Una democrazia della felicità a Roma

27 Settembre 2013

Da qualche giorno si è chiuso il sipario su Short Theatre, il festival di teatro che si svolge a Roma all’interno dell’ex mattatoio della città, sede anche del Museo di Arte Contemporanea. Un luogo molto affascinante della capitale dove si mescolano le forme di antiche funzionalità e i nuovi bisogni di stampo più culturale.

 

A questa ottava edizione è stato dato il titolo “democrazia della felicità” a solcare un tracciato niente affatto scontato tra politica e ambizione; a rappresentare anche un sogno, un tendere a un miglior vivere per tutti, per l’intera comunità umana. Due termini assolutamente politici e concreti. Due termini che ancora oggi richiamano aspirazioni, ma anche tensioni irrisolte dalla politica e dalle politiche stesse che ci governano. Allora la domanda è: può la cultura contribuire a creare un luogo migliore in cui vivere? Deve una funzione culturale non restare solo tale? Deve l’arte non restare solo accessorio?

 

Democrazia della felicità (ph. di Claudia Pajewski)

 

Quello che a prima vista emerge da Short Theatre è proprio la voglia e il bisogno degli spettatori che vi hanno preso parte di essere immersi in questo nuovo universo creato, quello della democrazia della felicità. A testimoniarlo è stata la presenza di centinaia di persone a ogni spettacolo con file di cuscini che dovevano essere aggiunte di continuo alle gradinate. È un pubblico molto curioso quello di Short Theatre, anche perché è possibile in occasione del festival vedere lavori che non sempre riescono ad arrivare a Roma, dunque un’ottima occasione per arricchire un quadro nazionale di quello che accade a livello teatrale.

 

Anche in questa ottava edizione si sono incrociati tanti percorsi: tra questi la presentazione degli studi dei vincitori del Premio Scenario 2013 e dunque Fratelli Dalla Via, Beatrice Baruffini, nO (Dance fist. Think later), Collettivo InternoEnki. Inoltre, sono state presentate due mise en espace (lacasadiargilla e Accademia degli Artefatti) che rientrano all’interno di un progetto europeo dedicato alla drammaturgia contemporanea dal titolo Fabulamundi. Playwriting Europe.

 

Ad aprire Short Theatre c’è stato il Pinocchio di Babilonia Teatri in collaborazione con la compagnia teatrale bolognese Gli amici di Luca. In scena tre attori che in comune hanno l’uscita dal coma. Un viaggio nell’universo delle possibilità dell’essere, riattaccarsi alla vita o annichilirsi, lasciarsi andare o riprendere le redini delle scelte attive. Un po’ come Pinocchio che deve decidere che strada prendere (vedi la recensione su Doppiozero).

 

Beatrice Baruffini in W (prova di resistenza)

 

Da segnalare, tra i lavori visti, vi è La semplicità ingannata di e con Marta Cuscunà che affronta la questione delle donne e della loro posizione nella società: con grande sensibilità, la giovane artista di Monfalcone prende spunto da una storia che ci porta nel ‘500 quando per molte donne non poteva aprirsi la strada del matrimonio (costoso a causa dell’istituto obbligatorio della dote) e dunque si profilava una vita da spose di Cristo. È in questa atmosfera che in un convento di clarisse di Udine alcune giovani monache riescono a ritagliarsi un angolo di libertà grazie a una minima libera circolazione di libri che arricchisce le giornate altrimenti noiose e porta le giovani a viaggiare con la mente.

 

Una storia che sa di antico e di semplicità dove si attua una sorta di ribellione morale grazie al fiorire di cultura critica. Ironico e tagliente, La semplicità ingannata resta nella memoria e permette un parallelo interessante tra ieri e oggi facendo riflettere sullo spessore e sull’intensità dello status acquisito dalle donne negli ultimi decenni. Sul palco, secondo una modalità già testata ma che funziona davvero bene, sei pupazze riescono a dare un volto (molto curioso) alle clarisse. Cuscunà dà loro voce fornendo prova di una divertita versatilità attoriale.

 

Pinocchio di Babilonia Teatri (ph. Di Marco Caselli Nirmal)

 

Short Theatre 8 ha dedicato molto spazio anche alla performance. È stata ben accolta a Roma Agoraphobia dell’olandese Lotte Van den Berg, interpretata nella versione italiana da Daria Deflorian, un progetto che ha attraversato la penisola all’interno del network Finestate Festival (e di cui si è parlato in occasione del festival di Santarcangelo). Stesso circuito anche per Nos solitudes di Julie Nioche. Qui siamo di fronte a corpo sospeso e bilanciato in aria da un sistema di pesi e contrappesi di piombo che creano una scenografia originale e giocata su poche luci, qualche faro e qualche neon, in grado di creare un’atmosfera lunare. Tutto si gioca sulla gravità e sulla sospensione, tra equilibrio e bilico.

 

Un corpo rannicchiato, obliquo, penzolante, altalenante, oscillante: il tutto a descrivere la permanenza nella solitudine, nell’incontro con noi stessi e nell’incontro con il vuoto. Una chitarra elettrica scandisce le fasi di questa solitaria ricerca umana. Il risultato è un bel quadro in movimento, ma quello che manca è una sorta di calore e di scambio con il pubblico. Si respira una certa freddezza e meccanicità nella performance stessa che non arriva a lasciarsi andare all’esperimento che la modalità scenica pensata e realizzata avrebbe potuto permettere. Resta, invece, da ammettere (e da lodare) quanto un sostegno all’arte, come quello che questa produzione ha avuto oltralpe, sia un toccasana per la sperimentazione e per la creazione di nuove forme e di nuove strade del movimento e della danza.

 

La semplicità ingannata di Marta Cuscunà (ph. di Alessandro Sala)

 

È invece il mondo dell’infanzia a parlare in BE LEGEND! Hamlet / Jeanne d’Arc di Teatro Sotterraneo che fa parte della ricerca Daimon Project, un percorso di due anni articolato in micropuntate che rivisitano la fanciullezza di personaggi storici. Un bambino e una bambina vestono i panni di Amleto e Giovanna D’Arco: quello che vediamo è impressionante perché mostra quanto sia disarmonica e dissonante la condizione di bambini rispetto al futuro di vita (tragica) che li attende. È questo confronto che sciocca lo spettatore, questa infanzia che sfugge dalle mani, ma resta nei corpi dei piccoli.

 

Nos solitudes di Julie Nioche (ph. di Agathe Poupeney)

 

Vediamo così un piccolo Amleto di otto anni provare la sua morte o una Giovanna D’Arco non rinnegare nulla di quello che ha fatto (anzi che farà). E allora la domanda “Cosa vuoi fare da grande?” si spreca, restano parole nel vuoto di un destino già segnato. Teatro Sotterraneo porta in scena una preziosa intelligenza di scrittura e di pensiero che sa anche fare ridere, ma soprattutto sa segnare nel profondo chi è presente e osserva i bambini in scena. Bambini che sono scelti di volta in volta nella città dove si svolgerà la replica e preparati allo spettacolo nel giro di un giorno o due giorni di prove.

 

Una coproduzione di Short Theatre invece l’ultima appendice del lavoro sui Discorsi che il gruppo ravennate Fanny&Alexander sta portando avanti da circa un biennio. Dopo Santarcangelo, Giallo è sbarcato a Roma; è strettamente connesso a Discorso giallo, un progetto che pone al suo centro il tema della pedagogia televisiva. Giallo si presenta sotto forma di radiodramma dal vivo. Al centro della scena un edificio-scuola in miniatura all’interno del quale si andranno sviluppando le vicissitudini e gli incontri di una classe di bambini e della loro insegnante.

 

BE LEGEND! di Teatro Sotterraneo (ph. di Claudia Pajewski)

 

Chiara Lagani è la maestra e lo spettacolo inizia, come ogni mattinata a scuola, con l’appello che coinvolge gli spettatori che siedono intorno alla scena. Numerose voci registrate, frutto di differenti laboratori portati avanti con bambini e bambine, dialogano con la maestra facendoci viaggiare nella formazione delle attitudini di piccoli che non vediamo, ma che sentiamo vicini e impariamo a riconoscere. Lentamente ci addentriamo nei loro pensieri e ci confrontiamo con i modi che hanno di guardare alle cose che gli accadono e alle scoperte. Cinquanta minuti di pura lucidità dove la forza dei piccoli sa costruire o, a seconda dei punti di vista, destrutturare la realtà.

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