Cronache di politica palmata 3

23 Agosto 2013

Qui la prima e la seconda parte delle Cronache politiche palmate

 

 

 

Scoperto l'arcano! Cade il velo di Maya!

 

3 agosto 2013

E non è un bel vedere!
Macché assemblea! Macché secessione! Mi sbagliavo. Si è trattato solo di uno stupidissimo travisamento. Un errore di interpretazione che solo a pensarci avvampo. Una misinterpretation! Una bella mazzata per il mio preteso acume critico.
L'assembramento non è dovuto ad altro che alla vecchia signora che ogni mattina arriva con le sue belle sporte piene di pane secco, che dissemina dal ponte solo dopo aver chiamato a raccolta tutte le anatre, nominate ad una ad una, lasciando il tempo che arrivino anche le più lontane e lente onde evitare favoritismi. Ma presto, prima che si aggreghino oche e cigni! Che poi arrivano lo stesso veloci come fulmini, a reclamare il dovuto, o quello che la loro arroganza reputa tale.

 

Mi era proprio uscita di mente! Mi sono ricordato di lei solo stamattina, quando me la sono vista da lontano che sbucava dal tornello della passerella e, inforcata la bici appoggiata al guardrail, se ne andava soddisfatta del dovere adempiuto. D'estate non ce ne sarebbe poi così bisogno, ma ormai le ha viziate. Tremo al pensiero di quando non potrà più venire. Anche se forse qualcuno prenderà il testimone. Sporadici discepoli già ci sono. Ma incostanti... velleitari. Probabilmente le sue protette la vedono come una divinità, un essere numinoso evocato dalle loro preghiere, la conferma di una qualche loro teologia provvidenziale. La dimostrazione del progresso, per la corrente laica. La dimostrazione dell'inesauribilità delle risorse. Finite quelle, c'è sempre la manna. Non me ne stupirei. Se no di che cavolo parlano in continuazione? Solo degli ultimi, e penultimi, e terzultimi, pettegolezzi? Beh, può essere. Tutto è possibile. Più qualcosa è facile, più lo è.

 

 

La truppa dei palmati al completo si raggruppava, gridava e si azzuffava solo per arraffare il boccone migliore, o, i più deboli, per tenersi almeno quello caduto a distanza di becco. Restava unita finché c'era sufficiente cibo da spartire per tutti; poi cominciavano i battibecchi per piccole questioni di giurisdizione; qualche prepotente faceva la voce grossa, ma senza poi aggredire più di tanto le poverette che si mettevano subito a distanza di sicurezza, magari lamentandosi del sopruso (qualche lacrimuccia... e: te la faccio pagare, prima o poi... ti faccio vedere io!), e infine tutti si sparpagliavano con i propri sodali o parenti stretti, nel loro distretto di appartenenza o all'ombra, chi soffre il caldo. La diaspora. La dispersione. L'irrilevanza.
Che fine ingloriosa per un'epopea che si andava delineando terribile e costellata di eventi e figure indimenticabili!
E che smacco per l'armamentario ermeneutico!
Urge una radicale riforma del giudizio. Subito!

 

Eppure...
Eppure può benissimo essere che la spartizione del cibo sia solo un paravento per manovre più oscure. Che sia la scusa per regolare conti in sospeso senza darlo a vedere. Omero insegna.
Non è possibile che tutto si riduca a una tale banalità! A una trivialità così insulsa. Così volgare!
Il circolo ermeneutico funzionava che era una meraviglia! Un edificio solido, senza una crepa, un meccanismo di precisione con gli ingranaggi perfettamente oliati. Un cerchio magico! Il disegno accuratissimo di un incanto reale... Così convincente poi!
Io non mi rassegno. Nonnonnò. Non la lascio cadere.

 

Facciamo così allora: continuo sul doppio binario. Così salvo la verità (la sua apparente evidenza), e il resto. La realtà e il piacere. O il godimento. Non ho mai capito bene la distinzione. Mi stanno bene entrambi peraltro. Me ne farei bastare anche uno solo, si degnasse di visitarmi.
(E non mi importa quanto caduchi possano essere: prima, in ogni caso, erano in alto.)

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