Da oggi in mostra alla Triennale di Milano / Direttamente dalla mano e dalla bocca di Steinberg

14 Ottobre 2021

Viene inaugurata oggi alla Triennale di Milano la mostra Saul Steinberg Milano New York a cura di Italo Lupi e Marco Belpoliti con Francesca Pellicciari e realizzata insieme alla casa editrice Electa. È uscito da qualche giorno il volume 43 della collana "Riga" da cui questa intervista è tratta: Saul Steinberg a cura di Marco Belpoliti, Gabriele Gimmelli e Gianluigi Ricuperati, Quodlibet edizioni. 

 

Saul Steinberg è un artista, un filosofo, un commentatore della società e un vignettista il cui lavoro si spinge ben oltre i confini del fumetto, in un mondo popolato di lettere aggressive, gatti a cui piacciono i numeri, linee che conversano e hanno dubbi. I disegni di queste pagine sono tratti dalla sua ultima raccolta, The New World (Harper & Row). Ad accompagnarle, qui, sono le spiegazioni dello stesso Steinberg, riprese da un’intervista di Jean vanden Heuvel.

 

Il libro si intitola The New World. Un titolo formidabile che non dice niente. Il libro è una raccolta di disegni metafisici che raffigurano situazioni e problemi. Il suo motto è “Cogito ergo Cartesius est” (penso, dunque Descartes esiste): significa che la ragione stessa può risolvere soltanto un problema che è già stato risolto. Attraverso la ragione noi possiamo riconoscere ciò che già sappiamo. Non è una prova che io che ragiono esisto, perché la ragione, in questo senso, è stata inventata da Descartes. Per me questo significa che ciò che disegno è il disegnare, che il disegnare deriva dal disegno. La mia linea vuole costantemente ricordare d’essere fatta d’inchiostro. Faccio appello alla complicità del mio lettore, perché trasformi questa linea in un significato, utilizzando il nostro comune retroterra culturale, poetico, storico. In questo senso, la contemporaneità è complicità. Il lettore, seguendo la linea con i suoi occhi, diventa a sua volta un disegnatore (guardo, dunque Steinberg esiste). 

 

 

I miei disegni spesso contengono parodie di disegni. È una forma di critica d’arte. L’intrigante disegno qui sopra mostra un uomo che passa da una tecnica all’altra, o da un significato a un altro: conflitti? Spazi? Tempi? Emozioni? Quell’uomo, scendendo una scala, si sposta dal disegno in alto, abbastanza semplice e convenzionale, giù verso una rappresentazione semplificata dello stesso disegno, poi attraversa un ponte e va verso una serie di cerchi concentrici. È una vostra scelta trovare i significati. Secondo me, vuol dire che l’evoluzione non conduce alla perfezione, ma all’invenzione o alla scoperta di nuovi territori. Per esempio, penso che sia assurdo costruire treni sempre più veloci. La cosa giusta era inventare gli areoplani. E il futuro degli areoplani è la telepatia, o l’LSD, o il giardinaggio, magari.

 

 

Questo è il ritratto di un uomo famoso. È nato nel 1905 ed è ancora vivo. Cammina seguito dal giorno della sua nascita e ha di fronte a sé il giorno della propria morte. Quel trattino allude alla sua fine, attesa con impazienza dagli storici, che potranno così chiudere ufficialmente la parentesi. La caratteristica fondamentale dell’uomo, e questa è l’essenza della fama, è quella di essere fra parentesi. Non è libero. Questa monumentalizzazione delle persone, questo congelamento della vita, è la terribile maledizione della consapevolezza della fama. D’istinto, chiunque distrugge la fama convenzionale e disorienta i suoi ammiratori e i biografi comportandosi in modo inaffidabile e quindi sgradevole. Questo gli dà una possibilità di osservare invece d’essere osservato. 

 

 

Il 4 è un numero interessante perché ha una forma che può suscitare la curiosità di un gatto. I numeri sono per la maggior parte aperti o chiusi. Il numero 8, per esempio, è chiuso: un gatto non ha modo di guardare dentro. Al gatto piace sbirciare dentro le cose aperte per metà, aperte appena appena, misteriose. Il numero 3 è ovvio; il numero 1 è niente; il 5 è forse più intrigante, ma certo il 4 è perfettamente disegnato e progettato per un gatto che vuole guardare dentro e scoprire che cosa succede. Qui ho messo insieme un’illusione di realtà e un’astrazione. L’astrazione, il numero 4, diventa reale e il gatto diventa un’astrazione, perché si è unito a questo numero. Ciò ha reso l’insieme plausibile e, dal punto di vista del disegno, perfettamente funzionale.

 

 

Un coniglio gigante viene attaccato da un eroe a cavallo. Ma il segno distintivo di un eroe sono le dimensioni e la qualità del drago che egli sceglie di combattere. Qualsiasi eroe che scelga di battersi con un coniglio gigante non vale granché. Che cos’è un coniglio gigante? È la debolezza elevata all’ennesima potenza. Forse potrebbe essere distrutto. Ho fatto un altro disegno con un eroe che combatte un neonato gigante. Un neonato gigante può essere molto pericoloso. Non puoi ragionare con lui: non può essere controllato. Se tutti noi fossimo sottomessi a neonati di sei mesi con dei muscoli d’acciaio, potremmo essere uccisi. C’è qualcosa di egualmente pericoloso nel coniglio gigante; ma dev’essere distrutto o educato? In ogni caso, è una questione morale. Ma molte hanno pensato che abbia qualcosa a che fare con il sesso e io non ne sono sorpreso. 

 

 

È qui raffigurata in forma stenografica una conversazione fra persone. Una figura esteriormente dura ma interiormente soffice siede su una sedia dallo schienale dritto, parlando con una spirale lanuginosa. Sul divano c’è un noioso labirinto che parla con una linea isterica, un nervoso e ridacchiante pezzetto di calligrafia. Poi c’è un dialogo fra cerchi concentrici e una spirale. I cerchi concentrici rappresentano le persone algide, prudenti, le persone-porcospino e le persone-tartaruga. La spirale può apparire come una serie di cerchi concentrici, perciò sotto questo aspetto le due persone potrebbero sembrare simili. Ma in effetti l’essenza delle spirali è diversa da quella dei cerchi concentrici.

 

 

 

Questi disegni sono legati fra loro. Nel primo, la linea dell’orizzonte su cui cammina l’uomo si arriccia dietro di lui. È il suo passato, ed è completamente cancellato. Il futuro contiene tutte le ben note illusioni che l’uomo ha per la sua vita. Ci sono un albero, un paesaggio, un serbatoio d’acqua; ma il passato lo inghiotte.

 

 

Nell’altro disegno, il passato ha più importanza, e il futuro continua a inghiottire l’uomo. Ma il futuro è ciò di cui egli vive, è qualcosa che lui stesso costruisce. Questa linea è il suo tempo e il suo spazio – la sua vita; al tempo stesso, è la sua distruzione. Si assottiglia sempre più. Questo è un disegno che fa paura. Potrebbe essere la vita dell’artista che vive della propria essenza: egli diviene la linea stessa e alla fine, quando la spirale si chiude, diviene natura.

 

Voglio scuotere i pregiudizi e inquietare la gente 

 

Ho sempre avuto la propensione a disegnare, nonostante non abbia mai posseduto un grande talento. Ho scoperto la mia abilità soltanto quando il mio primo disegno venne pubblicato a Milano. Per realizzarlo mi ci erano voluti circa dieci minuti; ma quando è stato stampato sulla rivista l’ho guardato per ore e ne ero ipnotizzato. Percorrevo lentamente ciascuna delle sue linee. Probabilmente non stavo ammirando il disegno, ma me stesso. 

Ho vissuto in Romania fino ai diciott’anni. A scuola indossavo un’uniforme militare e un numero, come una targa, in modo che chiunque avrebbe potuto prendere il mio numero e denunciarmi. Eravamo considerati degli animali selvaggi e asociali, ed era vero. I ragazzi devono essere educati per diventare contribuenti e cittadini. 

Mio padre era un fabbricante di scatole. Doveva modellare un pezzo di cartone che poi sarebbe stato piegato secondo le sue istruzioni e trasformato in scatole dalla sua macchina.  Questo ha senz’altro avuto un’influenza sul mio trasformare un pensiero in un oggetto. Mio padre stampava i messaggi di condoglianze per i defunti sui nastri delle corone funebri: “Profondo dolore”, oppure “Affranti dal dispiacere”. Questi messaggi erano stampati con grandi caratteri di legno, con i quali spesso componevo il mio nome. Ancora oggi sono ossessionato dai punti interrogativi e dai numeri: deriva certo dall’aver avuto fra le mani tutti quei punti interrogativi e numeri fatti di legno, che mio padre utilizzava per stampare. 

 

Ma mi guardavo anche intorno. Sono stato influenzato dall’intera Storia dell’arte: i dipinti egizi, i disegni nelle latrine, l’arte primitiva e quella dei pazzi, Seurat, i disegni infantili, il ricamo, Paul Klee. Ma mi piacevano anche cose disdicevoli come i fumetti e le illustrazioni pubblicitarie. Lo studio e la disciplina dell’architettura ha avuto un’influenza molto grande su di me: la combinazione di precisione, capacità grafica e ragione. L’architettura è la più nobile, difficile e filosofica delle arti.

Quando sono venuto in America, sono rimasto impressionato dall’esercito di donne che portava fiori e piume sui cappelli. Mi colpiva il fatto che le donne fossero vestite e truccate come prostitute. Più tardi ho capito: in America non c’è una tradizione di prostituzione professionale come in Europa, dove le donne oneste devono vestirsi come donne oneste, e dove un abito sensuale denota la professione.

Nell’Italia in cui sono vissuto le donne avevano forme e sembianze incredibili, ma non aggressive come in America, perché la maggior parte delle donne italiane non indossa il corsetto. La presenza di questa armatura fa sì che le donne americane assomiglino a eroici cavalieri medievali.

 

Le loro stesse scarpe sembrano aggressive; hanno tacchi a spillo; le loro borsette e i loro ombrelli sembrano armi; si truccano con colori di guerra. Ero davvero stupito di vedere donne anziane vestite nei modi più elaborati e sensuali. Mi ci è voluto un po’ di tempo per rendermi conto che questa era carità, un modo per prendersi gioco del fatto di non essere più così giovani o belle, come l’autunno si prende gioco della natura: gli alberi rossi e gialli, le foglie morte che danzano e attraversano allegramente l’autostrada. 

È soltanto da una decina d’anni che faccio questi lavori dal carattere maggiormente filosofico, camuffati da vignette. Non appartengo del tutto al mondo dell’arte, del fumetto o delle riviste, così il mondo dell’arte non sa esattamente dove collocarmi; dicono: “Vada al diavolo”, perché vogliono che le cose siano ben classificate. Ritengono che “chi ha le ali deve deporre le uova”. Per cui, dato che io sono un pittore, dovrei fare delle mostre. Io dico: “Non voglio fare mostre”, perché penso che sia crudele, commerciale e demoralizzante, dal momento che comporta la vendita immediata della merce. Quello che vendo è il fantasma di un’idea. Il termine editoriale (i “diritti di riproduzione”) è una bella espressione che uso con piacere. 

 

Qualche tempo fa, ho stabilito un accordo con il New Yorker: se sono sicuro di sapere di che cos’è il disegno e se riesco a capirlo, allora è tutto a posto. Ma loro hanno pubblicato un disegno o due dei miei che io stesso non avevo capito del tutto. Lo scopo del disegno è far sì che persone avvertano che c’è qualcos’altro al di là della percezione. Essenzialmente è ciò con cui sto giocando: il viaggio fra la percezione e la comprensione. La percezione ha anche a che fare con il contesto. Poiché si tratta di una vignetta, le persone che vedono un disegno sul New Yorker penseranno automaticamente che faccia ridere. Se lo vedessero in un museo, penserebbero che sia arte; e se lo trovassero in un biscotto della fortuna, penserebbero a una profezia. Dunque, parte del mio obiettivo è di scuotere questi pregiudizi, in modo che le persone guardino un disegno per quello che è e cerchino di capirlo. Non cerco di farle ragionare, ma di inquietarle mostrandogli situazioni che sono fuori del loro contesto e che contengono varie interpretazioni. Di recente ho pubblicato il disegno di un uomo in piedi fra due montagne che s’incontrano in basso. Ci sono due massi giganteschi che stanno scendendo e si trovano a metà dell’altezza delle due montagne. Ora, quali possibilità abbiamo? I massi scenderanno perché diamo per scontato che la forza di gravità li farà cadere e schiacceranno l’uomo. Ma lo schiacceranno? No, perché si incontreranno nel punto di tangenza e quel punto sarà sufficientemente solido da creare una sorta di arco che proteggerà l’uomo.

 

In più, non c’è alcuna garanzia che quei massi siano fatti di roccia. Magari sono fatti di una pellicola piena d’aria; sono incollati con nastro adesivo, e rimangono fermi lì. Forse non c’è alcun problema. Oppure potete trasformare il disegno in un simbolo personale. Potete dire: “Uno di quei massi rappresenta il mondo della filosofia, o magari sono due tipi d’amore – l’amore casto e quell’altro, chiamatelo come volete? Forse uno rappresenta il governo e l’altro è semplicemente una palla”. Sta a voi decidere.

Una volta ho realizzato per il New Yorker una copertina in cui c’era un dialogo fra un numero 5 e un numero 2. Sono seduti in un bar; il numero 5 ha un aspetto solido, fatto di linee dritte e semplici, mentre il numero 2 ha alcuni fronzoli e un colorito roseo: rappresenta una donna. Entrambi bevono e cercano di immaginare la propria relazione. Il numero 2, la donna, guarda il 5 e immagina potenziali combinazioni numeriche. Quali sono queste combinazioni? Cinque più due fa sette. Va bene? Cinque diviso due, la radice quadrata di cinque, eccetera. Nello stesso tempo, il numero 5 sta facendo i propri calcoli. 

Non mi occupo molto dei bambini, salvo quei nanerottoli che sono stati trasformati in politici indossando i minuscoli completi firmati Brooks Brothers. Si possono disegnare i cani e i gatti, poiché hanno acquistato delle caratteristiche politiche: sono stati fatti dall’uomo. Vivono con le persone, si comportano come le persone, pensano di essere delle persone. 

 

Non mi piace mostrare crudeltà o brutture. E cerco sempre di evitare le tentazioni, come il farsi coinvolgere dalla bellezza. Spesso ho modificato un disegno per farlo apparire più rigido. Mi sembra che la bellezza possa sminuire la concezione essenziale di un disegno. È come cantare invece di parlare. Se io cantassi, potreste non capire quello che sto dicendo. Ho spesso realizzato disegni sulla lotta fra l’uomo e la bellezza, con la bellezza (intesa come ricerca della bellezza) che diventava il nemico. Non è pericolosa, ovviamente: è una sirena, e, almeno per me, una perdita di tempo. 

Una bella donna è come un arcobaleno, un tramonto, la luna – tutte cose che dovrebbero essere viste ma non raffigurate. Una bella donna può essere raffigurata unicamente come totem – non come una donna, ma come una Madonna, una regina, una sfinge. È l’arte delle icone, le cui sole tracce si trovano nella fotografia di moda. Il motivo per cui una donna non tanto bella è più interessante è che porta sul suo viso e sul suo corpo l'impronta della società e del mondo politico a cui appartiene. Il viso ha acquisito una caratteristica che rappresenta tutta la sua vita, il suo passato e persino il suo futuro; mostra entusiasmo o terrore. Questa è la parte che mi interessa. Provo lo stesso nei confronti della natura. Non posso disegnare un paesaggio, ma posso disegnare situazioni costruite dall’uomo: architetture, strade. Per la natura e per tutto ciò che non è stato toccato dagli uomini, utilizzo una serie di cliché. 

 

Una maschera rappresenta il modo in cui le persone vogliono apparire, ciò che vogliono essere. La vita dell’uomo può essere misurata in base a due categorie: la vita emozionale, fisica, intima; e la vita politica e sociale, dove l’uomo incontra altre persone e deve sempre apparire nella forma attesa. Dovresti indossare sempre la stessa faccia e la stessa espressione, in modo da rassicurare le persone quando ti incontrano. Le persone vanno nel panico se non assomigli a te stesso, o se perdi peso, o se ingrassi. C’è stata grande costernazione quando mi sono tagliato via i baffi. All’improvviso, avevo fatto in modo che la gente tornasse a utilizzare i propri occhi. Non volevano vedere; avevano un’immagine di me e ne erano soddisfatti. Un amico, in particolare, era indignato; pensava che l’avessi ingannato. Ero cambiato e gli avevo dato l’impressione d’aver investito in qualcosa che era andato perduto. Ha dovuto ricominciare tutto daccapo. È normale. 

Quello che le persone fanno, specialmente in America, è di costruirsi con le proprie mani una maschera di felicità. Si mettono in faccia un perpetuo, rassicurante sorriso; questo li fa sembrare simpatici, amichevoli e in salute, e non dobbiamo preoccuparci per loro. 

 

Nella fotografia anch’io indosso una maschera. L’ho fabbricata per me stesso, perché quando il fotografo mi puntava contro la macchina mi spaventavo e facevo gli occhi da pesce. Così, con i sacchetti di carta, ho fabbricato delle maschere del mio volto. Dentro le maschere potevo rilassarmi e mostrare alla camera un’immagine pubblica costante di me stesso. Inoltre, ho avuto la soddisfazione d’avere un fotografo che ha scattato la foto di un disegno di me stesso – non una realtà, ma un simbolo – una mia fantasia. Così, ho utilizzato la fotografia in modo da vanificarne lo scopo. Invece di catturare il famoso momento fugace, quella particolare espressione del volto, le ho dato qualcosa di fisso che ho creato io. 

 

In «Life», 10 dicembre 1965. Traduzione di Gabriele Gimmelli e Franco Nasi. 

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