Renzi e i social / Renzi l'americano

11 Aprile 2016

La diretta di oltre un’ora lanciata da Matteo Renzi il 6 aprile su Facebook e in contemporanea su Twitter  ha suscitato una grande attenzione da parte dei media e di tutti coloro che prestano attenzione alla politica italiana e alla comunicazione ai tempi del web. Nel guardare il filmato mi è tornato immediatamente in mente il precedente di Barack Obama che, nel pieno della campagna elettorale per la rielezione nel 2012 , in camicia bianca e maniche arrotolate attivò la sessione “ask me anything” su Reddit per rispondere alle domande dei cittadini. Anche in quel caso, l’evento ebbe grande successo e copertura mediatica e contribuì a riportare il presidente americano al centro della scena, come argutamente sottolineato da qualcuno: “While a tropical storm batters the Gulf Coast and Republicans make their case for reclaiming the White House, Barack Obama diverted attention from both by typing three simple words on Wednesday afternoon “ask me anything”. 

 

L’opportunità di occupare la scena senza necessariamente ricorrere alla disponibilità dei legacy media è, dunque, sempre più sfruttata dai soggetti politici. E Matteo Renzi non è certo il primo a farlo. Per semplificare e chiudere qui la questione, si potrebbe dire che si è di fronte all’ennesima forma di “americanizzazione della politica”, cogliendo certamente un elemento di verità ma ignorando contemporaneamente un elemento più profondo di trasformazione. Bisogna prendere atto, infatti, che oggi i leader politici ricorrono a qualsiasi occasione e modalità comunicativa per raggiungere direttamente i cittadini elettori, e il web costituisce un’opportunità imperdibile. Soprattutto se si tiene conto della variabile generazionale, che sta portando alla gestione della cosa pubblica soggetti alfabetizzati tecnologicamente. Da questo punto di vista, dunque, Matteo Renzi fa quello che farebbe qualsiasi altro soggetto con cultura e pratica digitali simili alla sua e con la necessità di riconquistare smalto dopo averne perso a seguito degli eventi che hanno coinvolto alcuni membri del suo governo. Quale occasione migliore di una conversazione apparentemente senza filtri con i cittadini per dare forza a un leader che non vuole essere come gli altri? Non solo. Quale occasione migliore per dettare l’agenda in una condizione di monopolio comunicativo?

 

Nulla di nuovo, dunque, se non nuove declinazioni del vecchio “going public” in un’era nella quale la disintermediazione è diventata la cifra identificativa della contemporaneità. Insomma, un “going public” con altri mezzi. Che poi essa sia, o rischi di essere, una rappresentazione invece che una nuova forma di relazione è un problema sul quale mi sono già soffermata in altre sedi e sul quale è tornato anche Giovanni Boccia Artieri nel suo intervento di qualche giorno fa. Al riguardo, aggiungerei solo che il diffuso entusiasmo che oggi caratterizza il fenomeno della disintermediazione riecheggia quello che accompagnò la nascita dei talk show televisivi, salvo poi scoprire, usando le parole di Walter Cronkite, che “Tutti possono fare le domande. Noi giornalisti pretendiamo le risposte”.  Non solo. Mi permetto di aggiungere che le stesse domande possono avere un valore informativo di spessore diverso, perlomeno in relazione ad alcune questioni che richiedono conoscenze specifiche (come nel caso della copertura finanziaria necessaria all’ipotesi di aumentare l’assegno mensile ai pensionati al minimo avanzata nel corso del #matteorisponde). 

 

Ed è proprio sul ruolo giocato dai giornalisti in questa vicenda che vorrei soffermarmi. Certo, essi sono stati tenuti fuori dalla rappresentazione messa in atto da Matteo Renzi e dal suo staff: i tentativi di porre domande sono stati stigmatizzati pubblicamente, presentandoli quasi come maldestre (e subito scoperte) intrusioni in uno spazio dove non era loro concesso di entrare (“Ho sgamato una giornalista che cerca di fare le domande”). Nella “messa in scena” diretta da Renzi, i giornalisti non avevano una parte in commedia. L’unica parte prevista era quella di dare spazio all’evento, rilanciandolo tramite una narrazione puntuale (su Twitter o su qualsiasi altra piattaforma) ovvero mettendo a disposizione lo streaming live della pagina di Renzi. 

 

Tuttavia, bisogna dire che questo ruolo di “spalla” assegnato ai giornalisti non è stato gentilmente declinato o reinterpretato in modo tale da offrire frame interpretativi alternativi a quanto si stava dicendo ovvero da verificare la veridicità di quanto affermato (fact checking). Per citare Bill Kovach e Tom Rosenstiel, i giornalisti avrebbero potuto assumere le funzioni di “sense maker” e “authenticator” ma hanno invece scelto di dare vita a quella di “witness bearer”. Numerose sono le iniziative che le diverse testate avrebbero potuto assumere per partecipare all’evento in corso e intervenire sui meccanismi di costruzione dell’agenda (a titolo esemplificativo possono essere citate l’attivazione di  forme di copertura equivalenti a quelle realizzate in occasione dei dibattiti tra candidati, l’animazione di  una conversazione sulla pagina della testata e/o su Twitter, etc.), dismettendo quel ruolo marginale nel quale sono state costrette e che ha suscitato critiche  e malumori soprattutto sui social. L’adesione a una funzione di narrazione referenziale degli eventi (definita anche da alcuni studiosi come un’“obiettività stenografica”) è probabilmente il frutto di una tensione derivante da una ridefinizione della professione giornalistica in un tempo in cui la disintermediazione fa sentire i suoi effetti anche sul fronte dei media, ridefinendo norme e pratiche  e spalancando le porte a nuovi attori (i cittadini, in primis).  Il fatto che i cittadini possano interagire direttamente con i soggetti politici e/o produrre in prima persona informazione porta con sé una sfida nella definizione dei tratti e del capitale culturale, sociale e simbolico (così come lo intende Bourdieu) degli attori che si muovono nel campo giornalistico. 

 

Si tratta di una sfida che si consuma su numerosi e diversificati terreni. Il caso del #matteorisponde è quello da cui ha preso spunto questa riflessione ma esso è soltanto uno dei tanti. Sicuramente neanche il più importante. Ma proprio per questo mi piacerebbe che si approfittasse del prossimo appuntamento già annunciato per tentare di realizzare una triangolazione virtuosa con i cittadini: cercando di dare corpo al significato di giornalismo come servizio e non come prodotto e valorizzando il contributo di tutti gli attori coinvolti al fine di costruire un’agenda alternativa a quella “messa in scena” per tutti noi.  Perché se è vero che anche nel caso del prossimo #matteorisponde la regia sarà nelle mani di Matteo Renzi e del suo staff, è altrettanto vero che tanto i cittadini quanto i giornalisti possono provare a ritagliarsi un ruolo che consenta loro una partecipazione realmente disintermediata rispetto al formato comunicativo che abbiamo sperimentato finora.  

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