Classici in prima lettura / Le Illusioni perdute

11 Agosto 2016

Abbiamo affidato ai nostri autori la lettura di un classico che non conoscevano, da leggere come se fosse fresco di stampa.

 

Ci sono grandi libri che non si leggono per snobismo, per puntiglio o anche per distrazione; quest'ultimo caso favorito dall'iperproduzione di un autore. Per esempio, letto con voracità nella tarda adolescenza e poi abbandonato perché inesauribile, Balzac, per sazietà, per passare oltre; dimenticato in seguito a favore d'altri autori ritenuti al momento più contemporanei. Oggi ne recupero Le Illusioni perdute

Madame Louise de Bargeton è una donna in vista di Angoulême: nobile, ancor giovane e molto più colta dei suoi pari. Lucien Chardon de Rubempré è il suo protetto; ragazzo di umile condizione (ma con un titolo da parte di madre che insegue per tutta la vita), bellissimo e poeta. Sembrano fatti apposta per suscitare sussurri e invidie nell’angusta cerchia della buona società di provincia. Alla fine de I due poeti, prima parte del romanzo, la coppia parte nascostamente insieme verso il sogno chiamato Parigi; qui li dovrebbe aspettare una vita elegante, una carriera letteraria per lui e una mondana per entrambi, dentro alla nube luminosa d’un amore finalmente espresso in pieno. Ecco come appare la capitale al giovane avventizio: 

 

A Parigi quello che balza subito agli occhi è il lusso dei negozi, l’altezza delle case, il gran via vai delle carrozze e l’eterno contrasto tra lo sfarzo più sfrenato e la più nera miseria. Colpito da quella folla alla quale era del tutto estraneo, il giovane sognatore si sentì come privato di un’immensa parte di se stesso.

 

Segnaliamo tre cose che ci servono per continuare il discorso. Parigi significa subito la molteplicità turbinosa e stordente; viene colta con lo sguardo; comporta una perdita di sé. La molteplicità, nuova per il provinciale abituato alla monotonia e alla ristrettezza, è ciò che permette il confronto, la valutazione e la scelta. La vista si dà quale strumento tagliente, via via sempre più rapido e profondo, per effettuare raffronti e prendere decisioni che saranno improntate soprattutto all’estetica e all’utile (“Gli occhi giudicano in fretta e meccanicamente prima che il cuore abbia avuto il tempo di rettificare il giudizio”). La perdita di sé, immediatamente avvertita da Lucien in mezzo al ribollire dei boulevards, si può considerare una sensazione di scomparsa, un effetto di anonimia e di estraneità di chi, appena arrivato, si considera all’improvviso come un signor nessuno. 

 

Questi tre micidiali elementi si combineranno presto nella prima occasione mondana a cui partecipa la coppia. Una rappresentazione teatrale, nella quale più che lo spettacolo si rappresenta la buona società, e dove i due si troveranno come pesci fuor d’acqua nella scintillante molteplicità dei parigini in mostra. Attraverso la vista acutizzata, che deve cogliere dettagli e sfumature tutti come messaggi vitali e tirannici, si stabilisce il triangolo della disillusione. Inizialmente a fare da specchio di rimbalzo è l’intera folla di donne e damerini raffinati, mentre chi osserva non prova, a differenza del primo contatto con la città, il senso della perdita di sé, ma lo scarica sull’altro membro della coppia. Ciò avviene in contemporanea con la creazione di un doppio triangolo che parte da Louise verso Lucien, e viceversa, condividendo lo stesso vertice sociale:

 

Davanti a lui l’orizzonte si faceva più ampio e la società assumeva proporzioni nuove. In mezzo a tante eleganti parigine vestite all’ultima moda, si accorse che l’abito di madame de Bargeton, per quanto pretenzioso, era decisamente antiquato: la stoffa, il taglio e i colori erano ormai fuori moda. L’acconciatura che ad Angoulême l’aveva tanto affascinato ora gli sembrava orrenda in confronto alle raffinate creazioni che sfoggiavano le altre donne. “Continuerà a conciarsi così?” si chiese, senza sapere che Louise aveva impiegato tutta la giornata per prepararsi a una trasformazione radicale. […]

Intanto però anche Louise si permetteva strane riflessioni sul suo amante. Nonostante la sua straordinaria bellezza, il povero poeta non aveva stile. La sua redingote corta di maniche, i guanti spelacchiati confezionati in provincia, e il panciotto striminzito lo facevano sembrare ridicolo vicino agli altri giovanotti della balconata, e madame de Bargeton lo trovava pietoso.

 

Parigi, chiarisce benissimo Balzac, si rivela la vera responsabile di questo silenzioso massacro. La coscienza si spalanca e pure l’involucro umano – vestiario e aspetto fisico – sotto la fredda dissezione oculare. I sentimenti fioriti nell’umbratile spazio provinciale appaiono miseri a più intensa luce e vengono lasciati inaridire, ciò che conta adesso è il superficiale rimando della società liquida dove tutto risplende e scorre via. Se il desiderio lacanianamente è sempre il desiderio dell’altro, anche la disillusione è sempre la disillusione dell’altro. Ciascuno dei due si sente confrontato a proprio danno e per dispetto più spietato confronta, cosicché il mutuo incantamento si dissolve. La favola che ciascuno aveva poco tempo prima fantasticato sul compagno o sulla compagna viene bruscamente interrotta perché in primo luogo non s’avverte più la fiducia dell’effusione altrui su di sé. I due amanti smettono di narrarsi il presente e il futuro perché cessano di essere anche ascoltatori dell’altro; il patto che sospende l’incredulità proiettando la coppia nel proprio mito salta con secca detonazione. Basta una serata per rendere compiuta nei fatti la separazione, anche se per discrezione, ipocrisia, tatto o tattica essa verrà rimandata.

 

René Girard, in Menzogna romantica e verità romanzesca, ci aveva mostrato l’importanza di un   altrui fuoco esterno, ritenuto prestigioso, per infiammare di passione verso un oggetto d’amore fin lì trascurato. Nella disillusione sembra bastare per il disinnesco una folla generica su cui Lucien e Louise operano autonomamente il confronto. La definizione della rottura avviene però, anche in questo caso, certificata da una fonte autorevole. Ecco dunque, a una seconda serata all’Opèra, un più esplicito confronto dove giganteggia la centralità dello sguardo, ormai addestrato all’implacabilità, signore della scepsi che detta la linea della divisione: 

 

Louise invece era rimasta la stessa. Vicino a una donna alla moda come la marchesa d’Espard, una specie di madame de Bargeton della capitale, la cugina aveva tutto da perdere. La brillante parigina faceva emergere così bene tutti i difetti di quella provinciale, che Lucien, confrontandola con quella gran dama e con tutto il bel mondo che popolava quella magnifica sala, vide finalmente dietro la povera Anais de Nègrepelisse la donna reale, la donna che tutti i parigini vedevano: una spilungona rinsecchita con la pelle chiazzata dalla couperose, avvizzita più che rossa, ossuta, boriosa, petulante e manierata, con un accento provinciale, e soprattutto decisamente malvestita. […] Lucien si vergognava di aver amato quell’osso di seppia, e giurò a se stesso che avrebbe approfittato del primo accesso di virtù di Louise per lasciarla.

 

Ancor più trasparente il moto triangolare con vertice attivo Louise e con sguardo magistrale la medesima madame d’Espard, sua protettrice; il giudizio passato diviene motivo di vergogna e va rettificato in fretta secondo più prestigiosi canoni:

 

“Si sente che venite da Angoulême”, gli rispose la marchesa in tono piuttosto ironico e senza staccare gli occhi dal binocolo.

Lucien non afferrò. Era troppo occupato ad osservare i palchi intuendo i giudizi malevoli che circolavano su madame de Bargeton e la curiosità di cui era oggetto. Louise era invece terribilmente mortificata vedendo che la marchesa non sembrava molto colpita dalla bellezza di Lucien. “Allora non è così bello come credevo!” si diceva la nobildonna. E di lì a trovarlo meno intelligente non c’era che un passo. Calò il sipario. 

 

A questo punto la rappresentazione teatrale ha fatto il suo gioco e il sipario si può chiudere sullo spettacolo e soprattutto sulla relazione degli appassionati amanti d’una settimana prima. Resta solo da capire se questa lezione sarebbe stata utile apprendere per noi, con tale chiarezza preventiva, molto prima che adesso, o se viceversa certi libri vanno assunti a stomaco foderato. D'altro canto, a testimonianza che neanche i capolavori stanno soli in sé, se non avessi letto Girard, forse quei passi li avrei lasciati passare senza la dovuta attenzione. Se ne conclude che proprio l'accidentalità dei sentieri di lettura lungo il tempo, le esperienze, lo studio, fanno di un individuo quell'individuo. 

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