Bestiario / Farfalle

7 Febbraio 2021

Primo Levi visita nel 1981 una mostra dedicata alle farfalle a Torino nel Museo Regionale di Storia Naturale e ne scrive su un quotidiano (Le farfalle in L’altrui mestiere). I colori dei lepidotteri lo catturano. Si chiede: perché sono belle le farfalle? Non certo per piacere all’uomo, come ritenevano gli avversari di Darwin all’epoca delle pubblicazioni delle opere sull’evoluzione. S’interroga perciò sul concetto di bellezza che riconosce immediatamente come relativo e culturale, modellato nei secoli sulle farfalle, oltre che sulle montagne, sul mare e sulle stelle. Osserva che nella nostra civiltà sono “belli” i colori vivaci e la simmetria, al contrario di quanto avviene in altre culture: per questa ragione le farfalle ci colpiscono così tanto. La farfalla è una fabbrica di colori, continua l’autore di Se questo è un uomo, poiché “trasforma in pigmenti smaglianti i cibi che assorbe ed anche i suoi stessi prodotti di escrezione. Non solo: sa ottenere i suoi splendidi effetti metallici ed iridescenti con puri mezzi fisici, sfruttando soltanto gli effetti di interferenza che osserviamo nelle bolle di sapone e nei veli oleosi che galleggiano sull’acqua”. Ma c’è altro. Non bastano i colori e le simmetrie. Ci sono motivi più profondi osserva. Non diremmo belli questi insetti se non volassero e non “attraversassero il mistero conturbante della metamorfosi”. Tanto quanto sono “goffi, lenti, urticanti, voraci, pelosi, ottusi” i bruchi, simbolo della perfezione non raggiunta, tanto sono aeree, leggere, inafferrabili e affascinanti le farfalle che del bruco sono la trasformazione perfetta.

 

Una giornalista scientifica americana, Wendy Williams, ha dedicato ora un ampio libro all’universo di questi lepidotteri (dal greco lepis, scaglia, e pteris, ali) visitando i luoghi dove si rifugiano in inverno, i collezionisti che li raccolgono, i centri di ricerca che li studiano, le comunità locali che li proteggono, e gli scienziati che hanno fatto nuove scoperte su di loro. La vita e i segreti delle farfalle (tr. it. di Maurizio Ricucci, Aboca) è un libro di viaggio e insieme l’autobiografia di una donna che, dopo aver girato il mondo in mille modi e maniere, s’è lasciata travolgere da una passione nata da ragazza quando ha visitato alla Tate Gallery una mostra di William Turner. Sopraffatta dai colori del pittore – gialli, aranci, rossi –, una volta adulta Wendy ha ritrovato la loro magia nelle ali delle farfalle. Questo l’ha portata a indagare le colorate creature volanti, alcune delle quali così piccole da essere quasi invisibili, mentre altre vantano invece una aperura alare di oltre 30 centimetri. Gli insetti, scrive comunicandoci il suo stupore, sono in circolazione da 400 milioni di anni, mentre i mammiferi più primitivi datano da 140 a 120 milioni di anni fa, quando sorsero le prime piante coi fiori. La terra è dei piccoli, ha detto una volta E.O. Wilson, eminente studioso di insetti e di formiche. Che posto hanno in tutto questo i lepidotteri, gli insetti con le squame sulle ali, che comprendono 180.000 specie conosciute? Di queste specie solo 14.500 sono farfalle. Poi ci sono 160.000 insetti con le ali ricoperte di squame che anche loro volano: le falene.

 

Che differenza esiste tra le farfalle e le falene? Le prime sono leggere, vivaci, delicate, virtuose, pulite, coperte di squisiti ornamenti, mentre le seconde appaiono come intrusi che guastano la farina nelle dispense, bucano gli abiti negli armadi e svolazzano nottetempo attorno alle lampade accese. Ma è solo una distinzione rozza, dice Wendy Williams. Le farfalle hanno bisogno dei fiori, mentre le falene non tutte; di certo le falene esistevano prima che apparissero i fiori medesimi. Le farfalle derivano perciò dalle falene. Ci sono infatti 160.000 specie di falene, il che significa che hanno avuto maggior tempo per evolversi e differenziarsi rispetto alle farfalle. La giornalista scientifica suggerisce sulla scorta di vari studi che sono stati i fiori ad asservire a sé alcune falene e a farle evolvere in farfalle: i fiori sono degli abili burattinai. Uno dei temi di questo libro è l’integrazione tra insetti e vegetali, grande risorsa evolutiva del Pianeta. Sono innumerevoli i luoghi situati tra gli Stati Uniti e il Messico dove si proteggono fiori ed erbe, fondamentali per la sopravvivenza e la moltiplicazione delle farfalle. Ma come si fa a distinguere le falene dalle farfalle? C’è una cosa che le prime hanno sulle ali, e le seconde no. Sul bordo superiore delle ali posteriori delle falene si trovano una o più setole che costituiscono il frenulo, un sistema gancio-occhiello che consente alle loro ali anteriori e posteriori di muoversi all’unisono come un tutt’uno. Le farfalle non posseggono questo marchingegno: volano sovrapponendo le ampie ali anteriori, che spingono verso il basso, e quelle posteriori con un atto di forza. La cosa che hanno in comune è la spirotromba. Con questo mezzo i lepidotteri assumono gli alimenti senza masticare, lappare o leccare. Si tratta di apparati boccali dalla forma spesso grottesca che sondano, esplorano e cercano di continuo cibo; quando la farfalla vola questa proboscide è arrotolata su se stessa come il tubo di un corno francese. Grazie alla spirotromba, insetto e fiore divengono una sola cosa: un gioioso connubio.

 

Nutrendosi le farfalle assorbono il polline e lo portano di fiore in fiore fecondandoli. Le farfalle si nutrono di tantissime cose: sterco, vegetali decomposti, escrementi di uccelli, frutta fresca e marcita, sangue, carne decomposta, bruchi, altri lepidotteri, sudore umano, urina, cera d’api, miele, pellicce. Un entomologo ha scoperto in Madagascar una falena che si alimenta delle lacrime degli uccelli addormentati. Questa protuberanza non era stata studiata con attenzione fino a che proprio di recente Kostantin Kornev, un ingegnere, si è fatto la domanda decisiva: come si fa, muniti di una cannuccia, a sorbire dell’acqua, o una sostanza zuccherina, senza aspirare come facciamo noi umani e usando uno strumento più lungo del proprio corpo? Una domanda che neppure uno scienziato acutissimo come Darwin s’era posto. Ma tant’è. La scienza procede così. Kornev si occupa di nuovi materiali cercandoli tra quelli esistenti in natura. Lavorando con un biologo ha trovato che la proboscide-cannuccia funziona attraverso micro-gocce: la farfalla trasporta il liquido dividendolo in “pacchetti” che fanno un attrito minimo lungo il canale, per cui basta una forza molto piccola. Questo metodo, ha pensato, potrebbe essere utilmente applicato alla produzione di fibre artificiali. Non a caso oggi diamo per scontato che la chimica si presenti come una moneta di scambio dell’evoluzione, cosa che ancora a metà del XX secolo era difficile da accettare.

 

È un vero peccato che Primo Levi non abbia avuto la possibilità di conoscere tutte le informazioni che Wendy Williams ha raccolto nel suo libro, così come è un peccato che l’unico scrittore da lei citato nel libro sia solo Vladimir Nabokov, mentre ci sono altri letterati e scrittori appassionati di questo lepidottero, a partire da Guido Gozzano. Certo Nabokov non è stato solo un grande romanziere, ma anche un eccellente studioso di farfalle. A un certo punto della sua vita emigrò negli Stati Uniti dopo che le truppe naziste avevano conquistato Parigi. Nel Nuovo Mondo per mantenersi trovò un posto di lavoro presso il Dipartimento di entomologia del Museo di Scienze naturali della Università di Harvard. Lì si dedicò allo studio delle farfalle interessandosi dei particolarissimi organi sessuali dei lepidotteri.

 

 

Ha anche disegnato questi insetti e le loro protuberanze maschili in una serie di tavole pubblicate pochi anni fa in Fine line (Yale University Press). Come ha scritto Laura Beani su doppiozero nel suo bell’articolo Le farfalle di Nabokov, parlando proprio di quel libro, a colpire nel volume sono le “note visionarie di Nabokov”: “dettagli di organi maschili che sembrano roast chicken, un pollo arrosto, head of a caterpillar, cioè il capo di una larva dai grandi occhi, oppure il particolare di un fallo wonderful like an elephant, meraviglioso come un elefante in miniatura”. Da questo si capisce come lo scrittore conviva sempre con l’entomologo e viceversa, per via dell’amore per il dettaglio ma anche per la sua capacità di capire il mondo attraverso le forme e le metafore.

 

Resta un problema su cui c’è stata una lunga discussione e che rimonta a un saggio abbastanza esaustivo di Stephen Jay Gould intitolato Non esiste scienza senza fantasia, né arte senza fatti: le farfalle di Vladimir Nabokov. Lo si legge ora nel volume apparso postumo nel 2002, anno della scomparsa dello zoologo e geologo di Harvard, brillantissimo divulgatore di scienza ad alto livello e dotato di uno stile di scrittura davvero notevole. Il volume, I Have Landed ha conservato il medesimo titolo dell’originale in italiano (tr. it. di Isabella C. Blum e con la cura di Telmo Pievani, Codice Edizioni). Riassumerlo sarebbe far torto a Gould, ma la questione è pur sempre una sola: che rapporto è esistito tra entomologia e letteratura in Nabokov, ovvero come dobbiamo considerare la sua attività scientifica in rapporto a quella dell’eccelso e geniale scrittore? Nabokov non era un dilettante, scrive lo zoologo di Harvard, ma “un tassonomista che lavorava come tale, qualificato e dotato di un chiaro talento, riconosciuto in tutto il mondo come specialista della biologia e della classificazione di un importante gruppo di lepidotteri, i Polyommatini dell’America Latina, volgarmente noti fra gli appassionati come farfalle blues”. Per sei anni lavorò quale tassonomista ad Harvard, tra il 1942 e il 1948, fino a che non gli offrirono un insegnamento di letteratura alla Cornell University, da cui nascono i meravigliosi libri di appunti e lezioni sulla letteratura in generale e su quella russa in particolare tradotti anni fa da Garzanti e ora ritradotti da Adelphi. Il giudizio dello scienziato Gould è preciso: “Con ogni probabilità Nabokov è stato un generale maggiore della letteratura ma nel campo della storia naturale gli si può riconoscere il rango di un fante in carriera, fidato e ben addestrato”.

 

Non è stato l’unico entomologo a dedicarsi prima e dopo ad una altra attività in cui ha eccelso al livello mondiale. C’è anche l’esempio citato da Gould, quello di Alfred Kinsey, il quale come sappiamo ha cambiato radicalmente il modo con cui si guarda il comportamento sessuale di uomini e donne con il suo libro Sexual Behavior the Human Male nel 1948, libro oggi purtroppo dimenticato nonostante la sua importanza. Per 20 anni lavorò come tassonomista delle vespe delle galle (genere Cynips) prima di diventare uno dei personaggi fondamentali della storia sociale del XX secolo. Non è infatti estraneo al suo sguardo davvero distaccato l’aver lavorato per due decenni su quegli insetti, che lo aveva portato a comprendere come esista una grande variazione fra gli individui e soprattutto “l’impossibilità di indicare una forma normale e le altre come devianti” (Gould). Tutta la produzione di Nabokov è disseminata di farfalle, spesso citate nelle sue opere, e in generale gli insetti sono per lui fonte di metafore e simboli. Poi ci sono le critiche che Nabokov muove alle citazioni di lepidotteri di Poe o a quelle di Hieronymus Bosch. Ma alla fine quale è stato il contributo fornito dall’entomologia tassonomica allo scrittore Nabokov? L’amore per il dettaglio, sostengono vari autori all’unisono. Purtroppo il testo molto acuto di Gould non fa però luce sul modo di lavorare di Nabokov in entrambi i campi, entomologia e letteratura: cosa deve l’una all’altra? O detto altrimenti: quanto lo scrittore deve all’entomologo? Gould, pur essendo un ottimo scienziato, un grande divulgatore e anche un attento lettore di opere letterarie, non si è mai posto problemi di metodo nel campo letterario, a differenza di Nabokov stesso, perché un metodo-Nabokov esiste, a partire dal modo con cui elaborava i suoi libri usando delle schede. Ma questa è una questione che ci porta lontano dalle farfalle di Wendy Williams, cui bisogna tornare non senza citare il più ampio scritto in italiano dedicato al tema, Le farfalle di Nabokov di Tommaso Lisa, apparso su “L’indiscreto”, cui rimando, per la ricchezza dei riferimenti e la conoscenza del problema.

 

Le ultime venticinque tavole del volume di Wendy Williams sono dedicate alle ali delle farfalle, vero segreto della loro bellezza, oltre che strumento indispensabile per sopravvivere ai predatori. La farfalla indiana Kallima inachus, quando chiude le sue ali in posizione di riposo, sembra una foglia secca, mentre, se le apre, gli azzurri risplendono al sole e riverberano anche larghe bande di sgargiante arancione. Se cade nella trappola di un ragno, la farfalla si toglie di dosso le squame così come ci si toglie una giacca, e vola via. Gli ingegneri hanno studiato la struttura fine di queste squame e hanno trovato che ha un profilo peculiare, regolare e ordinato come quello della sagoma di un abete. La storia degli studi riguardo al gyroid, così è stato battezzata questa struttura, composta di strane superfici matematiche, strutture tridimensionali cristalline che consentono un flusso di energia quasi senza ostacoli, sono raccontate in un capitolo del libro. Le farfalle possiedono queste caratteristiche da milioni di anni: si vestono di un filtro ottico – tale è il gyroid – che funziona al contrario del prisma di Newton: neutralizza tutti i colori dello spettro tranne uno. Un gruppo di ricercatori di Yale ha scoperto anche che le farfalle possono cambiare colore nell’arco di un tempo breve, se le sollecita adeguatamente con una serie di esperimenti. Non è una cosa istantanea, ma in capo a sei generazioni alcune farfalle hanno cambiato colore: dal marrone spento al viola vistoso. Moltissime sono le cose interessanti che sono contenute in questo libro, tra cui la vicenda di Maria Sibylla Meriaen, una donna vissuta nel XVII secolo, naturalista appassionata di lepidotteri. La sua storia è sconosciuta ai più. Al termine del libro ci sono i suoi disegni di farfalle tratti da un suo libro stampato ad Amsterdam nel 1719.

 

Nabokov lo conosceva e lo apprezzava. La sua è stata una vita avventurosa e straordinaria, tanto che oggi la si celebra come la vera fondatrice dell’ecologia. Le pagine che Williams le dedica sono molto interessanti e rinviano a una biografia della storica Natalie Zamon Davis, Donne ai margini. Tre vite del XVII secolo (Laterza 1990). Una delle questioni più affascinanti del libro riguarda poi la capacità che possiedono i lepidotteri di volare per centinaia di chilometri: 750 km da un punto all’altro del continente americano. Come fanno? Orientandosi col sole, come gli uccelli migratori. Un meccanismo non ancora del tutto svelato. Degli scienziati le hanno marchiate e, grazie al ritrovamento fatto da dilettanti e amatori, ora ci sono le prove inoppugnabili di questi movimenti. Anche Nabokov aveva una sua teoria basata sui venti, che spiegherebbe come le farfalle siano arrivate dall’Asia in America del Nord e del Sud. Insomma quello di Wendy Williams è un libro da leggere, pieno di sorprese e dettagli sorprendenti. Le farfalle sopravvivranno agli umani, come altri insetti? Nonostante la loro modesta dimensione e fragilità, sembrano attrezzate per farlo. Ha ragione Primo Levi, non sono state create a nostro beneficio, anche se continuiamo a goderne anche oggi. Poi si vedrà.  

 

Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata sull’edizione on line del quotidiano “la Repubblica”, che ringraziamo.

 

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