva in un diagramma dello studioso statunitense, che mostrava come le traiettorie di due orbite ellittiche vicine potessero deviare a causa di microscopiche perturbazioni, facendo oscillare la figura come una farfalla.

Lorenz osservò come le variazioni fossero aleatorie e aprissero la porta al caso. Le leggi del caos sembravano regnare sul mondo.

 

 

Se consideriamo ogni essere vivente come un sistema complesso, possiamo dire che ogni vita è determinata dalle perturbazioni, ovvero dalle deviazioni rispetto a un percorso previsto.

Prendiamo i fiori: essi crescono con una loro intenzione morfologica, uguale per ogni specie, ma allo sbocciare, ognuno sarà diverso dall’altro per una serie di concause ambientali che ne decreteranno la forma.

L'idea che la realtà sia la combinazione di infinite possibilità è per noi esseri umani sconcertante: doverci abituare a una continua indeterminatezza ci fa sentire deboli e impotenti davanti al fluire inarrestabile degli eventi. Eraclito gode di numerose citazioni, ma è in realtà poco amata la sua visione del mondo.

 

“Il minimo cambiamento nell'universo può ripercuotersi in cambiamenti così grandi da cambiare letteralmente la faccia del mondo in 15 giorni”
Giulio Casati, Il Caos, le leggi del disordine (La scienza editore)

 

Disegno di Anish Kapoor.


Rappresentare la complessità

 

“La non linearità è una caratteristica tipica dei sistemi complessi ed è alla radice del comportamento caotico dei sistemi deterministici,”.
Giulio Casati, Il Caos, le leggi del disordine (La scienza editore)

 

Quando Charles Darwin si interrogò su quale metafora potesse spiegare meglio la complessa non-linearità dei processi evolutivi, pensò dapprima alla ramificazione del corallo, il quale man mano che cresce biforcandosi perde i rami più vecchi, proprio come accade alle specie in natura: alcune evolvono, altre scompaiono. Dopo lunghi anni di ripensamenti, decise di sposare la metafora dell’“albero dell’evoluzione”: per quanto non la convincesse appieno, intuì che la rappresentazione dell'albero, universalmente usata, avrebbe reso la sua idea più facilmente comprensibile.

 

In fondo alla pagina 21, scrisse: «Gli esseri organizzati rappresentano un albero».

“Poi continuò a scribacchiare. L’albero è «irregolarmente ramificato,» riportò sul taccuino B «alcuni rami sono di gran lunga più ramificati». Ogni ramo si biforca in rami più piccoli, scrisse, e poi in altri ancora più piccoli. «Di qui i generi», la categoria immediatamente superiore alle specie, che sarebbero le estremità più minute o gemme terminali. Alcune gemme gradualmente avvizziscono senza produrre ulteriori germogli – la specie si estingue, arriva al capolinea –, mentre altre nel frattempo appaiono, in qualche modo. ” “Scrisse: «Forse l’albero della vita dovrebbe essere chiamato il corallo della vita, giacché la base delle ramificazioni è morta»

David Quammen, L’albero intricato (Adelphi Edizioni)

 

 

Il disegno di Darwin sul taccuino era semplice e schematico: gli serviva per fissare il proprio ragionamento e renderlo visibile. Non era il disegno di un albero per come lo vediamo, ma ne imitava il modo di crescere. Darwin si era accontentato di rappresentarne l’essenza, come vedendolo da lontano, stilizzato come se l’avesse dovuto usare per una carta topografica.

Il disegno di un albero dal vero è invece una lotta visiva, virtuosa, in cui si vuole descrivere la moltitudine delle foglie, la tessitura del tronco, la forma della chioma. Ci concentriamo sul suo aspetto, osservandolo: ne disegniamo la forma, affidandoci all'occhio che osserva e alla mano che registra. Gli alberi sono organismi che non nascondono la loro struttura complessa, ma la espongono con fierezza. Le ramificazioni presenti nel nostro corpo, come nelle reti neurali o nei sistemi venosi, sono invece ben nascoste, così che il nostro aspetto possa essere più semplice: due gambe e due braccia, venti dita, invece che una moltitudine di rami di svariate dimensioni che crescono e cadono senza requie.

Come Darwin, non sappiamo disegnare gli alberi, se non semplificandoli, perché sono troppo complessi.

Nemmeno sappiamo percepirne il movimento perenne, minimo eppure costante.

 

Soltanto disegnandolo possiamo capire come cresce un albero, come ramifica la chioma, come apre le foglie, come insinua le radici nel terreno tessendo relazioni con l’ambiente intorno. Ogni giorno, uscendo di casa, guardo l’albero che si innalza di là dalla strada, davanti al mio palazzo; ci sono giorni in cui mi accorgo dei suoi mutamenti; mi immagino che lavori di notte, nascosto agli occhi e allunghi i suoi rami precipitosamente prima che giunga l’alba. In realtà, non so darmi pace per non riuscire a coglierne l’espandersi e il ritrarsi della chioma, il cadere delle foglie, lo spezzarsi dei rami.

Di tutte le cose che vediamo, l’albero ci sembra così facile da afferrare come idea, ma quasi impossibile da rappresentare per come veramente appare. 

 

Io, il povero disegno di albero che vedete, […] non voglio essere un vero albero ma il suo significato”

Orhan Pamuk, Il mio nome è rosso (Einaudi) 

 

Gli studiosi della complessità non usano diagrammi ad albero per rappresentarla, ma nuvole, reti, scarabocchi. L’idea dell’albero ci sembra perfetta invece per correlare concetti, per mostrare nessi causali, procedimenti logici, calcoli probabilistici.

Le rappresentazioni semplificate dell’albero, che qui proverò a chiamare “alberificazioni”, si sono radicate in ogni cultura umana, millenni orsono, simbolo di vita nelle sue tante possibilità.

Nell’ultimo secolo, notata la loro apparente somiglianza con i neuroni e le reti che creano nel nostro cervello, le alberificazioni, ancora con più forza sono state usate per rappresentare la struttura del nostro pensiero.

 

Possiamo affermare che disegnare alberi ci rende felici e disegnare “alberificazioni” ci fa sentire più intelligenti. David Byrne, già leader dei Talking Heads e considerato tra i musicisti pop più colti e cerebrali, disegna da anni alberi come altri scrivono liste (o le immaginano, al modo di Pietro Paladini, il protagonista del romanzo Caos calmo di Sandro Veronesi). Riflette sulle cose del mondo, le più disparate, come fa ognuno di noi; poi per cercare risposte, disegna delle alberificazioni che raffigurano tutte le implicazioni di un pensiero, le sue conseguenze e le sue radici, facendoci riflettere su quante relazioni le cose possono sviluppare e quanto solida può essere un’idea, come un tronco da cui il resto si diparte.

La vita di un albero non è solo la storia di una crescita, ma di espansioni e ritrazioni, di comunicazione e analisi dell’ambiente, di equilibrio mentre si lancia alla ricerca spasmodica di luce. Non è forse quella stessa ricerca di luce che ci muove, quando rappresentiamo i nostri pensieri ramificandoli?

 

Sabato e domenica 18 e 19 settembre saremo in tanti a disegnare gli alberi e le loro parti, dentro allo Scarabocchi Festival, liberi di immaginare e sperimentare. Chi parteciperà scoprirà come anche il disegno di un solo albero potrebbe occupare tutta una vita, comprendendo in sé lo sguardo sulla natura, la meditazione interiore, il pensiero simbolico e quello costruttivista, l’abbandono e la ragione.

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