Tra occhio e medium / Visibilmente

2 Febbraio 2011

Filip, il protagonista del film Il Cineamatore di Krzysztof Kieslowski, prende in braccio la moglie in preda alle doglie per condurla in ospedale: è come avere la vita tra le proprie mani, e averla proprio così come ci confessa di aver sempre desiderato che si realizzasse. Nascerà una bimba, qualcuno da seguire passo dopo passo con tutta l’attenzione possibile, fissando su di lei il proprio sguardo come a volerne ricordare tutti i cambiamenti che nel tempo sicuramente sopraggiungeranno. Per questo, ancor prima della nascita della bimba, Filip si è dotato di una cinepresa, consapevole di aver bisogno di un aiuto per trattenere ciò che altrimenti sarebbe destinato a perdersi in quello che per il nostro sguardo in fondo non è altro che un eterno presente. Eppure la presenza di quello strumento davanti ai suoi occhi, quell’apparecchio tecnico capace di trasformare in immagini fisse ciò che l’occhio attraverserebbe soltanto fuggevolmente, cambierà totalmente la sua vita.

 

Tra occhio e mezzo tecnico, tra queste due sovrapposizioni di sguardi, nascerà una lotta, si insinuerà una interferenza che porterà ad interrogarsi su che cosa guardiamo quando guardiamo la realtà che ci circonda. Che cosa si presenta a noi, lì, in quel modo che riteniamo così direttamente visibile? Come facciamo a sapere che cosa effettivamente stiamo vedendo mentre i nostri occhi sono aperti sul mondo di cui facciamo parte?

 

Quando la direzione della ditta per cui lavora chiederà a Filip di realizzare un film amatoriale, in particolare la ripresa dei festeggiamenti per l’anniversario dei venticinque anni di vita della fabbrica, questa lotta si acutizzerà ulteriormente. Filip in fondo aveva acquistato la cinepresa per utilizzarla esclusivamente nella sua vita privata, ora dovrebbe invece decidere pubblicamente che cosa riprendere e che cosa tralasciare. A questo dilemma, per alcuni versi insolubile, Filip troverà una risposta geniale e scontata al tempo stesso, deciderà di filmare tutto quello che si muove davanti ai suoi occhi durante i festeggiamenti, dalla serata di gala al piccione che accidentalmente si poserà sulla finestra. Tutto è meritevole di essere ripreso. Il film non dovrà fare altro che riprodurre ciò che gli occhi liberamente vedrebbero. Non si tratterà più di decidere che cosa guardare e che cosa riprendere, ma riprendere diventerà il suo unico modo di guardare.

 

Questa sovrapposizione indecidibile tra sguardo e ripresa, dove non si è più in grado di stabilire se vi sia un occhio dietro alla cinepresa o se la cinepresa, come accadrà nella scena finale del film, sia rivolta verso l’occhio che racconta le proprie visioni, questo tentativo d’incidere la realtà con una visione che non vuole dichiarare nient’altro che ciò che vede, porterà quella stessa realtà a farsi quasi intangibile. È come se dietro a quelle immagini si svolgesse una vita dagli effetti del tutto imperscrutabili. Vita impossibile da tenere tra le mani, come per un momento aveva invece creduto, vita però che mai, come attraverso quella sovrapposizione di sguardi, era riuscito a sentire così vicina.

 

In effetti Filip non sa che cosa lo spinga a voler mostrare a tutti ciò che già hanno davanti agli occhi. Sicuramente non è l’idea di realtà che le riprese sono in grado di restituire, forse è piuttosto l’accidentalità che esse trattengono. Come il volto della madre del vicino che continua sorridente ad affacciarsi alla finestra anche dopo morta; dettagli toccati tangenzialmente da una casualità che rende volti e vite più veri di ogni restituzione a tema.

 

In fondo si tratta della resa di Filip al cambiamento definitivo del proprio sguardo grazie all’avvento di quel supporto tecnico. È la trasformazione del suo sguardo anche quando osserverà a occhio nudo, come nel momento in cui vedrà la moglie passargli vicino e allontanarsi. Guardandola, capirà che quell’immagine rimarrà per lui indimenticabile. E questo non tanto nel senso che ripenserà a quell’immagine per tutto il tempo della vita che gli rimarrà da vivere, ma che la ricorderà così, transitoria e immobile, per sempre. 

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