Una migrazione controcorrente / Gretel Ehrlich: Il conforto della vastità

11 Maggio 2022

Il disgelo è appena iniziato quando Gretel Ehrlich arriva in Wyoming, la mitica terra dei cowboy. Ha 29 anni. È lì per le riprese di un documentario quando l'amato partner David muore. Se ne va, poi torna e decide di restare. È uno stacco brusco e carico di disperazione. Un cambio di passo drastico che lungo il ciclo delle stagioni si tradurrà in una rinascita inaspettata – la scoperta del proprio posto nel mondo e la rivelazione di una scrittrice. 

È la traiettoria straordinaria al centro di Il conforto della vastità, da poco in libreria per Black Coffee (trad. Sara Reggiani, 137 pp.), un libro capace di spalancare orizzonti e riportarci al cuore aspro e potente della natura: l’antidoto perfetto alla claustrofobia e agli intimismi a cui ci hanno consegnato gli anni di questa pandemia.

 

Composto fra il 1979 e il 1984, il lavoro prende le mosse dal diario che l’autrice invia a un’amica cresciuta in Wyoming che a quel tempo vive alle Hawaii. È una collezione di saggi in cui la trama del personale s’intreccia al racconto dei luoghi e delle persone con una voce asciutta capace di affondi lirici che animano quegli scenari dell’afflato del mito e della scoperta.

Quella di Gretel Ehrlich è una migrazione controcorrente. È nata e cresciuta a Santa Barbara in California in una famiglia benestante, si è laureata in cinema all'UCLA e per brevi periodi ha vissuto a New York, dove ha studiato danza nella prestigiosa compagnia di Merce Cunningham. Il futuro le si stende davanti come un'autostrada, finché la morte di David travolge ogni progetto.

Il senso di perdita la divora e per mesi viaggia senza tregua. “Essere viva, provare dolore o piacere, mi pareva un oltraggio, una mancanza di rispetto imperdonabile”, scrive. Si trova in New Mexico, quando l’amico John la richiama a nord. “Se un posto è uguale a un altro tanto vale che vieni a casa”, le dice e mai consiglio si rivela più azzeccato. 

 

Quando dopo 17 ore filate di guida parcheggia davanti a casa di lui, lo trova che sta preparando le provviste da portare all’accampamento dei pastori. “Vieni anche tu, no?”, le chiede e senza cerimonie la mette al lavoro. 

Da brava californiana Ehrlich è cresciuta all'aperto. Ha imparato a cavalcare nella proprietà di famiglia e ha un forte legame con la natura. Il lavoro del ranch è nelle sue corde. Si occupa di pecore e vitelli, percorre a cavallo gli spazi immensi di quelle terre guidando le greggi nella transumanza fra il pascolo estivo e il ricovero dei mesi freddi. Trascorre il crudele inverno del Wyoming in una baracca assediata dalla neve in compagnia del suo cane. 

È una donna e fa una vita da uomo – o meglio il genere di vita che lo stereotipo associa agli uomini. "Uno dei miti legati all'Ovest è che sia un mondo 'da maschi', ma le donne che ho conosciuto – discendenti da fuorilegge, pionieri mormoni, proprietari terrieri e di ranch – erano rudi e capaci tanto quanto gli uomini erano teneri".

 

Ci sono scelte che sfidano il senso comune e la sua contraddice ogni aspettativa. "Gli amici volevano sapere quando l'avrei fatta finita di 'nascondermi' in Wyoming. Ciò che ai loro occhi appariva come un paesaggio di desolazione e arretratezza intellettuale esercitava su di me un richiamo irresistibile". Certe risposte si trovano però dove meno uno se le aspetta e non è facile spiegare, come ho realizzato quando dall'Italia mi sono trasferita in Louisiana – nel mio caso la spinta non è stata una morte, ma in fatto di desolazione battiamo il Wyoming di parecchie lunghezze.

Per Gretel Ehrlich l'addio al passato si consuma nel ritmo di un quotidiano che ha il potere del rituale. È il faticoso rifluire della vita in un paesaggio così estremo da mettere a dura prova la resistenza umana – l'esistenza che rinnova se stessa nel flusso di nascite e morti che scandisce la vita del ranch, il legame con gli animali, l'amicizia preziosa dei vicini. 

 

 

In quel "gran vortice di vento e serpenti a sonagli, un vuoto che non raccapezzi più da dove vieni né dove stai andando, e comunque non fa differenza” finisce per ritrovare se stessa. “Lo spazio ha un equivalente spirituale e può costituire il rimedio a ciò che in noi è frammentato o gravoso”, scrive. E ancora, “dove c’è spazio c’è equilibrio, non fuga, non apatia, non dispersione, ma solo la libertà di ponderare in tutta coscienza ogni idea, ogni situazione”. 

Il Wyoming e la sua gente trovano in queste pagine immagini nitide e straordinarie che sono state accostate alle fotografie di Ansel Adams. È una scelta dichiarata ("volevo comporre pagine che fossero il più possibile simili alla terra") che non cede alla logica della chiacchiera o al sentimentalismo ma punta in direzione opposta. 

Per Ehrlich la natura non è un fondale su cui proiettare sogni e aspirazioni ma un richiamo costante al nucleo più autentico di sé stessi. "Tutto in natura è un costante invito a essere ciò che siamo". E così gli animali che "ci àncorano al presente, a chi siamo in quel determinato momento": "ai loro occhi siamo trasparenti e dunque esposti – siamo ciò che siamo”. 

 

Lungo queste pagine incontriamo i mandriani e la loro vocazione all'eremitaggio; i profili scolpiti delle montagne; i cow boy spogliati della loro essenza dalla cultura collettiva; le greggi che come il mare si dividono al passaggio dei pastori; il cameratismo della vita del ranch; l'umorismo secco e di poche parole. Vediamo fiorire amicizie, amori e il Wyoming si precisa nella sua complessa e dolente realtà. 

In questo stato, che con 600 mila abitanti è tra i meno popolati d'America, "tutto grida precarietà". Da tempo i rancher sono in affanno, stretti nella morsa di un’economia che non ha più bisogno di loro. Il mondo dei cowboy, così centrale nella mitologia americana, sta lasciando il posto a miniere, pozzi di petrolio, miliardari e pensionati sedotti dalla mistica della frontiera. Una delle principali voci del bilancio statale è ormai l'industria turistica (qui si trova Yellowstone, il primo parco nazionale degli Stati Uniti). È uno degli stati dello scontento repubblicano, in passato bastione di Trump.

 

La narrazione di Ehrlich per molti versi rimanda a Annie Proulx, la scrittrice che ha esploso il Wyoming sulla mappa della fiction con racconti memorabili. Il conforto della vastità, che esce negli Stati Uniti nel 1985 e le vale paragoni con Anne Dillard e Wallace Stegner, anticipa di parecchio i lavori di Proulx (la cui prima raccolta, A distanza ravvicinata – con testi memorabili come Il manzo scuoiato a metà e Brokeback Mountain – esce nel 1999).

A leggere le due autrici in parallelo colpisce una certa assonanza di fondo – il gusto ironico, i paesaggi sconfinati e mai consolatori, il contrasto fra la magnificenza della natura e le devastazioni della modernità, la trasfigurazione in chiave mitologica della natura. E ripensando a uno dei film più belli usciti lo scorso anno, The Power the dog di Jane Campion, c'è di che riflettere sulla qualità dello sguardo delle donne sul West.

 

L'esperienza di Annie Proulx e Gretel Ehrlich è però profondamente diversa. La Proulx arriva in Wyoming a 59 anni, da scrittrice affermata. Alle spalle una formazione da storica del Rinascimento e best seller come Avviso ai naviganti e Cartoline, applica al posto la meticolosa formula già sperimentata con successo altrove. "Le sue storie non emergono dal suo attaccamento a una particolare località geografica, ma da una metodologia storica che ha il suo punto di partenza nelle comunità sotto attacco", nota Mark Asquith in The Lost Frontier. "Scrivere dell'Ovest americano è come scrivere dell'Est o di qualsiasi altro posto", commenta la diretta interessata. 

Quella di Gretel Ehrlich è invece prima di tutto una scelta di vita, un'adesione fisica e mentale, la conquista di una diversa dimensione degli affetti in cui l'identità si rimodella e cambia. È l'esperienza di un'emigrazione che si fa letteratura. E proprio questo spostamento di prospettiva regala alcune delle pagine più emozionanti e coinvolgenti. 

 

Il suo tempo in Wyoming è destinato però a esaurirsi in modo drammatico. Un pomeriggio nel 1991, mentre è fuori con i cani nel ranch acquistato con il marito, è colpita da un fulmine. Si risveglia in una pozza di sangue, braccia e gambe paralizzate. È il genere di incidente che uccide ma si riprende ed è costretta a fare ritorno a casa in California dove l'attende un lungo penoso recupero che racconterà in A Match to the Heart

 

Negli anni a seguire si afferma come una delle scrittrici di viaggi e natura più interessanti degli Stati Uniti. Si spinge in centro Africa, in Cina, in Groenlandia. Anni di vita e lavoro all'aperto le consentono di cogliere con empatia e lucidità l'impatto del cambiamento climatico change sulla terra, gli animali e le economie tradizionali. Non per caso il suo ultimo libro rivisita Il conforto della vastità e fin dal titolo lo rovescia. The Solace of Open Spaces che aveva segnato il suo esordio diventa così Unsolaced a raccontare lo sconforto e la malinconia davanti a un mondo che a 76 anni vede tramontare davanti ai suoi occhi.

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