Elleboro: follia di carnevale

21 Febbraio 2015

Andar per fiori nel bosco d’inverno? Si può. Si può, nel cuore del gennaio fino al febbraio inoltrato, raccogliere mazzolini di ellebori per i vasi di casa, estensioni mentali della passeggiata, delle sue grazie umide e dei sentori muschiati: là ho raccolto quello soffuso di rosa, questo occhieggiava candido sotto le foglie del castagno cavo, quest’altro tutto coccole verdi mi aspettava dietro il masso venato di chiaro.

 

Sfidano neve e gelo, gli ellebori. Insinuano vigorosi i rizomi nel sottobosco ricco di humus, presidiando le prode ombreggiate e ben drenate. Tra le cupe foglie basali, palmate e dal margine dentato, purissime tremano le corolle dell’Helleborus niger: per lo più solitarie, aprono sugli scapi nudi, brevi e grassocci, i cinque tepali coronati di stami gialli e, in maturità, viranti al rosa. Più insolite quelle tutte acerbe, vitaminiche, dell’Helleborus viridis. Di un simile color acido, vegetale, ma più vistose sugli alti steli, dondolano in grappolo le sottanine orlate di porpora dell’Helleborus foetidus, che fetido non è, e meglio ricorda i ranuncoli della famiglia d’appartenenza.

 

 

Ma, lasciando il bosco, in vivaio troverete anche il rosso Helleborus orientalis e ibridi di varie fogge, semplici o doppi, con diverse divise, picchiettate o meno, dal bianco al nero fondente.  In giardino allogateli ai piedi ben pacciamati dei grandi alberi di latifoglie, comunque sempre a mezz’ombra; e, se gradiranno l’angolo loro riservato, in pochi anni avrete cespi rigogliosi e fioriferi. Incrementerete così la pattuglia delle piante tossiche e misteriose.

 

Il mito dell’indovino Melampo, che per primo scoprì le virtù terapeutiche dell’elleboro nero e curò la pazzia delle figlie di Preto, fonda l’alone leggendario dell’erba venefica e al contempo salvifica cui dettero credito stimati filosofi. Crisippo e Carneade, a dar retta a Plinio e Petronio, lo usavano in pozione per rischiarar la mente. Ma i filosofi nostrani hanno lasciato cader in disuso tale pratica igienica.

 

Dalle mie parti chiamano l’Helleborus niger rosa di Natale, benché cominci a raddrizzare i capolini ben oltre l’Epifania. Semmai la sua festa dedicata è il carnevale: lo preannuncia, ne governa la follia legalizzata prima della lunga penitenziale Quaresima. Carneval è infatti il più opportuno nome popolare con cui è designato nella piccola patria di Pieve di Soligo. Certo, non poteva mancare nell’erbario di Andrea Zanzotto un poemetto dedicato al fiore che più della psicanalisi e di Lacan pare arginare le frane della mente, medicare manìe, squilibri, insanie, mattane e dissennatezze:

 

In ogni stanza, in ogni riposto

interstizio t’incontro, v’incontro, elleboro

mazzi dal nascosto e sotterraneo piede                                    Elleboro

di medicata follia                                                    

multipli e dolci come le vostre carezze                                    Elleboro nome

di foglie che riconducono                                                           di tante specie di piante

dalla stanza della casa                                                                 legate in enigmatiche

a quella della valletta                                                                  similarità di radici

più mitemente persa e bagnata in se stessa                           rizomi di veleni

e nel proprio invernale interstizio                                            convergenti talvolta

nel proprio radicato indizio                                                       alle rosalità più fonde.

di bellezza o cupezza comunque delirio.                                               (dai vocabolari)

Leggerissimo darsi, accarezzato

               in sé, espanso in entusiasmo pacato

Oh, calma, calma, elleboro

sono le tue doppiezze e la tue corolle-carezze

umili come le guarite follie

in queste serie di stanze

surrettiziamente sbocciate e poi rimediate                             Elleboro

                                                             strisciando     

Elleboro non è più il tuo nome

in certi vaghi errori delle stagioni

sei carneval che è distanza e capitombolo

nel mondo rovescio in cui tu t’insinui

per domestici poggi lungo parchi e pacati nomi

di camaleonte appena visibile, ma

presente piantina sorellina

per noi forse morta

nel voler guarire le nostre follie –

(da Elleboro: o che mai?, I Parte, in Conglomerati)

 

Orazio consigliava gli spostati di far vela a Anticira (naviget Anticyram, Satire, II, 3, 166), famosa per l’elleboro di miglior qualità da quando il suo re guarì Ercole purgandone l’esaltazione della bile cui gli antichi imputavan la pazzia.

 

Coltivate ellebori in aiuola o in vaso, avrete fiori d’inverno e rimedi naturali alla demenza: scioglieranno la vostra bile risparmiandovi navigazioni o parcelle dispendiose.

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