Senza un momento di esitazione

31 Ottobre 2013

Nessun libro è antico. Ovvero: storie su come i libri sopravvivano a chi li ha scritti, a chi li ha letti e a chi li ha posseduti (anche senza leggerli).

 


 

Senza un momento di esitazione, come sempre capita quando aspetto il corriere per una consegna, gli prendo il pacco dalle mani e vado verso la scrivania tentando prima di aprirlo con le dita, infilandole tra il nastro adesivo e il cartone, poi, e anche questa è un’immagine che lui ormai conosce, apro il cassetto dove metto le forbici e taglio tutto un po’ a caso, finché i libri che ho ordinato non si spogliano davanti ai miei occhi e, finalmente, posso firmare la ricevuta che il ragazzo ha in mano da quando è entrato. Non ci parliamo molto, di solito. Eppure è lui questa volta a cominciare il discorso, gettando un’occhiata un po’ furtiva ai libri che sto mettendo in fila sul piano della scrivania, taglio contro dorso. È un peccato però, dice il fattorino DHL guardando fuori dalla vetrina verso il suo furgone, che la pioggia improvvisa di inizio estate sta bagnando fin dentro l’abitacolo attraverso lo spiraglio di un finestrino lasciato aperto – sì, è un vero peccato che di Thomas Bernhard ormai non parli quasi più nessuno. Alzo gli occhi per guardarlo, ma rimango in silenzio. Oh, io darei via tutto Peter Handke per una sola riga di Bernhard, non c’è storia, aggiunge.

 

Non mi capita spesso, qui in libreria, che qualcuno mi chieda o mi parli di Bernhard. Tuttavia ho imparato che quando succede, questo è il preludio a discorsi interminabili, a dialoghi fatti esclusivamente ripetendo aneddoti o frasi che compaiono nei suoi romanzi, e rilanciando in continuazione la posta, sempre un pochino più addentro, verso quel libro o quel racconto semisconosciuto che anche chi è convinto, come me, di aver letto proprio tutto quello che Bernhard ha pubblicato, ecco quello no, mi manca. Poi, magari, proseguendo, si scopre che quel racconto citato dall’interlocutore in realtà non è altro che un passaggio, forse giusto qualche riga appena, di uno dei romanzi più famosi, ma che avevamo dimenticato. Pochi scrittori riescono, nascondendosi dietro ad una apparente e granitica monotonia di temi e di motivi, ad essere inesauribili quanto lo è stato Thomas Bernhard. Mi è successo di parlarne migliaia di volte, ma senza mai arrivare davvero a un punto, a un’idea interpretativa complessiva come può succedere per la maggiornaza degli scrittori, anche i più grandi. Per questo i libri di saggistica su di lui e sulla sua opera sono fondamentalmente inutili dal punto di vista conoscitivo, e si limitano ad essere esercizi d’ammirazione, dichiarazioni d’amore.

 

Ma l’hai letto Goethe muore?, mi chiede il corriere che nel frattempo – sono passati più di dieci minuti e lui sa che deve continuare il giro delle consegne, ma sa anche che deve continuare a parlare – ha evitato di rispondere per tre volte al telefonino e l’ha semplicemente richiuso rimettendolo in tasca. Sì, certo, l’ho comprato la mattina stessa che è uscito, dico io. Beh, incredibile, continua lui nella sua corsa contro il tempo, io mi aspettavo un certo libro, come è nel suo stile, con invettive furiose contro Goethe il distruttore della cultura tedesca, e il famoso gioco sul Mehr Licht/Mehr Nicht, e in effetti tutto questo c’è. Però, come sempre succede nei suoi libri, c’è tutto quello che ti aspetti, ma proprio tutto, tranne quel dettaglio, che a volte è insignificante e altre volte decisivo, che cambia tutto. Come in questo libricino dove appunto ti aspetti tutto il Bernhard che già conosci e i fuochi d’artificio e le incazzature violentissime, ma non ti aspetti di certo di leggere di Goethe che vuole incontrare Ludwig Wittgenstein. Ridiamo tutti e due, ma lui riprende subito: e sai, tra l’altro, che il titolo originale non suona proprio come l’ha tradotto Adelphi. Ah no?, dico io. No, no, perché l’originale è Schtirbt, con quel ch che fa suonare il verbo in maniera beffarda, da presa in giro, tipo Goethe crepa, o Goethe schiatta, e non come l’hanno tradotto, con quel muore che alla fine suona anche nobile, come un addio del Grande Tedesco agli umili mortali. Se ci pensi, provo a interrompere il suo flusso, per uno come Bernhard un Johann Wolfgang Goethe non si merita altro che crepare, no?

 

Ridiamo ancora e il ragazzo, di cui ancora non so il nome, si stringe nelle spalle della sua divisa gialla e rossa, adesso leggermente a disagio, e domanda: sai a me chi fa anche quell’effetto che dicevi tu, dell’inesauribilità? Bob Dylan, si risponde poi, ancora non del tutto pronto ad andare. Ma io lo so che se apriamo anche questo capitolo è finita e poi ci tocca uscire insieme e passare serate intere a spulciare testi e discografie. Ah, beh, grandissimo anche lui, dico io. Però in questo momento io sto leggendo l’altro Dylan, aggiungo. Ma è il telefonino del corriere che mi salva definitivamente. Cioè che ci salva. Dalle nostre malattie e dai nostri sprofondamenti in altri mondi. Fino alla prossima consegna.

 

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Luigi Grazioli, Thomas Bernhard. Goethe muore

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