Ernest Jones e il quislinguismo

24 Aprile 2012

Al convegno Tipi umani particolarmente strani, tenuto presso l’Università di Bergamo lo scorso novembre, Marco Dotti, durante un suo intervento su Knut Hamsun, ci ha ricordato il fenomeno del quislinguismo. Che cos’è? Ne parla Ernest Jones (1879 - 1958) in un breve saggio, quattro paginette, pubblicato per la prima volta nel 1940 e riapparso nel 1951 sul primo di due volumi - Ernest Jones Essays on applied psychoanalysis (London, Hogarth) - che ancora si possono trovare, stravecchi e gualciti, in vendita online, benché il libro sia da tempo fuori stampa.

 

In molti sanno che Jones è stato il primo biografo di Freud, qualcuno ha letto che fu tra i sostenitori della permanenza in Inghilterra di Melanie Klein, che lavorò per far ottenere a Freud il trasferimento a Londra durante l’avvento del nazismo in Austria. Le parti eroiche dell’uomo sono abbastanza note. Nessuno, o quasi nessuno, ricorda il Jones che gestì, negli anni Trenta, le pagine più inquietanti riguardanti l’espulsione di Wilhelm Reich dalla società di psicoanalisi, accusato di marxismo, e le sue manovre parallele per costruire una psicoanalisi collaborazionista durante il regime nazista in Germania.

 

                                                                       

Il saggio sul quislinguismo fa emergere, come un Giano bifronte, le ambiguità di Jones. In prima battuta il discorso di Jones sembra somigliare alle descrizioni di Primo Levi intorno alla zona grigia. Declinazione psicoanalitica che coglie il versante psichico della zona grigia. Esiste una zona grigia anche nella mente e nei vissuti umani. Di fronte a un’autorità così crudele e potente da non dare scampo, si tende a reagire con una sorta di collusione preventiva tesa a limitare i danni. Un cedimento di fronte alla responsabilità, una sorta di regressione etologica verso condotte di sudditanza.

 

Il principale soggetto in questione è Quisling, leader fascista Norvegese, appoggiato da Hamsun, che regalò la Norvegia a Hitler per far fronte all’angoscia dell’invasione. Quisling si giustificava pensando che l’ingresso pacifico dei tedeschi in Norvegia avrebbe evitato spargimenti di sangue, invece la resistenza popolare all’invasione fu vasta e tenace. I norvegesi morirono a migliaia per salvare la patria.

L’indagine di Jones è interessante fino a un certo punto. Per un certo punto non intendo che il complesso delle sue considerazioni siano limitatamente interessanti, al contrario le prime pagine di questo saggio mostrano come la psicoanalisi possa cogliere un fenomeno sociale complesso a partire dal piano affettivo. L’angoscia di fronte a una potenza minacciosa produce una sottomissione che giunge fino a condividere le cattive intenzioni di questa potenza. Vigliaccheria appena velata dallo slogan sacrificarne cento per salvarne mille, mille per salvarne diecimila e così in escalation, fino allo sterminio d’intere popolazioni. Non è questo il punto, il punto è che, da un certo punto in poi, Jones si trasforma, nel medesimo saggio, in un perfetto quislinguista, a sua volta.

 

Il nucleo interessante dell’argomento sul quislinguista, o Quisling, è questo:

Il Quisling […] inganna profondamente se stesso; crede nel potere, nell’inevitabile successo e pertanto, in un certo senso, nella bontà degli oggetti e degli impulsi interni cattivi, e applica questa stessa fede al nemico esterno. In questo processo il passo più importante è indicato dalla parola pertanto: perché l’inevitabile successo deve coincidere necessariamente con la bontà? Suona come il vecchio detto che la forza fa il diritto (Jones, 1951, p. 277).

 

Fedele alla spirito kleiniano, il fenomeno Quisling viene indicato come una regressione in cui il soggetto scisso perde il discernimento intorno alla differenza tra bene/male e successo/insuccesso, trasformando gli impulsi cattivi in buoni se vincenti. Nell’era Berlusconi ci sono passati sotto il naso migliaia di quislinguisti, tuttora il paese ne è pieno, non c’è dunque bisogno degli eccessi del nazismo per evidenziarli.

 

Michael Paysden. L’uomo alto guarda la luna

 

Lo stesso Jones, nella continuazione del saggio sul quislinguismo, si allontana dalla complessa considerazione psicoanalitica e tira in ballo l’omosessualità, sostenendo che il quislinguista, secondo le possibili versioni, corrisponderebbe all’omosessuale attivo o passivo, passando bellamente sopra, senza alcun riguardo, a una questione chiave: gli omosessuali storicamente non collaborarono per niente con il nazismo, al contrario stavano rinchiusi nei campi di sterminio, insieme a ebrei e zingari. Venivano massacrati insieme ai disabili, erano uno degli obiettivi principali dello sterminio di massa. Il paragrafo 175 del codice penale tedesco, che puniva l’omosessualità e che dal 1935 venne esteso, in modo da permettere la liquidazione dei gay, rimase, tra l’altro, in vigore fino al 1994, anno della riunificazione delle due Germanie.

 

Come giustificare questa grave svista di Jones? La boutade di Jones s’inserisce in un oscuro processo che vide parte della psicoanalisi, negli anni del nazismo, esercitare numerosi atti di quislinguismo, come l’esaltazione della neutralità e della professionalità terapeutica, scudo per evitare di confrontarsi con il regime politico totalitario nazista.

L’associazione psicoanalitica tedesca - espulsi tutti i membri ebrei, alcuni fuggiti, altri sterminati - venne inclusa nella società psicoanalitica internazionale (IPA), di cui Jones era presidente, mentre, paradossalmente, il marxista Wilhelm Reich veniva allontanato perché politicizzato.

 

Solo recentemente Riccardo Steiner - in un saggio su The International Journal of Psychoanalysis del 2011 - ha riaperto la questione dal lato della psicoanalisi ufficiale. Una storia che gli psicoterapeuti a orientamento reichiano conoscono da sempre, egregiamente riassunta, dal loro punto di vista, nel 2004, da un testo di José Ignacio Tavares Xavier, dell’Istituto di Psicologia dell’Università Federale di Rio de Janeiro. Tavares Xavier ricorda inoltre che nel 1948, ben dopo la fine del nazismo, Jones aiutò un collaborazionista del regime nazista, Werner Kemper, a reintegrarsi nell’IPA , Kemper si mise a praticare proprio in Brasile.

Il fenomeno Quisling ha coinvolto Jones, prima e dopo il nazismo, in maniera sconsiderata. Proprio chi l’ha descritto, cogliendo un aspetto psicologico della zona grigia. Ciò dimostra quanto avesse ragione Freud quando sosteneva che la consapevolezza non ha effetti sull’Es. In altri termini, non basta conoscere il funzionamento psicologico di un’istanza per evitarla. Non basta la consapevolezza? È inutile? Gregory Bateson ha formulato un’altra ipotesi: se fosse addirittura dannosa?

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