Parigi. Fuori dal nido

14 Maggio 2012

Ogni anno la primavera porta al Centre Pompidou di Parigi un nuovo allestimento del museo e gli eventi artistici e mondani vanno di pari passo con l’arrivo delle belle giornate. L’inizio dell’estate è alle porte, almeno così suggerisce la temperatura di questi giorni, e l’appuntamento con l’abbronzatura a Paris Plage pare dietro l’angolo.

Tuttavia la ritrovata luminosità entra nelle case dei parigini evidenziando polvere, pareti da imbiancare, mobili da riparare, piastrelle da sostituire. Che fare? Si va al Festival de ma maison.

 

La primavera a Parigi si apre con le lunghe file al Leroy Merlin di rue Rambuteau, proprio accanto al Centre Pompidou. I cataloghi d’arte sono sostituiti dai manuali tecnici, e per le strade non è difficile incontrare persone con gli oggetti più bizzarri tra le mani (i sacchetti a Parigi sono banditi, a partire dalla baguette tutto passa quasi sempre da mano a mano). Lunghe asticelle di legno, secchi, pennelli, aste di alluminio, sottovasi e porta vasi in ferro, persone con sedie e persone con lampadari. E poi mensole: di legno laccato, di legno naturale, in formica. Mensole, mensole e ancora mensole.

 

 

Parigi ha l’operosità di un formicaio, ma le sue formiche sono anarchiche e indipendenti, ognuna fa di testa propria e il movimento è caotico e confuso, seppur, a suo modo, chic e tipicamente lezioso. Non si riesce a scorgere, spiando tra le ceste degli improvvisati artigiani, una qualche coerenza: è difficile intuire quale lavoro verrà intrapreso o in cosa possa consistere l’eventuale riparazione. La prima impressione è quella di essere circondati da tanti Monsieur Hulot alle prese con la modernità.

 

Già, perché l’essenza delle case come dei negozi parigini è l’ostinato legame con il residuo. Difficilmente qualcosa viene cambiato e la riparazione non è altro che una maschera che cela aggiunte e aggiustamenti. L’accrocchio è infatti l’unica soluzione possibile, un magico equilibrio che trasforma l’imperfezione in una forma di aggiustamento continuo. La rottura definitiva non è contemplata ma, come in una sorta di evoluzione darwiniana, l’oggetto muta forma e, in caso, anche funzione, rendendosi utile in altra maniera, una forma di design fai da te.

 

Qualche tempo fa, quasi a indicare l’affinità con il Leroy Merlin vicino, Tadashi Kawamata ha posizionato sulle pareti esterne del Centre Pompidou degli enormi nidi in legno e materiali di riciclo. Giganti e goffi, i nidi erano costretti ad una mediazione tra il materiale da costruzione a disposizione e quella che avrebbe dovuto essere la loro forma ideale. In questo caso l’aggiustare riguardava soprattutto il materiale utilizzato e non certamente l’imperizia del progettista. L’impressione era che i nidi potessero cadere al suolo da un momento all’altro o almeno perdere qualche pezzo. Gli stessi operai che li avevano montati, vedendoli, ne ridevano con aria perplessa. I nidi mettevano in comunicazione una memoria intima con lo spazio pubblico: la precisione del gesto può cancellare ogni memoria, annullando ogni inciampo e adattamento. Aggiustare significa prima di tutto rimettere in uso e nelle riparazioni casalinghe così come in quelle intime, l’errore non si cancella. Al massimo lo si sostituisce con altri che permettano il funzionamento o meglio una sorta di malfunzionamento in cui ritrovare anche se stessi.

 

 

Le città agli antipodi, quella vecchia e quella nuova, messe in scena da Jacques Tati in Mon Oncle si sono intrecciate. Se oggi la manualità del pollice è una delle conquiste dell’uomo occidentale sempre connesso, la perdita delle mani e della loro sapienza ne è la diretta conseguenza. I parigini, nella più ampia accezione che va ben oltre quella dei documenti di provenienza o di residenza, sembrano così essere una bizzarra categoria di uomini antiquati del proprio tempo.

 

La primavera di Parigi ha il gusto delle mani sporche al lavoro, delle vernici, delle spatole e dei pennelli. Il virtuale, tanto dinamico e sempre in movimento, non è che una forma di archiviazione, uno spazio immobile. Troppo poco per l’aria di primavera.

Riparare - e anche male - forse non migliora di molto le cose, ma toglie dalla testa quella sensazione di mal d’archive a cui la troppa immobilità di questi anni ci ha ridotti. Difficile trovare a Parigi un uomo più felice di un uomo che aggiusta.

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