dontstop

9 Febbraio 2011

...dontstopdontstopdontstopdontstop: è questo il titolo di una raccolta di brevi interventi di Hans Ulrich Obrist. I puntini di sospensione indicano che non si tratta di una vera intitolazione, di un incipit, ma di un frammento ritagliato da un loop, in cui la reiterazione del messaggio – non fermarti – si accompagna alla sua perdita di senso. Privo della maiuscola, privo di segni d’interpunzione, privo dell’apostrofo e privo persino degli spazi tra le parole, questo titolo mostra bene il modello di comunicazione vigente nel mondo dell’arte contemporanea. Non una versione aggiornata, postmoderna, dei manifesti del futurismo ma una mancanza materiale di tempo, una sovrapposizione di appuntamenti. Non è di una segretaria che avrebbe bisogno Obrist ma di una Second Life che lo aiuti a realizzare esposizioni e interviste, visitare mostre e atelier in giro per il mondo. “Quando avrò tempo...” si dice davanti a obblighi e desiderata puntualmente, irrimediabilmente differiti. Il tempo è per definizione ciò che manca, ciò davanti cui accumuliamo ritardi. Se ogni momento è prezioso – come ci insegna ormai il mondo delle transazioni finanziarie e non quello della parola poetica – la nostra risposta è stata un annichilamento dell’istante attraverso la sua moltiplicazione: fare più cose allo stesso tempo. Ai nostri corpi, al nostro apparato percettivo è richiesta un’iperattività e una capacità di adattamento elevatissima, modellata sull’ubiquità tecnologica. Nel corso di una conferenza a Parigi con un artista inglese, Obrist chiamava al cellulare un suo amico tedesco a Singapore.

 

…dontstopdontstop (ad libitum) è uno slogan efficace per la pubblicità di una compagnia aerea low-coast. La generazione di Harald Szeemann – quella dei surveys, dei testi critici – prendeva l’aereo ma pensava ancora spostandosi in treno. La generazione di Obrist – la nostra, quella delle interviste – si concentra e scrive solo sugli aerei e negli spazi interstiziali. Vive in un perpetuo jet-lag, in cui una parte di noi è rimasta indietro, non si è adattata al fuso orario, allo sfasamento spazio-temporale vissuto come un difetto fisiologico. Curating e jet-lag vanno considerati assieme. “Non muoverti”, si diceva a chi posava per una fotografia. dontstop ci dice che la fotografia è ormai buona solo per gli archivi e che della vita non cattura un accidente. L’indugio ha perso il suo potenziale. dontstop è un principio valido anche per i luoghi d’esposizione, in cui non si deve sostare davanti alle opere ma circolare. “Circolare, prego, non c’è niente da vedere”, come apostrofa la polizia i curiosi davanti a un incidente.

 

Ma in questo libro è lo stesso Hans Ulrich Obrist, o meglio HUO, a dileguarsi: tutti gli articoli del libro sono curiosamente firmati “dontstop”. Un modo per incitare il lettore a leggere oltre, come i lanci dei presentatori televisivi prima di mandare gli spot, per paura che gli spettatori cambino canale.

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