dOCUMENTA (13). Tra contrazione e deflagrazione

11 Luglio 2012

Da Kassel a Kabul, da Banff fino ad Alessandria d’Egitto. Estesa, politica e riflessiva dOCUMENTA (13) parla di storie individuali e collettive, lasciando molto spazio all’immaginazione.

 

Data 25.10.2010 Letter to a Friend, il saggio in forma di “lettera aperta” in cui il direttore artistico di questa tredicesima edizione Carolyn Christov-Bakargiev anticipa gli interrogativi, le scelte e le necessità che andranno a comporre l’ordito simbolico e strutturale di una delle principali manifestazioni dedicate all’arte contemporanea. Da quel momento in poi, oltre al progressivo infittirsi di notizie e dichiarazioni, ecco comparire anche i primi cenni di un progetto editoriale notevolmente denso e ambizioso ovvero la pubblicazione della serie di taccuini 100 Notes – 100 Thoughts /100 Notizen – 100 Gedankencontenenti appunti, brevi saggi, interviste e conversazioni tra autori di diverse discipline. La ricchezza delle opere realizzate dagli oltre 140 artisti presenti e il legame stabilito tra arte, filosofia, storia naturale, antropologia, scienze politiche ed economiche, studi letterari, psicologia e poesia, restituiscono la vocazione omnicomprensiva di questa nuova edizione.

 

Come parlare dunque ancora una volta, dopo aver assimilato una cospicua quantità d’informazioni e suggestioni, di uno dei più importanti momenti dell’arte contemporanea? Una possibilità è quella di ripartire propriodalle opere e soffermarci attraverso di esse su uno dei nodi centrali che caratterizzano la geografia complessa e a tratti sfuggente di questa dOCUMENTA(13) ovvero l’interrogazione aperta dalla Bakargiev sulla condizione di ritiro e di esodo nel mondo contemporaneo e sul significato che le parole distruzione e ricordo possono acquisire in differenti culture.

 

La volontà di stabilire un’intensa relazione simbolica e dialogica tra Kassel, Kabul, Alessandria d’Egitto e Banff (questi ultimi quattro luoghi, oltre ad essere evocati da molti lavori presenti nella cornice più istituzionale di Documenta, sono le sedi extraeuropee in cui parallelamente a Kassel si sono svolti e continuano a realizzarsi una serie di seminari, mostre e dibattiti che approfondiscono le riflessioni aperte da questa edizione), la scelta di non concentrare unicamente le opere d’arte all’interno di spazi storici e tradizionali, ma di estendere notevolmente la rassegna anche ad altre aree e contestidella città, e soprattutto la necessità di indagare il tema della rimozione e del recupero della memoria storica, suggeriscono che questa dOCUMENTA (13) vive simultaneamente tra contrazione e deflagrazione.

 

Uno stato forzato d’isolamento e di allontanamento analizzato e problematizzato da molte opere d’arteche avviene sotto lo sguardo e l’egida dei due artisti cardine di questa edizione: Alighiero Boetti e Fabio Mauri (nella scorsa Documenta (12) diretta da Roger M. Buergel era l’Angelus Novus di Paul Klee a ergersi nella rotonda centrale del museo Fridericianum come silente nume tutelare).

 

Grande tributo a queste due figure nodali dell’avanguardia italiana del secondo Novecento che accende un momento d’intensa riflessione su quanto e in che modo loro opera abbia anticipato, radicalizzandone i contenuti, problematiche ancora fortemente attuali come l’interrogazione sul tempo tanto storico in Mauri quanto esistenziale in Boetti.

 

L’opera e l’immaginario di Boetti rivivono in modo significativo nell’intenso film-documentario Tea (2012) dell’artista messicano Mario Garcia Torres in cui, attraverso la dimensione itinerante del viaggio, sono ricostruiti i fili dell’esperienza dell’One Hotel aperto da Boetti a Kabul nel 1971. Decentrando il suo lavoro a Kabul, Boetti fu uno dei primi artisti che, trasferendo geograficamente il suo centro di attenzione, anticipò concettualmente una realtà in cui l’Occidente cessava di essere il sistema culturale dominante. L’analisi critica dell’ideologia e la riflessione aperta sul problema della costruzione dell’identità culturale, oltre ad essere al centro delle installazioni L’universo, come l’infinito, lo vediamo a pezzi, Forse l’arte non è autonoma eL’arte fa perché è storia e mondo realizzate da Fabio Mauri nel 2009 ritagliando parole da grandi tappeti di stuoia, trovano massima espressione nella sua intensa performance Che cos’è la filosofia. Heidegger e la questione tedesca. Concerto da tavolo del 1989, riproposta durante i giorni di apertura ufficiale della manifestazione.

 

Fabio Mauri, Forse l’arte non è autonoma, 2009, tagli su zerbino, 2 x 200 x 620 cm; L’arte fa perché è storia e mondo, 2009, tagli su zerbino, 2 x 200 x 420 cm. (Museum Fridericianum, dOCUMENTA (13), Kassel, Germaia)

 

Se la dimensione del ritiro, intesa come luogo simbolico di raccolta, formazione e sedimentazione della memoria storica, è rappresentata nelle sale del Fridericianum (significativa a questo riguardo, la monumentale installazione The Repair from Occident to Extra-Occidental Cultures (2012) dell’artista algerino Kader Attia, concepita come un grande ricovero di oggetti e immagini consumate dal tempo), quella di esodo e di distruzione rivive invece nell’insieme di tutti i “progetti satelliti” che ruotano come orbite intorno al nucleo storico della città di Kassel. Rotazione che ritorna simbolicamente e insistentemente nell’opera Reel-Unreel (2011) dell’artista belga Francis Alÿs in cuidue bambini afghani giocano senza sosta con due rulli cinematografici facendoli scivolare lungo ripidi sentieri e strade trafficate della città di Kabul. Il continuo srotolamento e riavvolgimento del nastro della pellicola intorno alla bobina, oltre ad aprire una riflessione sul ruolo e il valore dell’immagine all’interno di una cultura, sembra alludere al continuo sentimento di perditae agli incessanti tentativi di ricostruzione da parte delle popolazioni ferite dalle guerre (questo film è stato girato dall’artista subito dopo l’incendio da parte delle autorità locali di una notevole quantità di pellicole fotografiche e cinematografiche).

 

Inaspettatamente in una piccola casa dentro Karlsaue park un tempo dimora di un giardiniere, ecco comparire le tracce di un intervento molto intimo e singolare Here & There (2012) realizzato dall’artista italo-brasiliana Anna Maria Maiolino. Un insieme di diverse forme realizzate con dell’argilla (dalla serie Modeled Earth iniziata sul finire degli anni Ottanta)ricoprono, investono e si appropriano di ogni superficie e mobilio dell’abitazione, la voce dell’artista trasmessa da un piccolo autoparlante che ripete ininterrottamente la frase I am I, diverse fotografie appese ai muri e una serie di abiti e di oggetti di uso quotidiano. Tutto dà l’impressione di essere irreversibilmente catturato in un’atmosfera bloccata nel tempo e paralizzata nello spazio. Questa grande installazione, affronta il tema della memoria e della costante ricerca delle proprie origini rappresentata simbolicamente dall’immagine della casa, utilizzando l’argilla modellata dall’uomo come metafora espressiva dell’identità individuale e collettiva.

 

Francis Alÿs, Reel-Unreel, 2011, still da video, dOCUMENTA (13), Kassel, Germania

 

Anna Maria Maiolino, Here & There, 2012, installazione (2000 kg di argilla modellata, oggetti, fotografie, vegetazione, suoni). (Karlsaue Park: Maintenance Area, dOCUMENTA (13), Kassel, Germania)

 

Definita da Carolyn Christov-Bakargiev come “la mente”, la rotonda semicircolare del Fridericianum èun grandecaleidoscopio critico e immaginifico che crea rapporti trasversali tra documenti, immagini, reperti archeologici e opere d’arte, unendo le nature morte di Giorgio Morandi ai sinistri metronomi di Man Ray, le fotografie di Lee Miller alla grande disegno Hypotalamic Brainstorming di Gianfranco Baruchello del 1962, il pensiero di Lawrence Weiner alle antiche statuette in calcite dell’Asia Centrale. Contraltare emotivo e psicologico di questo immenso archivio sono le due sale antistanti completamente bianche e vuote attraversate dal sottile vento artificiale nell’opera I Need Some Meaning I Can Memorise (The Invisible Pull) (2012) dell’inglese Ryan Gander (forse un tentativo preventivo di damnatio memoriae o una sorta di anticamera preparatoria a ciò che avverrà subito dopo?).

 

Una continua oscillazione anima questa dOCUMENTA (13), un doppio movimento centrifugo e centripeto che contemporaneamente trascina verso il centro, scava nella memoria, attraversa una zona intermedia e di transizione, l’Hauptbahnhof, per poi espandersi negli spazi più singolari della piccola città di Kassel come il Weinberg Bunker (Allora & Calzadilla, Raptor’s Rapture, 2012), l’ex Finance Building (Tacita Dean, Fatigues, 2012) e l’Huguenot House. In questa vecchia casa costruita dagli Ugonotti in fuga dalla Francia a Kassel nel 1685 (un altro esodo, un’altra ritirata) abita l’opera 12 Ballads for the Huguenot House (2012) realizzata dall’artista Theaster Gates con dei materiali precedentemente utilizzati per restaurare un’abitazione abbandonata nella città di Chicago. Anche questo luogo di musica e d’immagini dove si può scegliere di dormire o di prendere un tè è concepito, come molti altri lavori presenti in questa edizione, intorno al tema della distruzione e della ricostruzione.

 

Crocevia d’immagini e suoni la piccola stazione dei treni di fine Ottocento, accoglie moltissime opere tra cui l’entusiasmante e coinvolgente lavoro Alter Bahnhof Video Walk (2012) realizzato dagli artisti canadesi Janet Cardiff & George Bures Miller. La voce narrante di Janet Cardiff, trasmessa attraverso degli auricolari, accompagna lo spettatore negli spazi della stazione suggerendo accuratamente in che modo muoversi e dove andare, guardando sempre fisso il piccolo schermo di un iPhone in cui appaiono una serie di ambienti e situazioni precedentemente registrate.La collisione tra reale e virtuale produce una sensazione e un’esperienza molto particolare nella quale ciò che effettivamente sta accadendo all’interno della ferrovia risulta profondamente alterato e sensibilmente accentuato da quello che al contrario è narrato e visualizzato nel video. Il tredicesimo binario non è più lo stesso nel momento in cui la voce dell’artista comunica che in quello stesso punto durante la seconda Guerra Mondiale partivano dei treni per il campo di concentramento.

 

Theaster Gates, 12 Ballads for the Huguenot House, 2012, legni rotti e altri materiali da costruzione dal 6901 South Dorchester, Chicago, video, suoni, 9,14 x 18,29 x 36,56 m. (Huguenot House, dOCUMENTA (13), Kassel, Germania)

 

Janet Cardiff & George Bures Miller, Alter Banhof Video Walk, 2012 (particolare dell’opera). (Hauptbanhof: Offener Kanal, dOCUMENTA (13), Kassel, Germania)

 

Dopo aver attraversato la “mente” di questa rassegna, sorge spontaneamente la domanda: ma il cuore?

 

Il vero spazio di tensione, riflessione ed emozione di questa dOCUMENTA(13), sembra abitare il tempo dell’avvolgente ed appassionante opera This Varation (2012) di Tino Sehgal. In una sala interamente al buio al piano inferiore del Grand City Hotel Hessenland un susseguirsi di voci, bisbigli e soffi scanditi ritmicamente da schiocchi di dita e dal quasi impercettibile movimento di un ristretto gruppo di persone, circondano e attirano lo spettatore magneticamente verso il centro della sala per poi respingerlo inesorabilmente verso l’esterno. Non è proprio all’interno di questo moto perpetuo, nella continua alternanza di spinte e controspinte, paragonabile al movimento di un battito cardiaco che nasce e si sviluppa questa edizione? Se come ha sottolineato Carolyn Christov-Bakargiev la politicità dell’arte si dà sempre e comunque attraverso una forma (Letter to a friend, 2010), cosa accade allora quando quest’ultima agisce sotto il filtro di un’apparente assenza?Avvertita e inconsapevolmente attraversata, questa forma trova nella temporalità e nella sfuggente spazialità di quest’opera al tempo stesso contratta e diffusa la sua massima e struggente espressione.

 

 

dOCUMENTA (13)

Kassel, 9/6 – 16/9/2012

Kabul, 20/6 – 19/07/2012

Alessandria-Cairo, 1/7 – 8/7 2012

Banff, 2/8 – 15/8/2012

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