Letto in un'altra lingua / Ricardo Piglia, L'utopia della forma

29 Gennaio 2020

La lettura dello scrittore

 

“Noi non vogliamo interpretare, ma raccontare quello che manca nella narrazione”, scrive Ricardo Piglia in Teoría de la prosa (p. 58). A questa affermazione fa eco un passo analogo in L’ultimo lettore: certi lettori russi, dice Piglia, i formalisti (Šklovskij, Ejchenbaum), “ci interessano particolarmente perché definiscono la relazione con un testo in funzione di come è stato costruito, e pongono problemi legati alla costruzione e non problemi riguardanti l’interpretazione” (p. 148).

 

Leggere da questa posizione, scrive Piglia, vuol dire “leggere come se il libro non fosse mai finito” (L’ultimo lettore, p. 149). Questa posizione riguarda la ricerca di una prossimità, da parte del lettore, con il punto di vista della composizione. Essa implica uno slittamento del transfert che definisce la fruizione letteraria: “il lettore ammirevole non si identifica con i personaggi del libro, ma con lo scrittore che ha composto il libro” (p. 149). Questa posizione definisce le condizioni della lettura dello scrittore: si tratta prima di tutto di un’intenzione e solo secondariamente di un punto preciso dello spazio in cui collocarsi – il lettore, in questo, come l’analista Dupin in E.A. Poe, è un inguaribile adepto dell’utopia della forma. 

 

È a partire dalla ricerca di questa prossimità con il punto di vista della composizione che Piglia prende la parola in Teoría de la prosa. Il volume, pubblicato in Argentina due anni dopo la morte dell’autore, raccoglie le trascrizioni di un corso tenuto da Piglia all’Università di Buenos Aires nel 1995. Durante le nove lezioni Piglia e gli studenti leggono, rileggono, commentano e analizzano i seguenti testi: Il pozzo, Il volto della disgrazia, Gli addii, Per una tomba senza nome, Triste come lei, La muerte y la niña e Cuando entonces. Si tratta di opere di Juan Carlos Onetti, tuttavia la natura delle lezioni non è meramente monografica; il discrimine, nella scelta dei testi dello scrittore uruguaiano, è formale: si tratta unicamente di testi a cavallo tra la forma breve e il romanzo – romanzi brevi o nouvelles. Il percorso che Piglia delinea in Teoría de la prosa si svolge intorno a un doppio asse, e le pagine di Onetti diventano occasione e strumento per rispondere a una domanda precisa: che cos’è la nouvelle, questa forma ambigua a metà strada tra racconto e romanzo?

 

Capire un testo è raccontarlo di nuovo

 

Le pagine di Piglia, narrative o saggistiche, sono attraversate da una tensione riconoscibile. In Respirazione artificiale come in Formas breves, in L’ultimo lettore e in Solo per Ida Brown, la voce che prende la parola si caratterizza per una peculiare ambiguità – il suo sguardo è duplice. Questa duplicità è legata a un movimento che ora stringe e si abbassa sui fatti – i dati e i documenti di cui è a disposizione o di cui è alla ricerca –, ora allarga e li osserva dall’alto, facendosi astratto; ora raccoglie, classifica ed enumera, ora specula e sconfina. Il modo in cui queste due istanze antitetiche dello sguardo convivono e si alimentano a vicenda è un tratto saliente dello stile di Piglia. D’altra parte, come in Borges, la distinzione tra narrazione e saggio, in Piglia, è un fattore secondario: se il lettore ammirevole è quello che non si identifica con i personaggi del libro ma con il suo autore, la posizione del Piglia lettore e analista è quanto più vicina possibile al punto di vista della composizione. Questo punto di vista è quello della finzione. La finzione è il regno dell’ambiguità: una dimensione in cui il vero e il falso obbediscono a una causalità a sé stante, autonoma e interna.

Ci troviamo davanti a un doppio strato di ambiguità: uno sguardo duplice; una dimensione, quella della finzione, che non ammette altre leggi dalle proprie, e che tende ad annullare le differenze tra narrazione e saggio. Questa è la condizione di partenza di Teoría de la prosa: un percorso il cui carattere speculativo si nutre di un ricorso sistematico e rigoroso al testo che è di volta in volta oggetto d’esame; un legame letterale col testo in esame, la cui stessa lettera spinge il discorso di lato, aprendo porte e sentieri inattesi; un abbandono radicale, nell’analisi, alle leggi della finzione, fino al limite per cui analizzare un testo significa raccontarlo di nuovo. 

 

Il segreto

 

Cos’è dunque la nouvelle, forma ambigua a cavallo tra racconto e romanzo? Per rispondere alla domanda Piglia legge e analizza una serie di testi di Onetti. Perché Onetti? Per il fatto che nello scrittore uruguaiano l’ambiguità formale della nouvelle trova una forte corrispondenza tematica e stilistica. 

 

Il primo criterio utilizzato per definire la forma nouvelle è esterno. Si tratta di una categoria editoriale: la nouvelle è un testo narrativo la cui estensione è relativamente breve eppure sufficiente a garantirne l’autonomia in forma di libro isolato e indipendente. Questo criterio è parziale e fallace: è stato infatti lo stesso Onetti a insistere, contro la vulgata editoriale dell’epoca, perché i testi che costituiscono l’oggetto di studio di Teoría de la prosa fossero pubblicati come libri autonomi e non come parte di antologie di testi brevi. La prima edizione di alcuni dei titoli citati, riferisce Piglia, è avvenuta a spese dell’autore. L’ostinazione di Onetti rispetto all’autonomia di opere come Triste come lei e Gli addii riguarda dunque un elemento più intimo e interno, legato alla struttura e alla forma di quei testi. Qual è questo elemento? Per rispondere, Piglia chiama in causa Deleuze, Šklovskij e Auerbach. 

 

 

“Partiamo dalla definizione di Deleuze, poiché egli pone la figura del segreto come una questione legata al genere [della nouvelle]. La nouvelle si trova a essere in relazione con un segreto che rimane impenetrabile e non prende in considerazione né la sua materia né il suo contenuto. Sarebbe a dire che la nouvelle è un tipo di narrazione in cui ciò che conta è l’esistenza del segreto in sé e il fatto che esista uno spazio vuoto, per così dire, una cosa di cui, dall’interno della narrazione, si è all’oscuro” (Teoría de la prosa, p. 16).

 

L’ingresso, nell’argomentazione, del segreto come forma vuota o spazio vuoto permette a Piglia di chiarirne la funzione attraverso il confronto con una figura, quella dell’enigma, che ha un ruolo fondamentale nelle riflessioni di Poe intorno alla forma racconto. Poe, scrive Piglia, è il primo teorico del racconto; egli stabilisce una serie: enigma-sorpresa-genere poliziesco. L’enigma è raccontato dal punto di vista di chi lo decifra, è un vuoto che il narratore o il detective, nel finale, riempie; il segreto, al contrario, nella nouvelle, è narrato dalla posizione di chi lo ordisce, o da quella di chi, pur tentando di venirne a capo, si trova in una posizione tale da restarne sempre all’oscuro. In questo senso, secondo Auerbach, il segreto non risiede nella trama ma nella posizione del narratore. Infine, lo spazio vuoto che il segreto descrive ha una funzione aggregativa. Secondo Šklovskij, dice Piglia, il segreto serve a unire una trama dispersa: “la nouvelle si costruisce a partire da un luogo vuoto. A cosa rimanda questo vuoto? A una cosa che non viene mai raccontata, sarebbe a dire a una causa o un motivo non espliciti e che, se fossero narrati, trasformerebbero la nouvelle in un romanzo. Nella nouvelle la causalità resta senza spiegazione. Voglio dire che l’idea di Šklovskij è che il segreto funziona come un luogo che permette di unire personaggi, serie e frammenti all’interno di una storia” (p. 21).

 

Gli ultimi due passi citati vengono dalla prima lezione, che pone le basi del discorso. Nelle otto lezioni che seguono si tratta di leggere, di volta in volta, i testi di Onetti alla luce di queste chiavi – e, all’inverso, di far deviare le traiettorie del discorso che le figure del segreto e dello spazio vuoto suggeriscono, in base alle indicazioni dei testi di Onetti. L’argomentazione è alimentata, nella sua progressione, da una doppia sorgente – perché una tale ambiguità risulti feconda, per evitare che essa affossi il discorso per vaghezza, Piglia si cura di disporvi intorno una membrana. Questa membrana riguarda la tradizione. Ricostruire l’origine e la storia della nouvelle è parte di una strategia argomentativa che, insieme al confronto con autori vicini a Onetti per affinità tematica (come Roberto Arlt), permette a Piglia di fornire ai suoi studenti, e ai lettori, gli strumenti per avvicinarsi al punto di vista della composizione. 

 

La posizione del narratore

 

Henry James sta alla nouvelle come Poe sta al racconto. L’autore di Giro di vite, scrive Piglia, utilizza lo spazio vuoto del segreto per costruire una serie analoga a quella stabilita da Poe per il racconto: segreto-ambiguità-racconto di fantasmi (“Parliamo di fantasma come spettro o apparizione, ma anche come una delle figure dell’immaginario che appartiene a quella che Borges chiama letteratura fantastica. Nella letteratura del Río de la Plata c’è una tradizione forte di racconti di fantasmi, per esempio i testi di José Blanco, Julio Cortázar, Silvina Ocampo e lo stesso Onetti”, Teoría de la prosa, p. 19). Questa serie, secondo Piglia, racchiude i tratti salienti della forma nouvelle. Tuttavia il peso e l’eredità di James non si limitano a questa formalizzazione. Ricordiamo la nota di Auerbach: il segreto non risiede nella trama ma nella posizione del narratore. James, di fatto, è stato tra i primi, nei suoi testi narrativi, ad attentare all’attendibilità del narratore; ha sistematizzato, scrive Piglia, quella figura che in narratologia si definisce come narratore inattendibile: “il testo mostra una cosa e il narratore in dice un’altra. Il segreto che si svela, per dirla con James, «si mostra e non si dice», sarebbe a dire che il segreto «fa vedere», ma ciò che mostra è diverso da quello che dichiara esplicitamente il narratore” (p. 67).

 

Il segreto è legato alla posizione del narratore; il narratore mente o non è in grado di dire la verità – perché ha dimenticato, perché contribuisce a ordire il segreto e vi è implicato, perché la storia non gli appartiene ed è solo un curioso, un intruso all’interno di essa. La questione slitta di nuovo: in che relazione si trova il narratore rispetto ai fatti che sta raccontando? Gli eventi sono già accaduti al momento in cui ha cominciato a raccontare? Questo elemento di temporalità interna è un importante vettore di ambiguità in Onetti (ad esempio in Il volto della disgrazia, in cui il narratore si fa carico, a un certo punto del testo, di riportare la storia per iscritto, al presente, mentre la narrazione tende al passato e a raccontare ciò che è già accaduto) e ha un precedente fondamentale in Faulkner: 

 

 

“Questa figura così schiva del narratore di Faulkner che genera tempi diversi nel testo è così fragile, così sottile, che tale gioco di tempi quasi non si percepisce. Però il testo è costituito da strati, e il narratore cerca di collocarsi, con la coscienza che gli è propria, in ogni luogo della narrazione” (pp. 68-69).

 

L’intero universo narrativo vacilla. Se nella forma nouvelle la funzione del segreto consiste nel restare sospeso creando uno spazio vuoto; se il narratore non è in grado o non ha interesse a rivelarlo; se la sua posizione attenta alla coerenza della temporalità interna della narrazione – cosa significa in questo quadro, si chiede Piglia, che un testo del genere si chiuda e finisca?

Nella serie costruita da Poe intorno al racconto, il finale del testo interessa la sorpresa e coincide con lo scioglimento dell’enigma. Nel caso della nouvelle, nella tradizione che va da James a Onetti, la chiusa, secondo Piglia, è innanzitutto legata alla cornice, ovvero alle condizioni di enunciazione della storia. In Per una tomba senza nome, ad esempio, questa cornice è rappresentata dal medico Díaz Grey, da Tito e da Jorge Malabia, il ragazzino per bene che, sognando di liberarsi dal modello paterno, si trasforma inspiegabilmente in un pappone:

 

“Questi tre, sarebbe a dire la cornice costituita da Díaz Grey, Jorge Malabia e Tito, che sono i narratori della storia, si domandano come continua [la storia] e inoltre, come i lettori, si interrogano e cercano di completare quello che manca nella narrazione, sarebbe a dire il segreto” (p. 124).

 

Il tentativo, tuttavia, è vano. In Per una tomba senza nome, come in Gli addii e in Il volto della disgrazia, la chiusa del testo, ovvero il momento in cui si smette di narrare, non coincide con il finale della storia. Nei tre romanzi brevi, la chiusa è costituita dall’ingresso nel testo di nuclei narrativi separati, che funzionano come code, appendici o anticlimax, ma che non chiariscono quello che manca nella narrazione: la lettera di Tito alla fine di Per una tomba senza nome; l’arrivo dell’auto della polizia e la notizia del crimine in cui sarebbe implicato il protagonista di Il volto della disgrazia; l’informazione omessa e poi rivelata dal narratore di Gli addii intorno alla parentela tra il protagonista e una delle due donne con cui intrattiene una relazione epistolare. In ognuno di questi casi, la chiusa del testo rivela una parte della trama ma non dice niente intorno allo spazio vuoto del segreto, alla porzione non raccontata della storia. 

Se una storia non si conclude, scrive Piglia, vuol dire che non ha un finale. Lo stesso Díaz Grey dice, in Per una tomba senza nome, che si tratta di “una narrazione senza finale possibile, dal significato dubbio” (p. 124). L’assenza del finale, secondo Piglia, è in relazione con ciò che non è raccontato – nel caso di Per una tomba senza nome, con la trasformazione inspiegabile di Jorge Malabia in pappone e usurpatore.

 

“La mia ipotesi è che questo finale che manca […] è il vero segreto della storia” (p. 126).

 

Questo vuoto

 

Piglia disegna un circolo. La figura del segreto genera uno spazio vuoto, il quale è legato alla posizione del narratore rispetto agli eventi piuttosto che alla trama della storia; le condizioni da cui il narratore prende la parola determinano la possibilità della chiusa: il finale non si dà, poiché è il vero segreto della storia. 

 

Soffermiamoci sulla figura dello spazio vuoto. Cosa spinge Jorge Malabia, in Per una tomba senza nome, ad abbracciare la mala vida e a diventare il ruffiano di Rita? Seguendo quale impulso segreto il protagonista di Gli addii torna in un appartamento legato al suo passato per suicidarsi? In che modo il protagonista di Il volto della disgrazia è legato all’omicidio della sua giovanissima amante? Lo spazio vuoto del segreto non ingloba o ricopre gli eventi, ma i motivi che li scatenano. Questi motivi, in Onetti, sono omessi in quanto inesplicabili; sono inesplicabili poiché obbediscono a un ordine causale distinto, autonomo e irriducibile. In “L’arte narrativa e la magia”, saggio di  Borges citato da Piglia, l’autore di Finzioni identifica due diversi modelli di causalità nella narrazione: uno realista e l’altro magico. Nella forma nouvelle, scrive Piglia, e nei testi di Onetti in esame, questi due modelli o ordini di causalità non sono separati ma giustapposti. I loro punti di attrito descrivono il perimetro della forma vuota del segreto. Due dimensioni distinte si configurano nella narrazione: da un lato, il ragazzino per bene Jorge Malabia; dall’altro Jorge Malabia il pappone. Dall’altro lato: lo spazio vuoto del segreto è una figura di passaggio e attraversamento. 

Prima di chiederci cosa transiti, di preciso, attraverso lo spazio vuoto del segreto, indugiamo ancora sull’idea della scissione delle due dimensioni. Un uomo desidera di fuggire dall’inerzia delle leggi e dei limiti della vita quotidiana, si ferma e sogna un’altra vita. Quest’altra vita, di colpo, inspiegabilmente, diviene reale. Questo atto di scissione è il modo in cui Juan María Brausen, in La vita breve, fonda l’universo narrativo di Santa Maria, universo in cui si svolgono numerose opere di Onetti, tra cui Raccattacadaveri e Per una tomba senza nome. Questa tensione tra le due dimensioni è tipica in Onetti e, secondo Piglia, trova nell’ambiguità formale della nouvelle il suo contesto ideale – uno in cui l’altro ordine causale, che Borges chiama magico, che Piglia chiama finzionale, non è tenuto a spiegare o giustificare i propri mezzi, ma unicamente a mostrare i suoi effetti. 

 

Cosa transita dunque per lo spazio vuoto del segreto? È un impulso: una spinta che rende possibile il passaggio da una dimensione all’altra, da un ordine di causalità all’altro. Ricordiamo Šklovskij: la forma vuota del segreto funziona come un luogo che unisce. Nella tradizione della letteratura fantastica del Río de la Plata, legata, secondo Piglia, alla serie inaugurata da Henry James (segreto-ambiguità-racconto di fantasmi), questo impulso ha trovato diversi strumenti per mostrare i suoi effetti: l’erudizione e la falsa attribuzione in Borges, l’ascetismo dell’immaginazione in Cortázar, la parodia delirante in Laiseca. In Onetti, dice Piglia, questo impulso assume la forma dell’utopia privata: un uomo, disteso sul letto di una pensione in malora, sogna un’altra vita – desidera l’accesso a una dimensione che risponde a un altro ordine causale. È un sogno di rivalsa e di autodistruzione, un desiderio impossibile: di colpo, il ragazzino per bene Jorge Malabia traffica con la prostituzione; il passaggio dall’altro lato lo avvicina e lo allontana dall’oggetto del desiderio: Rita, la donna col capro che ha messo in moto l’intero processo, la donna di cui è innamorato, è ora la sua prostituta. E il ragazzino Jorge Malabia, come i suoi compari nella cornice narrativa di Per una tomba senza nome, si sforza di trovare una chiusa alla storia, di svelare il segreto, ma la chiusa non esiste. Diversamente dai racconti di Borges, in cui il processo di attraversamento è sempre tematizzato e assume i tratti del paradosso logico, nelle nouvelles di Onetti il passaggio all’altra dimensione è semplicemente fuori dall’orizzonte della narrazione: è la forma di un’assenza, uno spazio vuoto –  un limite, un silenzio, un segreto.  

 

L’analisi formalista – la lettura dello scrittore, lo sguardo duplice, l’abbandono al punto di vista della composizione – di Piglia in Teoría de la prosa non si limita a descrivere la geometria di questo spazio vuoto; al contrario, ne identifica le condizioni di possibilità nella forma nouvelle, chiarisce la sua funzione di frontiera e passaggio da un ordine di causalità all’altro e misura, con una precisione altrimenti impensabile, i suoi effetti nella narrazione.

 

“Il segreto non è un problema di interpretazione di un significato, ma della ricostruzione di un dato assente. Capire è raccontare di nuovo” (p. 17).

 

Nota di lettura

 

Nel 2016, in occasione dell’invio dell’archivio di Ricardo Piglia all’Università di Princeton, sono state ritrovate le registrazioni delle nove lezioni tenute dallo scrittore argentino presso l’Università di Buenos Aires tra il 28 agosto e il 13 novembre 1995. Piglia ne ha richiesto la trascrizione e, negli ultimi mesi di vita, ha lavorato alla preparazione del volume. Piglia è deceduto il 6 gennaio 2017; Teoría de la prosa è uscito a febbraio 2019, per i tipi dell’editore argentino Eterna Cadencia, a cura di Luisa Fernández.

I testi citati da Piglia in Teoría de la prosa (rigorosamente senza bibliografia nell’edizione argentina) sono i seguenti: Gilles Deleuze, Mille piani (Castelvecchi, 2003, traduzione di Giorgio Passerone); Viktor Borisovič Šklovskij, “La struttura della novella e del romanzo” (in I formalisti russi, AA. VV., Einaudi, 2003, a cura di Gian Luigi Bravo); Erich Auerbach, La tecnica di composizione della novella (Theoria, 1987, traduzione di Raoul Precht). Il saggio di Borges “L’arte narrativa e la magia”, apparso per la prima volta sulla rivista «Sur» (estate 1932, pp. 172-179), si trova in Discussione (Adelphi, 2002, a cura di Antonio Melis, traduzione di Lucia Lorenzini). 

 

Tutte le nouvelles di Onetti analizzate durante le nove lezioni di Teoría de la prosa sono edite in Italia, a eccezione di La muerte y la niña e Cuando entonces. Ironicamente, o forse in ottemperanza a certa vulgata editoriale, nouvelles come Triste come lei e Il volto della disgrazia, che Onetti insisté per pubblicare come testi autonomi, sono stati inserite, in italiano, nella raccolta di racconti [sic] Triste come lei (Einaudi, 1981; Sur, 2017. In entrambi i casi, la traduzione è di Angelo Morino). 

La traduzione dei passi citati da Teoría de la prosa è mia. L’affermazione programmatica del medico Díaz Grey intorno all’assenza della chiusa in Per una tomba senza nome è citata da Piglia nella quinta lezione; in Italia il testo è stato pubblicato da Sur nel 2016, con la traduzione di Dario Puccini. L’altra affermazione programmatica, per cui “il lettore ammirevole non si identifica con i personaggi del libro, ma con lo scrittore che ha composto il libro” (da L’ultimo lettore, Feltrinelli, 2007, traduzione di Alessandro Gianetti) non è di Piglia ma di Nabokov.

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