Ligaland / Ligabue e Presley

19 Gennaio 2020

È uscito in questi giorni, presso l’editore Mimesis, il volume di Vanni Codeluppi Ligaland. Il mondo di Luciano Ligabue. Pubblichiamo in anteprima un estratto da questo volume relativo al rapporto esistente tra il cantautore emiliano e il cantante americano Elvis Presley.

 

 

Elvis Presley ricorre frequentemente nei discorsi di Ligabue. Si potrebbe quasi dire che è stato per questi un punto di riferimen­to costante. Il film Radiofreccia si conclude con la scena del funerale del prota­gonista Freccia, accompagnato dalla banda musicale di Correggio che suona Can’t help falling in love, il celebre brano con il quale Presley solitamente terminava i suoi con­certi. E all’interno di questo film è presente anche il cantante correggese Little Taver, sorta d’imitazione “alla buona” di Presley. E che dire delle luccicanti giacche tipiche dell’ultimo Presley che sono state più volte indossate da Ligabue durante i concerti? E delle canzoni Un figlio di nome Elvis, Buon compleanno, Elvis!, ma anche Ultimo tango a Memphis, una personale versione della celebre Suspicious Minds del cantante ameri­cano? Soprattutto, però, Presley è presente nel titolo dell’album Buon compleanno El­vis, che secondo molti rappresenta il vertice della carriera musicale del cantautore emilia­no. E, per presentare tale album alla stampa italiana, Ligabue ha scritto una lettera nella quale si è rivolto direttamente a Presley e gli ha detto tra l’altro: «Non sono uno dei tuoi milioni di fan, ma sono uno che ti stima e che ti vuole ringra­ziare soprattutto per una cosa che al rock hai dato e senza la quale il rock non potrebbe vi­vere: il Sogno».

Forse Ligabue ha guardato spesso a Presley perché questi è stato il primo personaggio musicale a diventare realmente intermediale, cioè un fenomeno di massa che vendeva milioni di dischi e appariva contemporaneamente in radio, televisione, stampa e cinema. Aveva dunque delle carat­teristiche molto simili a quelle di un cantante contemporaneo di successo come lui. 

 

Probabilmente, però, Ligabue ha guardato a Presley anche perché questo è stato il pri­mo divo musicale a sentire profondamente sulla sua pelle, sino all’autodistruzione, il peso della celebrità. Ad avvertire cioè di do­ver affrontare il faticoso lavoro di conciliare la propria identità personale con la fama e il successo. In Ligabue, infatti, compare spesso il tema delle difficoltà che tutti i per­sonaggi di successo sono costretti ad affron­tare per tentare di convivere con la loro im­magine pubblica. Lo troviamo per esempio in canzoni come Uno dei tanti o Sulla mia strada. Ligabue ne ha parlato anche nel libro di racconti Fuori e dentro il borgo, dove ha presentato se stesso come qualcuno che «cerca almeno di non farsi devastare dall’idea che chiunque possa, sulla base di due note, di una foto, di un’apparizione televisiva, di un’intervista pubblicata con i suoi begli ag­giustamenti, arrivare a emettere sentenze su di lui, su tutto ciò che ha scritto, sulla sua ani­ma» (p. 175). 

 

 

Più in generale, come si è detto, il tema dell’identità è sempre stato centrale nei lavori del cantautore emiliano. Al punto da essere anche il principale legame che tiene insieme buona parte delle canzoni di un inte­ro album: Nome e cognome

È evidente comunque che tutti quelli che fanno musica rock non possono che considerare Presley un fondamentale punto di rife­rimento. D’altronde, il dj Alan Freed viene di solito considerato l’inventore nel 1951 del termine “rock’n’roll”, da lui attribuito alla musica che trasmetteva dall’emittente ra­diofonica WJW di Cleveland nell’Ohio, ma è nel 1954 che si ritiene sia effettivamente nato il rock’n’roll. Quando cioè dagli studi dell’etichetta indipendente Sun Records, situati a Memphis nel Tennessee e di proprietà di Sam Phillips, sono uscite le prime can­zoni registrate da Presley (seguite successi­vamente da quelle di Carl Perkins, Johnny Cash, Jerry Lee Lewis e numerosi altri). 

 

Il rock’n’roll riusciva a fondere insieme per la prima volta la ritmica e secca scan­sione del rhythm & blues con la melodia morbida e altalenante del country & western, la musica dei neri con quella dei bianchi, i suoni della campagna con quelli della città. Rendeva così possibile fare accettare al pub­blico dei giovani bianchi quel ritmo travol­gente che caratterizzava la musica dei neri. E Presley era il personaggio adatto per otte­nere questo risultato, grazie alla sua capacità di integrare una voce profonda da nero e un forte senso della musicalità con un aspetto esteriore da bravo ragazzo bianco. 

Va anche considerato che all’epoca nelle aree suburbane i giovani bianchi soffriva­no notevolmente a causa di una situazione sociale insoddisfacente rispetto alle loro aspirazioni e si sono perciò identificati con facilità in una musica come il rock’n’roll, che percepivano come autentica espressione di una condizione di vita difficoltosa quale quella vissuta dai neri. Una musica, inoltre, che veniva proposta da cantanti che avevano la loro stessa età, a differenza degli stagio­nati interpreti di quella musica melodica che aveva avuto successo sino a quel momento sul mercato discografico. Una musica, in­fine, che permetteva loro di ribellarsi all’educazione e ai valori trasmessi dai genitori, dalla scuola e dall’intera società degli adulti.

 

I media hanno notevolmente amplificato l’impatto sociale ottenuto dal rock’n’roll. La televisione si è diffusa infatti su larga scala presso le famiglie americane durante gli anni Cinquanta ed è stata perciò in gra­do di portare direttamente nelle abitazioni le immagini dei nuovi divi della musica. Va considerato, inoltre, che la musica dei giovani e lo schermo televisivo hanno in comune la stessa modalità comunicativa: un flusso di immagini, stimoli, frammenti dove la velocità la fa da padrona sul senso razionale delle parole. E la scrittura punti­forme dello schermo televisivo è semplice e approssimativa come la struttura musicale del rock’n’roll. Ma proprio perciò, come ha messo in luce il mediologo canadese Marshall McLuhan nel volume Gli strumenti del comunicare, l’incompletez­za rende attivo l’individuo, coinvolgendo i suoi sensi attraverso la spinta a completare il messaggio parziale offerto.

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