iMac / Michelangelo

16 Maggio 2012

Due mani si protendono una verso l’altra, appaiono come sospese nell’aria, bloccate a qualche centimetro l’una dall’altra, prima (?) che i polpastrelli dei loro indici si tocchino reciprocamente, vengano a contatto, o, molto più verosimilmente, un attimo dopo che le due mani si sono separate: i due arti sono stati dipinti da Michelangelo Buonarroti al centro del soffitto della Cappella Sistina e fanno parte della scena relativa alla creazione dell’uomo. Uomo che, secondo il racconto biblico, Dio creò modellandone la forma a sua immagine e somiglianza da una massa informe di argilla. Una modalità senz’altro familiare a Michelangelo, quello stesso processo di modellazione plastica che gli scultori ripeteranno per millenni in ogni angolo della terra. I polpastrelli delle due dita, l’indice della mano sinistra di Adamo e quello dell’indice della mano destra di Dio, possono essere interpretati tanto come la visualizzazione dell’atto finale dell’evento, quanto come l’attimo immediatamente precedente l’imminente e successivo contatto tra il Creatore e la sua creatura. In entrambi i casi il gesto raffigurato ha una pregnanza simbolica straordinaria: un contatto che è già contagio, trasfusione, trasmissione della conoscenza e della coscienza umane.

 

Abbiamo detto che Michelangelo non rappresenta il contatto in atto, ma posiziona le due dita a qualche centimetro una dall’altra, ad una distanza metrica apparentemente irrilevante. Eppure, è proprio quest’infinitesimo distacco a visualizzare una distanza esistenziale per l’uomo incolmabile e drammatica: da quel momento in avanti è a lui consegnata una libertà di pensiero e azione che reca con sé la piena responsabilità delle conseguenze di ogni suo atto. Una totalità e complessità d’azione che, in tutto il corso storico dell’umanità, in gran parte sarà dovuta, nel bene come nel male, a quell’unico e assoluto artefice che è la mano dell’uomo, quella stessa mano che nell’ allontanamento ha trovato la padronanza di sé: “la mano è l’uomo stesso,” sintetizzava in modo fulminante Anassagora. Anche in termini filogenetici l’avvento dell’uomo è coerentemente segnalato dal momento in cui il primate eretto su due piedi libera i due arti anteriori dalla locomozione assegnandogli le funzioni della prensione e di organo di percezione diretta (tattile e aptico) e indiretta (toccare e sentirsi toccato): la funzione di apprensione delle informazioni del mondo viene così primariamente delegata a quest’organo.

 

Tra le ragioni che hanno convinto Matthew Panzarino, il News Editor della Apple TNW, ad utilizzare questa immagine nella registrazione del brevetto del nuovo iMac, (TRANSITIONING BETWEEN MODES OF INPUT; Pub. No.: WO/2010/006210, International Application No.: PCT/US2009/050168, Publication Date: 14.01.2010- depositato 2009 per un iMac touch-screen) l’evidente forza empatica, che l’immediato richiamo all’opera affrescata da Michelangelo produce, deve essere stata la più persuasiva. La mano di Adamo poggiata sulla tastiera appare animata da un frenetico movimento di digitalizzazione di tutte e cinque le dita, che sembrano ballare sui tasti come le punte delle scarpette di Ginger Rogers e Fred Astaire mentre eseguono uno dei loro celeberrimi passi di tip-tap. La breve distanza che separa le falangi variamente piegate delle dita della mano leggermente inclinata in avanti, rispetto all’orientamento originario, concorrono a indurre l’occhio a percepire un movimento in atto, una rapida successione-sequenza di colpetti di polpastrelli sui tasti sottostanti. Parrebbe un’immagine perfettamente adeguata e calzante a visualizzare il modo di utilizzo dell’oggetto brevettato. Ma quando si consideri la funzione simbolica e narrativa che per Michelangelo l’immagine delle due mani doveva comunicare, appare evidente il travisamento di cui è stata fatta oggetto nel modo in cui è stata utilizzata nel brevetto dell’iMac. Per Michelangelo infatti le due mani incarnano l’attimo cristallizzato di un irreversibile evento, in cui l’ attesa è già memoria di un mistero che sta per essere rivelato nell’immobile eternità di un incantesimo. Una sospensione rievocata dal morbido cadere e flettersi delle falangi delle dita, dispiegate a descrivere l’incipiente senso di un abbandono, piuttosto che la repentina piegatura di un movimento meccanico in atto. La mano dipinta da Michelangelo non è animata da un motore interno ma dispiegata secondo l’andamento del richiudimento, nella forma del raccoglimento in cui si invera l’apprensione dell’umana coscienza.

 

Questo “disinvolto” tentativo di utilizzare un gesto di profonda densità simbolica in qualità di pittogramma di una frenetica digitazione, può essere assunto come esemplare di tutta una casistica in cui l’utilizzo avventato e spregiudicato delle opere d’arte rasenta i limiti di una frode, in quanto la profondità semantica e comunicativa di queste viene svuotata e destrutturata nel suo piegarsi a veicolare un messaggio che non le è proprio. La mercificazione di un simbolo che comporti lo sconvolgimento del suo “quid” espressivo palesa un intollerabile travisamento iconologico, perché legittima una sciagurata falsificazione del suo originario significato.

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