Speciale

Diario del primo anno da insegnante di filosofia / Plato for boys

24 Luglio 2017

1. Divieto dell'autoreferenzialità

 

Se a settembre un insegnante di Filosofia infarcisse la sua prima lezione di parole come “aporia”, “ontologia”, “paralogismo”, “trascendentale”, guadagnerebbe presto lo sconcerto e la noia degli uditori; se li esortasse a guardarsi dai caratteri ontici e dal nichilismo della metafisica, se esprimesse preoccupazione per l'evento della differenza in quanto connesso alla differenza dell'evento, incapperebbe perfino in una captatio malevolentiae. La filosofia non deve essere gabellata come l'arte del disorientamento e dell'elucubrazione fine a se stessa, anche se essa invita all'interrogazione costante, in sintonia con quanto dice Alessandro Bergonzoni: “Nessun domatore domerà mai le domande!” 

Il primo punto che i docenti esperti insegnano a un pivello al primo anno da docente di filosofia è questo: se il suo fine è quello di insegnare il filo-sofare, ossia l'amore per il sapere e per la filosofia stessa, deve dimenticare la figura dell’insegnante autorevole di una volta e porre al centro della sua attenzione i suoi allievi, di ogni genere, disturbi specifici d’apprendimento e non. Non solo la disciplina che insegna, ma anche coloro a cui è rivolta, in virtù del necessario ponte tra di essi che è il modo in cui si insegna, il linguaggio e lo stile con cui intercettare adolescenti per i quali, è lecito supporre, il termine con cui questa disciplina d'insegnamento viene appellata è per lo più usato nell'espressione che chiede di portare pazienza allargando il campo del problema: “Prendila con filosofia!”, oppure in espressioni che ne banalizzano la densità, nella battaglia per la riduzione della complessità che la sottocultura pop attuale ingaggia e vince: la filosofia è sempre “di vita”, la saggezza è solo “in pillole”, ogni tentativo di approfondire è, sia detto senza sospendere la lotta contro il dominio del prosaico, masturbazione mentale. 

 

Tutti parlano di scuola, tutti parlano di didattica, anche solo per evocare i paesi nordici che nei test europei si piazzano sempre ai primi posti, facendoci fare una figuraccia. Il MIUR ha preparato per noi neoassunti un itinerario articolato e preciso, che per chi come me fece la Scuola per l’abilitazione all’insegnamento (Silsis) presenta dei percorsi non inediti, ma certamente interessanti. Dunque, tentiamo di trovarlo questo ponte tra studenti d’oggi e complessità della disciplina filosofica.

 

2. Volare basso ?

 

Se apriamo le prime pagine del Simposio leggiamo dello stupore di Agatone che invita al banchetto Aristodemo e si chiede come mai Socrate non si arrivato con lui. L'ospite inatteso risponde che Socrate si è fermato a meditare e che di certo in breve tempo si unirà ai suoi amici. Questo isolamento, al momento dell'incontro con il festeggiato Agatone, viene considerato un mezzo per “fare il pieno di sapienza”. Poi i due, Agatone e Socrate, stesi l'uno accanto all'altro, scherzano sull’idea che si possa trasmettere la sapienza per contatto fisico. Ai docenti di filosofia sono fortunatamente proibite entrambe le cose, isolamento e contatto. Tuttavia l'atmosfera, il tono e lo stile espressivo dei partecipanti al noto convito potrebbero insegnare molto ai docenti di oggi. Il Simposio mi veniva in mente tutte le volte che nelle lezioni dell’anno di prova si parlava di “ambiente d’apprendimento”. Ma questo stile dimesso te lo può ispirare anche uno studente, magari uno particolarmente spigliato, al cui ricordo è doveroso cedere la parola. 

 

Il “vivi nascosto” di Epicuro, prof, è evidentemente la proposta di stare incollato davanti a uno schermo vita natural durante, lontano dalle relazioni faccia a faccia; a proposito: perché non registra tutte le lezioni su Youtube? Non c’è mica bisogno di vedersi tutti i giorni! Se vuole alla fine facciamo una pizzata! Basta che non ci trolla con qualche citazione dotta, se no fa la fine di Socrate, prof! Non mi dica che non esercito lo spirito critico! Com’era quella storia? Lo spirito critico contro lo spirito critico, no? 

Si ricorda la mia domanda? Non mi dica di no perché so che le era piaciuta! Esiste un’idea di scuola nell’iperuranio? Sì, non lo neghi, ci deve troppo essere! Nel mondo delle idee c’è l’idea assoluta di compagna di classe, cioè Irina Shayk, senza dubbio. Direttamente dalla pubblicità di Intimissimi al banco qui accanto a me. Mimesi, metessi e parusìa qui di fianco. Poco intellegibile e troppa materia, dice? Ah, mi devo accontentare del pensiero? Ma davvero lei ha tutta quella fiducia nel pensiero? Come Parmenide? “L’essere è e non può...” 

 

Ecco, ti prego di fermarti qui, lo interrompo. Non violiamo il suo nucleo di pensiero ed essere... No, prof, replica lui, Parmenide proprio no, si contraddice e hanno fatto bene a demolirlo quegli altri. Veramente sono tutti attenti a evitare che dal nulla nasca qualcosa. Non è vero! Mi scusi però questo è confutato dal fatto che anche X (pensate a quello che non studia mai e non si capisce perché abbia scelto il liceo) ha preso sei! Non hanno la sensibilità di non ridere; lo fanno e guardano la vittima attendendo una battuta vendicativa. Si tratta del tipico alunno impassibile che c’è in ogni classe. Di solito tutti danno per certa l’afonia di questi esemplari del mutismo pertinace; i genitori stessi dichiarano di non conoscerne il timbro vocale. In questo caso insorgo e lo difendo, l’impertinente capisce e ritira la malignità, dice che vale per tutti perché gli alunni sanno poco o nulla e da quel nulla, grazie ai prof (“sì, ma non leccare!”, irrompe un altro), nasce qualcosa. Non è nulla. Lo sappiamo, dice un altro, lo sappiamo che nelle sue lezioni dobbiamo passare al vaglio tutto, fino allo sfinimento. A volte andiamo fuori, aggiunge una fanciulla. Fuori nel senso di follia? Mi viene in mente che Socrate viene definito “atopos”, quindi inclassificabile, indefinibile; dunque stravagante ed eccentrico. Alle lezioni dell’anno di formazione ci facevano ripetere in coro: “Ci vuole una didattica inclusiva che metta al centro la relazione!” Sì, prof, sarà lei o la filosofia, ma noi ce ne andiamo fuori. Non ci stiamo dentro. Prof, non potremmo essere più terra terra? Come chiedere a un aereo di portarti al supermercato.

 

 

3.   Anche no

 

Volare basso un corno, quindi. Sarebbe facile dettare dieci comandamenti o qualche slogan commerciale, chiudere tutto in una valigia e così illudersi di avere il sospirato bagaglio culturale. Invece no. Su questo non possiamo cedere; siamo figli delle stelle, non del fango. La theorìa ci spinge verso l’alto, verso le cose divine, astratte, universali. Ma la fatica del concetto e l’elevazione verso la totalità non deve favorire, direbbero loro, l’abbiocco. Non è facile reperire quell’equilibrio fragile, quella sintesi tra la completezza e l’efficacia, anche perché la doxa odierna pone dei problemi nuovi. Non solo perché di Talete si ricorda solo l’aneddoto della sua distratta caduta nel pozzo e non quello della sua lungimirante capacità imprenditoriale. Ma anche per quello che la storia del presente dichiara decaduto. Un docente descrive degli edifici culturali collettivi che non hanno un analogo ai nostri giorni. 

 

L’ambito politico come spazio possibile dell’ideale? Neanche per sogno. Residui di conflitto sociale? No, forse solo tra generazioni, ma non dichiarato. Assenza di futuro nei giovani? Ovvio. L’alienazione nelle sue forme è l’abito sociale con cui si diventa adulti. Gli adulti sono afflitti dalla brama di restare sempre giovani e i bimbi vengono rapidamente adultizzati. Il discorso religioso è segregato nelle nascoste cantine dell’io. Gli aristoì che oggi governano sono dei mediocri a cui si perdona ogni nefandezza. Si potrebbe pensare che la filosofia possa servire da vaccino contro gli idoli del nostro tempo: spettacolo, fama, denaro, mercificazione dei beni. Ma si tratta di un’illusione: nessun vaccino è possibile se la corrente è così potente e larga; plausibile, forse, è solo una roccia salda, una singola roccia resistente, sola, inondata e superata dal corso delle cose, ma capace di comprenderlo e di conviverci. Prospettiva poco seducente per un ragazzo, ancor di più se sapesse quanto si dice di Eraclito, che morì soffocato nello sterco di mucca, di Empedocle, che si gettò nell'Etna sperando di diventare un dio, di Diogene, che faceva i suoi bisogni in pubblico, di Nietzsche, che baciò piangente un cavallo e finì per impazzire. Presi dallo sconforto, nonostante la didattica laboratoriale, nonostante il cooperative learning, temiamo che il massimo che ci si possa attendere è che qualcuno dei costretti all’istruzione dica: “Mi è piaciuto Platone! Carino.”

 

3. L'utopismo pedagogico ed i docenti di Filosofia

 

Utopia è persuadere i ragazzi che la filosofia è indispensabile, soprattutto se molti di questi spiritosi occupanti di banchi sostengono che i pensieri filosofici sono tutte astrazioni strampalate di chi non aveva a disposizione lo smartphone. Per evitare che credano anche che i 36 testi di Platone servano solo a bloccare le ruote di un'automobile parcheggiata in discesa è necessario convincerli che possano invece renderli virtuosi, felici e sapienti. Adesso, Miur docet, abbiamo nuove frecce al nostro arco. 

 

Il percorso dell’anno di formazione è organizzato in modo chiaro e articolato: durante l’incontro iniziale si pongono le basi della costruzione di un curriculum formativo che comprende un patto con un collega-tutor, delle lezioni condotte da alcuni docenti esperti o dirigenti scolastici su importanti tematiche della didattica (ecco la tecnologia, ovvio), delle attività didattiche da preparare e realizzare sotto gli occhi del tutor, delle attività on line sia sulle proprie caratteristiche di docente sia sui bisogni formativi futuri. Mi è stato chiesto di redigere un Bilancio iniziale delle competenze e poi, alla fine dell’anno, un bilancio finale delle competenze. “Il Bilancio iniziale delle competenze è una classificazione dell'insieme delle competenze che concorrono a definire la professionalità docente, elaborata dal gruppo di ricerca del MIUR e in linea con la ricerca internazionale in materia.” Il sito di Indire ha ragione nell’affermare che questo Bilancio, oltre ad essere interessante in sé, vuole essere uno strumento per aiutare il docente a riflettere sulla sua professione, individuare i suoi punti di forza e di debolezza e conseguentemente, scegliere le azioni formative coerenti con le sue esigenze”. Poi c’era una bella proposta: le tre, quattro o cinque esperienze che ti hanno reso il docente che sei. Io sono molto più terra terra di quanto qualche mio studente creda e ho subito pensato alla persona che sono: dunque volevo citare la filmografia di Woody Allen, gli album dei Pink Floyd, Carmelo Bene dal Costanzo show, la suora alle Elementari che mi consiglia di avere più “cazzimma”, l’idea (sbagliata) che Nietzsche con Ecce homo e l’Anticristo non facesse sul serio ma volesse solo far ridere. Poi ci ho ripensato e ho attenuato il delirio: i miei professori del liceo, la passione teatrale, ovvietà del genere. 

 

Nuovi metodi, nuove idee, nuova didattica. Partiamo dal ciclone più di moda: della flipped classroom si parla da tanto e Tullio De Mauro nel 2012 ne celebrò la diffusione. Dunque, caro neoimmesso, rovesciamo la classe? Ci ho provato, ma i materiali proposti li avevano letti davvero? A essere ottimisti, metà della classe. E come si fa a evitare di lasciare in vita la frontale, più gagliarda di prima benché anticipata e filmata? Non è il caso, invece, di rendere la stessa visione delle lezioni un’esperienza dialogica e critica? Gli strumenti ci sono, bisogna attrezzarsi; anche perché non sempre il materiale che si trova in rete è affidabile. 

Competenze, compiti di realtà? Parti da quelli, vero? Certo, quasi sempre. Quasi. A volte. Videolezioni degli studenti? Gliele hai fatte fare? Sì, un mese per cinque minuti su Cartesio, tutto in presa diretta, con un audio più discreto di quello di una tomba. Non mi dire che sei rimasto ancora a Powerpoint? Ma tu scrivi prima le domande su Scribd o gliele fai a sorpresa? E su Youtube chi preferisci? Annaliside, Matteo Saudino o Manuela Racci? Tu come la usi la Interactive whiteboard? Se ad esempio quel giorno non funziona, che fai? Quest’anno ho le quinte; hai qualche Episodio d’Apprendimento Situato da prestarmi? Conferisci valore agli stili d’apprendimento di ognuno? Ma certo! C’è chi preferisce vedere alla lavagna schemi ed elenchi puntati o vedere video, film o disegni didattici, chi vuole ascoltare la lezione e basta, chi vuole tradurre tutto in un’esperienza attiva, perfino chi preferisce leggere il libro e ripetere a voce alta ciò che ha letto. Ho provato a far scegliere a loro il proprio stile: “Prof, metta su un video oppure parli lei, però zero manuale.” 

 

Sei pronto a una didattica light o vuoi restare inchiodato sul trono? In fondo, sei giovane; quanti anni hai, 45? Ma nella vostra scuola i genitori si collegano con su Skype? Scusa, ma davvero usate ancora quel manuale? Sull’Abbagnano c’è scritto che gli stoici dicevano che oltre la virtù, oltre la massima saggezza, gli altri beni sono indifferenti. Però tra questi indifferenti ci sono i preferibili! Ma davvero, prof? Preferibili? E allora che indifferenti sono? Ma di quale indifferenza parliamo? Di quella al significato stesso della parola “indifferenza”? 

Insomma, che siano o no rivoluzioni, non si può affermare che nel mondo della scuola e della riflessione sulla scuola non stia cambiando nulla. Di vecchi idoli ne son caduti tanti, per qualcuno mancano ancora il manuale e il programma, per qualcun altro la divisione disciplinare e l’aula come spazio chiuso. Io ho seguito i suggerimenti ministeriali, ho provato a includere e facilitare, a essere regista e non capo, a chiedere cosa fosse per loro la caverna platonica odierna. Ho concesso loro di cercare informazioni sul cellulare, ho tentato, con loro, non in loro presenza, di demitizzare ogni mito. Tranne quello dell’imparare a imparare, per carità! 

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