Il mito della Guerra dei Mondi

29 Ottobre 2012

“Era la vigilia di Halloween...

l’unica seccatura è che un numero

 impressionante di ascoltatori

si è dimenticato che giorno era”

(Orson Welles, 1938)

 

 

Oggi la trasmissione La Guerra dei Mondi di Orson Welles compie 74 anni. Tutti la citano come l’esempio più eclatante del potere dei media di falsificare la realtà e condizionare le credenze del pubblico. Oggi proverò a decostruire questo mito, cercando di chiarire i motivi delle reazioni del pubblico e soprattutto cercando di rimettere in discussione una volta per tutte il falso mito del panico generalizzato che questa trasmissione generò.

 

La sera di domenica 30 ottobre 1938, alle otto in punto, la Cbs trasmetteva in diretta La Guerra dei Mondi, un radiodramma tratto da un romanzo di H.G. Wells e diretto dal giovane Orson Welles. Il programma apparteneva alla serie di adattamenti radiofonici Mercury Theatre on air, in onda ormai da sedici settimane senza che avesse ancora raccolto grande successo. La domenica sera, alla stessa ora, la Nbc mandava in onda il più popolare Charlie McCarty Show e la Cbs non aveva ancora trovato una ditta commerciale disposta a sponsorizzare il programma di Orson Welles. La serie correva il rischio di saltare. Lo stesso Welles era molto scettico sulla capacità del romanzo inglese di catturare l’attenzione degli ascoltatori americani. Il giovedì precedente la trasmissione il gruppo direttivo del Mercury Theatre (che comprendeva anche il regista) si riunì per ascoltare la registrazione delle prove. “Abbiamo una sola strada per far stare in piedi questa trasmissione”, disse Houseman, il condirettore della Mercury, “Accentuare il più possibile il realismo. Dobbiamo farla più vera, più credibile, con la tecnica dei notiziari radiofonici”. La sceneggiatura venne rivista intorno a questa indicazione e riscritta interamente in alcune parti. Si decise che la storia dello sbarco dei marziani sulla terra fosse raccontata sotto forma di giornale radio. Ma anche così a Welles non sembrava convincente. Poi venne la sera della diretta.

 

Partì la sigla del Mercury Theatre on air (un concerto per pianoforte di Ciaikovskij). Partì il tradizionale annuncio della trasmissione. Partì l’introduzione alla storia, con la voce lenta e profonda di Orson Welles: “Noi oggi sappiamo che durante i primi anni di questo secolo creature dotate di menti più vaste di quella dell’uomo, eppure come lui mortali, osservavano attentamente dallo spazio il nostro mondo...”. L’agenzia Crosley calcolò che quella sera 32 milioni di persone stessero ascoltando la radio...Poi la voce anonima di un annunciatore seguì a quella di Welles, per leggere un normale bollettino meteorologico e comunicare che i programmi sarebbero proseguiti con un collegamento con la sala da ballo di un ristorante di New York. Seguirono alcuni minuti d musica, poi una brusca interruzione: “Signore e signori, interrompiamo questo programma...”. Era il 1938, i giorni della crisi di Monaco, la vigilia della guerra. Alla prima edizione straordinaria del giornale radio, che annunciava l’avvistamento di strani fenomeni sul piante Marte, altri ne seguirono, fino all’annuncio che delle misteriose macchine volanti erano atterrate nel New Jersey. La voce di un cronista inviato sul posto irruppe nelle case degli americani: “Mio Dio, dall’ombra sta uscendo qualcosa di grigio, che si contorce come un serpente...la folla indietreggia, porto il microfono con me mentre parlo. Sto cercando un punto di osservazione. Vi prego di restare in ascolto. Riprenderò a trasmettere fra qualche minuto”. Poi intervenne il “segretario degli Interni”, con un tono ufficiale e noioso: “Cittadini della nazione americana. Non cercherò di nascondervi la gravità della situazione in cui si trova il paese (…) Riponendo tutta la nostra fede in Dio dobbiamo continuare l’esecuzione dei nostri doveri per opporre all’invasore una nazione unita, coraggiosa e tutta consacrata alla conservazione dell’umana supremazia su questa terra”. Questo messaggio contribuì notevolmente a scatenare il panico. Migliaia di famiglie abbandonarono le proprie case e si rifugiarono nei boschi. Molte caserme della Guardia Nazionale furono prese d’assalto per ottenere dall’esercito maschere antigas. In alcune cittadine del Sud l’intera popolazione si riversò nelle strade a pregare e cantare inni religiosi. Intanto la trasmissione si avviava verso la conclusione: “Vi parlo dal tetto del Broadcasting Building di New York. I marziani si avvicinano. Si ritiene che nelle ultime due ore tre milioni di persone abbiano lasciato la città per le strade dirette a nord...Evitate i ponti per Long Island, sono tremendamente affollati. Tutte le comunicazioni con New York sono state interrotte circa dieci minuti fa. Non esistono più difese. Il nostro esercito è distrutto. Questa può essere l’ultima trasmissione. Rimarremo qua fino alla fine. Le macchine volanti dei marziani stanno atterrando in tutto il paese (...) Tutti corrono verso l’East side. Sono migliaia e cadono come topi. Il fumo ha raggiunto Times Square. È a cento metri da me...a quindici metri...”. Un sospiro, un gemito, il rumore soffocato di un corpo che cade e il rotolare, sul cemento, del microfono: Morte di un cronista, in diretta radiofonica.

 

Il giorno dopo i giornali titolavano: “La guerra radiofonica di Orson Welles terrorizza gli Usa”. Sei settimane dopo la trasmissione ancora veniva ritrovata gente attendata nei boschi per paura dei marziani.

 

 

La Hooper Rating Company calcolò che quella sera il programma radiofonico più seguito fu il Charlie McCarty show con il 34.7% di share. Ma quando lo show finì, il 12% di quel pubblico si spostò sulla Cbs e lo share del Mercury Theatre on air passò dal classico 3.6% al 15% nei primi venti minuti di trasmissione. Il passaparola degli ascoltatori e le telefonate ad amici a parenti per avvertirli di accendere la radio (non è avvenuto qualcosa di molto simile l’11 settembre del 2001 con gli Sms?) contribuirono ad ampliare ancora il numero degli ascoltatori portandolo a 6 milioni.

 

Secondo il classico studio psicologico di Cantril sulle reazioni degli ascoltatori del radiodramma di Welles, di quei sei milioni circa un milione e settecentomila presero per vera l’invasione dei marziani mentre un milione e duecentomila circa tra questi, non solo presero sul serio la trasmissione ma provarono sensazioni di paura e di panico. Lo studio delle reazioni degli ascoltatori portato avanti da Cantril attraverso l’analisi delle lettere al programma e una serie di interviste lo ha spinto a concludere che la porzione di pubblico che quella sera di Halloween credette alla veridicità dello sbarco dei marziani lo fece per una serie di ragioni che, secondo Cantril, si possono così riassumere:

 

- La natura della fiducia del pubblico nel mezzo radiofonico in sé. La Guerra dei mondi fu trasmessa in un periodo in cui la radio aveva sostituito i giornali come fonte primaria di informazione.

- Il grado di instabilità politica del tempo. Gli Stati Uniti stavano ancora uscendo dalla Grande Depressione e la crisi della politica europea era l’argomento d’attualità di quei giorni. La società americana viveva un periodo di insicurezza. Appena un mese prima (30 settembre) le trasmissioni erano state interrotte per dare l’annuncio dell’accordo di Monaco . Era un periodo di crisi: crisi economica, guerra mondiale alle porte e ora lo sbarco dei marziani, l’ennesimo evento esterno, spiegò Cantril, al di fuori del controllo e della comprensione dei singoli individui.

- Il contesto d’ascolto: molti si sintonizzarono tardi o per “contagio”, invitati da conoscenti al telefono a connettersi alla radio, fomentandosi a vicenda.

- Il profilo psicologico e sociale del pubblico: Cantril ha riscontrato personalità di ascoltatori molto più propensi di altri a credere senza riserve, ascoltatori incapaci di fare uso di senso critico. In particolare, la mancanza di senso critico è stata riscontrata, nelle interviste fatte da Cantril, soprattutto in ascoltatori con un minore grado di alfabetizzazione e limitato consumo culturale.

- L’alto grado di realismo della trasmissione. “Non sembrava un radiodramma”, riferì uno degli ascoltatori al sociologo americano.

 

 

Perché i marziani erano credibili

 

L’analisi e le conclusioni di Cantril sono sicuramente importanti perché rappresentano il primo studio approfondito sulla psicologia dell’ascolto e hanno il pregio di aver saputo cogliere la complessità delle reazioni del pubblico radiofonico.

 

Ma il fatto che un ascoltatore americano su tre quella sera abbia creduto allo sbarco dei marziani non dipende solo dalla psicologia degli ascoltatori e dal particolare contesto storico-politico degli Stati Uniti dell’epoca. Un altro fattore determinante, poco illuminato dall’analisi di Cantril, è stato il particolare uso del linguaggio radiofonico fatto da Orson Welles. La scelta di trasferire il testo di Wells all’interno della cornice linguistica tipica di un’edizione straordinaria di un giornale radio ha contribuito notevolmente alla credibilità del falso evento.

 

L’ascoltatore abitudinario della Cbs che avesse seguito il radiodramma di Welles fin dall’inizio con attenzione costante avrebbe avuto più occasioni per rendersi conto di essere di fronte ad una fiction radiofonica. Il programma era disseminato di segnali linguistici e narrativi che indirizzavano l’interpretazione verso la fiction: per ben quattro volte, durante il programma, venne ripetuto il jingle del programma in cui si specificava che il Mercury Theatre on air presentava La Guerra dei mondi di H.G. Wells. Inoltre era del tutto improbabile, con i mezzi tecnici di allora, che uno studio radiofonico potesse collegarsi con un pilota d’aereo e mandare in onda la sua voce. Inoltre, molti dei nomi di luoghi della storia erano stati cambiati. Il capo della Cbs Davidson Taylor e la squadra di avvocati della rete avevano costretto gli autori ad intervenire sul copione, apportando ben 28 modifiche a nomi propri, per paura che fossero troppo realistici. Ma i nomi che li avevano sostituiti rimanevano molto simili agli originali, soprattutto se pronunciati e non letti. Langley Field divenne Langham Field. Princeton University Observatory divenne Princeton Observatory e la Guardia Nazionale del New Jersey divenne la Milizia di Stato.

 

Inoltre, gli ascoltatori dubbiosi della veridicità della trasmissione potevano tentare di verificarne l’attendibilità andando alla ricerca di altre fonti: cambiare stazione radiofonica per controllare se qualcun altro ne stava parlando, telefonare a qualche conoscente nel New Jersey o nei luoghi dello “sbarco”. In effetti, la maggioranza degli ascoltatori quella sera arrivarono a concludere che quello sbarco fosse soltanto una finzione. Ma tutti, anche i “non credenti”, si domandarono per almeno un secondo, se stesse accadendo davvero. E se qualcuno continuò a crederci fino alla fine del programma fu anche perché Welles aveva ricreato la copia quasi perfetta di un giornale radiofonico del tempo. Nonostante le incongruenze (il pilota collegato via radio) e i segnali (il jingle della serie), bastarono pochi elementi fortemente verosimili a rendere il racconto reale alle orecchie degli ascoltatori. Il primo elemento di realismo che ha contribuito a mettere in discussione lo statuto di finzione del programma è stato l’interruzione della musica da parte del bollettino informativo. All’epoca queste interruzioni erano molto frequenti: la crisi europea e l’avanzata del nazismo erano notizie di attualità e i network americani interrompevano spesso musica e soap opera per raccontarne gli sviluppi. Il secondo elemento è stato l’uso dell’autorevolezza dell’esperto (l’astronomo dell’Osservatorio di Princeton). Un altro elemento, fondamentale, è stato l’intervento della voce del ministro degli Interni, imitata alla perfezione nei toni e nel ritmo da un attore. La radio all’epoca era il più importante mezzo di informazione e la gente era abituata ad informarsi tramite essa. L’attendibilità delle notizie trasmesse dalla radio non era solita essere messa in discussione. Tutti questi elementi e, più in generale, la scelta della radiocronaca come registro linguistico per adattare il romanzo di Wells alla radio, hanno giocato un ruolo determinante nell’attribuzione dello statuto di veridicità da parte degli ascoltatori.

 

 

Attention! La radio ment!

 

Il caso de La Guerra dei Mondi è importante perché per la prima volta una fiction vestiva i panni della realtà. Welles fu il primo ad attraversare il confine tra finzione e realtà nei media elettronici, a rompere la sacralità del reale, a mostrare che il re era nudo. Consapevolmente o meno, dimostrò che i media potevano mentire e mostrò a tutto il mondo quanto fosse pericoloso creder loro senza riserve. Welles fu anche il primo a tradire il patto implicito tra autore e lettore/ascoltatore di una storia, ovvero quella “sospensione dell’incredulità” che permette a chi ascolta/legge una storia di giocare al “come se”, di fare finta che sia vero per poter provare il piacere estetico della storia. La sospensione dell’incredulità è un atto consapevole del lettore, che riconosce lo statuto finzionale della storia che ha di fronte ma decide di crederci, per poterne godere appieno, per provare le emozioni che quella storia porta con sé. Gli ascoltatori che credettero allo sbarco dei marziani quella sera di Halloween non furono in grado di riconoscere gli elementi di finzione della trasmissione; riconobbero solo gli elementi di realtà e provarono panico perché per loro quella trasmissione non era un gioco (“Giochiamo a credere che gli alieni sono sbarcati sulla terra”). Possiamo dire che non riconobbero le regole del gioco, che non seppero stare al gioco. Ma a loro discolpa va detto che per loro quello era un gioco con regole nuove: non credevano che qualcuno potesse imitare la voce del ministro degli Interni; non credevano che un giornalista potesse annunciare falsi eventi. Non credevano che la radio potesse mentire. Fino a quella sera del 1938 il confine tra finzione e realtà era chiaro: gli ascoltatori credevano di poter riconoscere il racconto della realtà (le notizie, i giornali radio) dal racconto finzionale (il radiodramma, la soap opera). Welles mescolò i linguaggi dei due generi ed aprì la strada a un lungo e mai terminato processo di ridefinizione del confine tra finzione e realtà. Da quella sera in poi quel confine ha preso sempre più ad assomigliare a un territorio di frontiera. La televisione prima e i nuovi media digitali poi, hanno notevolmente contribuito a rendere quel confine sempre più sottile.

 

Se è vero che il pubblico non è più ingenuo come all’epoca di Welles e l’alfabetizzazione al linguaggio dei media è globalmente cresciuta, è anche vero che le tecniche di sofisticazione del reale sono sempre più complesse e ancora oggi capita che anche il pubblico più preparato non riconosca subito il confine tra finzione e realtà. La definizione del confine tra fiction e realtà è in continua evoluzione e dipende dalla continua negoziazione tra autore e lettore. Ogni volta che le due parti raggiungono un accordo tacito sul quale fondare la propria sospensione dell’incredulità, c’è qualcuno che rimette in discussione il confine, lo riattraversa, lo rende di nuovo frontiera. La colpa, se di colpa vogliamo parlare, non è solo degli autori. Entrambe le parti spingono per la messa in discussione di questo confine. Per l’autore la sfida è quella di inventare un nuovo modo per intrattenere il pubblico, sperimentare fin dove il linguaggio dei media può spingersi. Per il pubblico – almeno per quello più “esperto”, alfabetizzato ai media – la spinta a mettere in discussione il confine viene dal bisogno estetico di continuare a provare emozioni, dal bisogno di giocare all’antichissimo gioco del “Facciamo finta che”. Questo pubblico “esperto”, che ben conosce il meccanismo della “sospensione del dubbio” ha appreso le regole del gioco e sa che i media possono mentire. Per mantenere lo stesso livello di “immersione” estetica ed emotiva in una storia questo pubblico ha bisogno di nuovi stimoli linguistici, di nuovi giochi con regole ancora più complesse. Ma ancora oggi, esattamente come nel 1938, esiste un pubblico che crede ancora senza riserve nei media (“mancante di senso critico”, direbbe Cantril) e non sa riconoscere il confine tra fiction e realtà. I contenuti mediali che mettono in discussione questo confine, oltre al ruolo primario di fare del buon intrattenimento, hanno anche il ruolo secondario di educare (allenare) il pubblico “ingenuo” alle trappole del linguaggio mediale.

 

 

Conclusioni

 

Sono passati 70 anni dall’esperimento di Orson Welles. Il mondo è cambiato. Il mondo dei media è cambiato. La radio, il più vecchio medium del novecento, concede sempre più terreno ai nuovi media. Gli abitanti delle società tecnologicamente avanzate devono fare i conti con un mondo iper-mediatizzato, con una realtà prismatica. L’esperienza del mondo reale è sempre più spesso mediata da diverse forme di comunicazione e di linguaggi. Mai come in questo momento storico abbiamo avuto a disposizione così tanti strumenti per accedere a realtà molto lontane da noi: canali satellitari che portano il mondo in casa, siti internet dove leggere l’ultima edizione del New Yorker, blog per informarsi sulla situazione in Iran, migliaia di video amatoriali e informazioni prodotte da singoli cittadini. In un mondo così abbondante di racconti sulla realtà circostante paradossalmente la realtà, quella non mediata, corre il rischio di estinguersi: rischiamo di ritrovarci in un mondo de-realizzato, un mondo a cui è stata sottratta la realtà per farla riaffiorare, adeguatamente filtrata, sugli schermi che, in misure diverse, hanno preso possesso del nostro habitat. “Quel che ci offrono le comunicazioni di massa non è la realtà, ma la vertigine della realtà”.

 

L’intuizione di Baudrillard è ancora più vera oggi, nell’epoca della riproducibilità elettronica. La vita di “clausura” condotta dagli abitanti della postmodernità chiusi all’interno dei limitati orizzonti della propria sfera privata, è apparentemente “liberata” dalla “finestra sul mondo” offerta dai media. Il rischio più grande è che questa finestra - questo simulacro elettronico del mondo (carico di “effetti di realtà”) - venga considerata più vera del vero, più reale della realtà. Questo rischio esiste da sempre, da quando sono stati inventati i media. Esisteva ai tempi di Welles, quando un americano su sei credette alla radio e non a quello che vedeva fuori dalla finestra (non elettronica) di casa sua, ed esiste ancora più forte oggi, in un mondo in cui i contenuti mediali alimentano sempre più l’esperienza del quotidiano, i media sono aumentati e si sono ibridati tra loro e i linguaggi mediali si sono raffinati.

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