Tra storia e filosofia / L’utopia di Bronisław Baczko

27 Settembre 2016

Il filosofo e storico delle idee polacco Bronisław Baczko (1924-2016) era un uomo piccolo, dolce, appassionato e pignolissimo: dotato di un paio di orecchie enormi che, anche grazie ai pochi capelli, esaltavano il suo aspetto di topino malinconico. Dagli inizi degli anni Settanta era diventato un professore svizzero, ma sempre attento a cosa accadeva nella sua Polonia che lo aveva vergognosamente costretto a emigrare. Dopo un periodo all’Università di Clermont-Ferrand (1969-1973), aveva insegnato a Ginevra e abitava alla periferia della città, sulle rive del Rodano lungo le quali amava fare lunghe passeggiate con il cane. Da molti anni era completamente solo. Dopo la scomparsa della moglie, una terribile tragedia famigliare lo aveva tristemente chiuso nel rifugio dei suoi libri e delle sue ricerche. 

   

Baczko era uno “storico delle idee”: quindi un po’ filosofo e un po’ storico. Quando finalmente, con un po’ di distacco e obbiettività, si inizierà a fare la storia delle idee del Novecento, non si potrà prescindere dalle ricerche di Baczko che è stato il massimo studioso dell’Utopia e uno dei più acuti interpreti del pensiero di Jean-Jacques Rousseau e delle vicende immediatamente successive alla Rivoluzione francese. Come è spesso capitato nei paesi del Centroeuropa, anche i suoi studi sul XVIII secolo erano un modo per riflettere e comunicare cosa stesse accadendo nel Novecento. Sovente per cercare di sfuggire alla censura, meno attenta alle questioni del passato (questo, ad esempio, è il motivo, come confessò un altro storico polacco, Bronisław Geremek, per cui all’Università egli scelse di occuparsi del Medio Evo e non della storia contemporanea…). Infatti, Baczko intendeva sempre la filosofia e la storia partendo dalle domande che gli suscitava il mondo contemporaneo. La sua riflessione sui fatti e le idee del passato era dettata dai drammatici interrogativi del tempo nel quale ha vissuto. 

    

Ma studiare il passato per ragionare sul presente non era soltanto una questione di “prudenza” politica. Era uno “stile di pensiero”, un atteggiamento mentale, tipico del suo amico e maestro Witold Kula, il grande storico polacco del Feudalesimo. Poco dopo la sua scomparsa, ricordandolo all’Università di Milano (nell’aprile del 1988), Baczko disse: “Kula ci ha insegnato che essere uno storico non significa soltanto studiare il passato come professione, o mestiere; non soltanto disporre di una certa forma di erudizione o appropriarsi di un certo numero di tecniche di indagine. I grandi storici si sono distinti per il fatto che per loro essere storico significava anche un particolare modo di essere e di radicarsi nel mondo sociale, pensarlo in un modo proprio” (cfr. B. Baczko, Se n’è andato uno storico, “società e storia”, n. 42, 1988). 

     

Questa disposizione intellettuale è ciò che gli restava del suo passato di militante comunista. Con lo scoppio della guerra si era rifugiato in Unione Sovietica ed era tornato in Polonia come sottotenente dell’Esercito polacco che combatteva a fianco dell’Armata Rossa. Ritrovatosi ventenne, ebreo sopravvissuto in una Polonia ridotta in rovine, Baczko aveva appoggiato con convinzione il nuovo regime imposto dall’Unione Sovietica, mettendo il suo talento al servizio della propaganda del Partito: dal 1947 al 1951 studiò Filosofia all’Università di Varsavia e contemporaneamente lavorò all’Istituto per la formazione dei quadri intellettuali (Instytut Kształcenia Kadr Naukowych). Sin dagli inizi i suoi interessi si indirizzarono alla Francia (dove poté recarsi con una privilegiata borsa di studio) e, soprattutto, alle delusioni e ai tradimenti degli ideali sociali e rivoluzionari. Infatti, nel 1953, si addottorò con una tesi sul “Towarzystwo Demokratyczne Polskie” (Associazione Democratica Polacca), una delle principali organizzazioni dell’emigrazione politica polacca, fondata a Parigi nel 1832. Questa associazione, dopo un’iniziale e decisa propensione a radicali riforme sociali in Polonia, in seguito alle sconfitte delle insurrezioni per l’indipendenza, moderò fortemente il proprio programma, con la speranza di coinvolgere anche le classi abbienti, finendo con lo sciogliersi nel 1862.

    

Dal punto di vista della battaglia politico-ideologica, Baczko si fece notare per un violento pamphlet contro il filosofo Tadeusz Kotarbiński, uno degli esponenti principali della scuola di logica di Leopoli-Varsavia, iniziata da Kazimierz Twardowski, vicina allo spirito del Circolo di Vienna (O poglądach filozoficznych i społeczno-politycznych Tadeusza Kotarbińskiego, Sulle idee filosofiche e socio-politiche di Tadeusz Kotarbiński, TKKN, Warszawa 1951). Lo accusava, come aveva fatto Lenin nel libello contro Mach (Materialismo ed empiriocriticismo), di non essere “dialettico” e praticare una filosofia molto lontana dalla verità del marxistico. Quando ne parlammo, Baczko mi disse di aver sempre stimato Kotarbiński e che quella era un’epoca nella quale purtroppo non contavano le idee ma gli schieramenti. 

      

Nel 1956, come molti suoi amici tra i quali i filosofi Leszek Kołakowski e Krzystof Pomian, Baczko si schierò per il cambiamento di una Polonia soffocata dallo stalinismo. Quegli intellettuali, troppo intelligenti e inquieti per poter aderire acriticamente troppo a lungo alla dottrina marxista ufficiale, dettero vita in quegli anni, sotto l’ “ombrello protettore” del filosofo marxista-umanista (membro del Comitato Centrale del Partito Comunista) Adam Schaff, a quella che verrà conosciuta come la “Scuola polacca di storia delle idee”, alla quale contribuirono intellettuali delle più diverse discipline, dalla sociologia (basti ricordare soltanto il nome di Zygmunt Bauman) alla letteratura (Jan Kott). Baczko era interessato in particolare a comprendere la natura delle speranze politiche e i motivi delle loro degenerazioni, una volta conquistato il potere. Partì dagli studi del sociologo Karl Mannheim (Ideologia e utopia) che, negli anni Venti del Novecento, nelle bufera della crisi dell’Europa e dei suoi sogni, scriveva: “Ogni evento storico si presenta come una continua liberazione dell’ordine esistente, per mezzo dell’utopia, che da esso ha origine… Noi consideriamo come utopie tutte le idee trascendenti una situazione data, le quali hanno comunque un effetto nella trasformazione dell’ordine storico-sociale esistente”. Studiando le idee e i sogni degli illuministi, Baczko, come una Cassandra, iniziò a intravedere nell’Utopia la forza rivoluzionaria e allo stesso tempo la radice del male (tanto più è radicale il sogno di cambiamento della realtà, tanto più è grande il pericolo che si finisca col tentare di realizzarlo con la violenza). Le idee illuministe che costituiscono la base teorica della Rivoluzione francese, e quelle marxiste, reinterpretate per sostenere la Rivoluzione Russa, hanno già iscritti nel loro potente, e a volte persino affascinante, DNA i germi della degenerazione. Baczko all’inizio era meno determinista ma – col passare degli anni, delle esperienze e degli studi – iniziò a convincersi che i fatti rivoluzionari siano come le uova del serpente e che gravi su di loro una sorta di maledizione fatale nei tentativi di mutare radicalmente il mondo. Le sue più amare considerazioni in proposito sono contenute nel volume Giobbe, amico mio. Promesse di felicità e fatalità del male (edizioni Manifestolibri, Roma 2000) 

    

Le analisi di Baczko sulla natura stessa dell’Utopia sono invece contenute nel volume Lumières de l’utopie (Payot, Paris 1978) e conosciute al pubblico italiano grazie alla voce “Utopia” che scrisse per l’Enciclopedia Einaudi (va ricordato che, grazie alla presenza nel comitato scientifico del filosofio Krzystof Pomian, emigrato a Parigi ed estensore tra l’altro della voce “Filosofia”, un numero consistente di lemmi vennero assegnati a studiosi e scienziati polacchi) e alla traduzione L'utopia. Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell'età dell'illuminismo (Einaudi, Torino 1979).

     

Parallelamente Baczko iniziò a ragionare su Jean-Jacques Rousseau e sulle sue contraddizioni del suo pensiero. Rousseau come autentico pensatore della modernità e delle sue rinnovate utopie egualitarie, vero ispiratore della Rivoluzione francese. Il suo libro fondamentale su Rousseau, secondo me il suo libro più bello, è Rousseau. Solitude et communauté (Mouton, La Haye 1974), purtroppo mai tradotto in italiano.

     

All’attività di studioso e polemista, Baczko univa quella di docente molto amato dagli studenti dell’Università di Varsavia: i suoi seminari degli anni Sessanta sono ancora ricordati, oltre che per la ricchezza dei contenuti, come delle isole di libertà e di ammaestramento al pensiero critico. L’analisi dei testi divenne sempre più importante nel suo lavoro. Preziosa è l’edizione Une éducation pour la démocratie. Textes et projets de l’époque révolutionnaire (Garnier, Paris 1982; trad. it. Un'Educazione per la democrazia. Testi e progetti del periodo rivoluzionario, Casadeilibri, Roma 2009). Dal periodo di incubazione della Rivoluzione francese Baczko passò progressivamente all’analisi del momento rivoluzionario, delle lotte interne, delle sue “spinte e controspinte”, per arrivare a studiare l’epoca buia del Terrore, come momento di verità. Da buon hegeliano, disse una volta, era convinto che “la nottola di Minerva si alza sul far della sera”: solo alla fine, quando si è compiuto, si può comprendere la verità di un accadimento. Agli esiti successivi, il Termidoro, Baczko dedicò un libro straordinario, anche dal punto di vista della scrittura: Come uscire dal terrore: il Termidoro e la Rivoluzione, che pubblicammo da Feltrinelli nel 1989, proprio nel momento in cui il suo paese, e gli altri del blocco sovietico, tornavano faticosamente alla democrazia. La sua tesi è appunto che il Termidoro fosse la manifestazione delle contraddizioni e della debolezza della Rivoluzione: “Il terrore produceva un immaginario eroico e nello stesso tempo rimuoveva la realtà e generava una leggenda nera. In Termidoro tutto risale bruscamente in superficie. Il momento termidoriano è l’esplosione di un’evidenza: la Rivoluzione è stanca, la Rivoluzione è invecchiata. Termidoro è un momento chiave in cui la Rivoluzione deve portare il peso del suo passato e confessare che non manterrà fede a tutte le promesse iniziali. È soprattutto il momento in cui i suoi attori dichiarano di non voler ricominciare la storia né rifarne l’esperienza. Termidoro è il momento in cui i rivoluzionari nutrono ormai solo un desiderio: terminare, finalmente, la Rivoluzione. (…) Termidoro è quello specchio senza magia che rimanda a ogni rivoluzione nascente la sola immagine che essa non vorrebbe vedere: quella dell’usura e della decrepitezza che uccidono i sogni”.

 

Il bonapartismo sancisce la definitiva sconfitta degli ideali illuministi e della Rivoluzione francese. Nel suo ultimo libro, Napoleone e Washington. Bonaparte e il modello americano dal Consolato all'Impero (Donzelli, Roma 2009), Baczko dà una rilettura inedita della travolgente ascesa di Napoleone Bonaparte, il figlio della Rivoluzione che, nel 1799, conquista il potere con il colpo di Stato del 18 brumaio, primo passo di una parabola che condurrà alla fine dell'esperimento repubblicano e all'instaurazione di un impero ereditario che deluderà le speranze di coloro che avevano creduto di scorgere in lui un possibile Washington francese, novello paladino delle libertà repubblicane e dei nobili ideali rivoluzionari. 

     

Dal suo punto di osservazione ginevrino, Baczko ha continuato a guardare a lungo con molto interesse ai fatti polacchi del decennio di Solidarność e del colpo di stato, collaborando alla rivista dell’opposizione laico-progressista “Aneks” pubblicata a Londra (e diffusa clandestinamente in Polonia). Nel 1982 scrisse un testo, La Pologne de Solidarité: une mémoire explosive (che fa parte della raccolta: B. Baczko, Les imaginaires sociaux. Mémoires et espoirs collectifs, Payot, Paris 1984), che riletto oggi colpisce per la lucidità dell’analisi e il trattenuto timore che ancora una volta gli ideali più belli e nobili potessero essere traditi dopo la vittoria. Oggi, dopo quasi trent’anni, il sindacato indipendente Solidarność è soltanto il ricordo di un grande passato, quando andò al potere senza violenza e sopraffazioni, fece diventare la Polonia un paese democratico e parte dell’Europa ed espresse come presidente della Repubblica ex operaio dei cantieri navali. Ma suoi ideali, come quelli della Rivoluzione Francese, sono stati in gran parte smarriti e, per un paradosso che Baczko aveva ben individuato, proprio gli operai sono coloro che meno hanno avuto dalla rivoluzione, fatta assieme agli intellettuali. La Libertà è stata ottenuta, ma la Fratellanza (un parente stretto della Solidarietà) assai meno, e di Uguaglianza ce n’è sempre meno.

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