Impressioni di settembre

19 Settembre 2012

Con qualche variazione regionale inizia il nuovo anno scolastico 2012-13 e le scuole, fino a pochi giorni fa ancora con le aule vuote immerse nell’innaturale silenzio estivo, ricominciano a popolarsi di studenti.

Per chi scrive è un buon inizio, un momento di piacevoli rincontri e di promessa di nuove energie. I recenti annunci del ministro Profumo promettono molte e interessanti novità; la nuova macchina ministeriale ha proceduto con cautela nella fase del passaggio di consegne tra staff, portando a conclusione l’anno scolastico per poi, dalla maturità in avanti e fatta salva la tendenziale continuità sulle scelte economiche fondamentali, lanciare segnali di discontinuità con i ministeri precedenti quanto meno nel concepire l’istruzione come strategica per il salvataggio del paese dall’emergenza.

 

Organici. I collegi docenti sono sempre più ridotti e le perdite di cattedre sono state ancora numerose, come conseguenza della riforma che va a regime con le classi terze delle superiori. Fermi già da due anni molti precari (che non hanno avuto cattedra annuale), ci sono stati numerosi docenti ‘soprannumerari’, ovvero docenti di ruolo che, a fronte della riduzione di ore di curricolo e dell’aumento del numero di studenti per classe, sono stati ricollocati in posti vacanti per i pensionamenti o nuove posizioni aperte in scuole ‘in espansione’. Si intuisce lo sforzo per gestire le scelte (drastiche e grossolane) fatte in precedenza, rispetto alle quali in ogni caso non si torna indietro: rimane questo a mio avviso il limite di tutte le buone intenzioni.

Per quanto riguarda il precariato pregresso, si cerca di trovare una mediazione tra ‘il sistemare tutti’ i soggetti legati al sistema della graduatorie e una prospettiva rivolta al futuro rispetto al nuovo‘reclutamento’.

 

Cito dal blog di Marco Rossi Doria:

 

“Mentre quest’anno [...] i posti liberati dal turn over sono stati coperti al 100% prendendo i docenti dalle graduatorie, dal prossimo anno decidiamo di tornare alla Costituzione, che prevede il concorso pubblico, e alla legge (n. 124/99) che prevede il 50% dei posti a chi sta nelle graduatorie e l’altro 50% attraverso il concorso. Metà dei posti disponibili, dunque, verranno banditi in una gara concorsuale aperta a tutti gli abilitati all’insegnamento. L’altra metà dei posti, invece, continuerà a essere coperta attraverso lo scorrimento delle graduatorie. Anche i docenti precari, dunque, potranno partecipare al concorso. […] Una scelta importante, che indirizza il sistema verso l’esaurimento delle graduatorie e verso concorsi regolari ogni due anni. Concorsi in cui si vince oppure si perde. Senza code, con possibilità di riprovarci, perché torna la stagione dei concorsi frequenti”.

 

I posti che si renderanno disponibili – si parla di oltre undicimila – saranno reali e risulteranno dalle disponibilità apertesi con i pensionamenti, ma non per tutte le materie: i numeri potrebbero essere molto differenti a seconda delle classi di concorso e delle regioni. Con le riserve già espresse sulla riforma e sulle sue conseguenze, è una scelta ragionevole per cercare di limitare il danno del precariato e nel frattempo di immettere la generazione dei trentenni nel sistema scolastico, altrimenti destinate a starne fuori. Bisognerebbe capire meglio che ne sarà del Tirocinio formativo assistito e dei bienni universitari che preparano all’idoneità, visto che i concorsi saranno riservati ai soli già abilitati e ai laureati del vecchio ordinamento. Il continuo cambio di regole e dei requisiti di ingresso creerà inevitabilmente scontentezza se non ci sarà coerenza e stabilità sul lungo periodo.

 

Valutazione (del sistema educativo). É un tema nei confronti del quale il personale docente ha molte resistenze, in particolare per il timore che diventi un meccanismo punitivo più che premiante, soprattutto se i metodi di valutazione saranno ottusi e poco sensibili; un timore per certi versi giustificato ma per altri frutto di un sospetto generalizzato e di una sfiducia – peraltro meritata – verso la dirigenza degli ultimi anni. Però la valutazione in sé è necessaria nell’ottica di sprovincializzazione dell’Italia e contrapporsi a oltranza all’idea in sé non è una soluzione: il decreto di fine agosto parla di ‘autovalutazione’, il che vuol dire che non limita le procedure soltanto ai risultati complessivi degli studenti degli istituti o alle prove Invalsi. Come altre certificazioni che molte scuole si stanno dando, ad esempio il Marchio S.A.P.E.R.I, può essere uno strumento duttile per adeguare alle scuole e trasformare in risorsa procedure tratte originariamente dal mondo dell’industria e spesso applicate in modo rigido e burocratico. Si tratta di strumenti che possono essere usati con intelligenza per fornire maggior comprensione dei processi complessi, e come tali non sono il fine ma un mezzo: dipende da quale sarà la reale partecipazione e condivisione nelle scuole di tali progetti e quale sarà il loro uso, in relazione anche alla centralità che la didattica assumerà. Restiamo dunque in attesa di ulteriori dettagli.

 

Rumore di fondo. Una delle notizie che accompagna la riapertura delle scuole è la condanna a 15 giorni di reclusione a una docente di scuola media di Palermo che per rieducare un bullo lo aveva costretto a scrivere per cento volte sul quaderno “sono un deficiente”. Per la Corte la professoressa è colpevole “di aver abusato dei mezzi di correzione e di disciplina” fallendo nel “processo educativo in cui è coinvolto un bambino”. Il mezzo è stato ritenuto incompatibile e contraddittorio con i fini che si volevano perseguire: “non può ritenersi lecito l’uso della violenza, fisica o psichica, distortamente finalizzata a scopi ritenuti educativi”. Provo un forte fastidio per tutto questo: innanzitutto titolare “Stop al bullismo dei prof”, come ha fatto “La Stampa”, è davvero imperdonabile: fa sembrare una tragedia nazionale epidemica quello che è un episodio marginale statisticamente irrilevante e rovescia il problema oscurando le vere questioni: il ‘bullismo’ nelle scuole, che è un aspetto del più generale disagio in realtà sempre esistito e molto più diffuso in altri periodi, e l’impotenza educativa, quando non il vero e proprio Burn Out, che caratterizza il ruolo docente in una fase di forte crisi dell’educazione. Il tutto in tribunale: la grande ossessione che sta paralizzando le scuole da anni influenzando scelte e pratiche scolastiche il cui fine è ormai evitare ricorsi e mettersi al sicuro dalla conseguenze legali, sempre più penalmente rilevanti. Non è una bella immagine per aprire l’anno.

 

La collega ha senza dubbio sbagliato: ci sono altri modi molto più intelligenti e efficaci per smontare l’aggressività di un allievo e indurlo a riflettere su comportamenti scorretti o violenti; ma la sanzione è oltremodo esagerata e avrà come effetto solo quello di disincentivare l’intervento dei docenti nelle situazioni critiche o di rinserrare nell’inazione i professori che avvertano in solitudine la fatica del lavoro di educazione. Ma soprattutto: la ‘violenza’ è prima di tutto un problema della società e non della scuola; in quanto tale si ritrova anche nella scuola. Il quadretto che ne fa un luogo di scontro di generazioni, di sopraffazione o alternativamente di redenzione potrà essere scandalistico ed edificante a seconda dei casi, ma non è realistico rispetto alle straordinarie esperienza di incontro, trasformazione personale, crescita, dialogo e incontro che avvengono ogni giorno nelle scuole italiane. Èun quadretto che piace alla stampa generalista e al lettore medio perché permette di scaricare sulla scuola le responsabilità di una società che nel suo insieme ha smesso di essere educante.

 

Geografia del digitale.

Mentre scrivo il ministro Profumo ha annunciato una campagna di digitalizzazione della scuola che prevede la smaterializzazione di molti documenti cartacei e la dotazione di computer per ogni classe e tablet per i professori di quattro regioni del sud. L’obiettivo dichiarato è soprattutto il risparmio di cancelleria e la modernizzazione della comunicazione scuola-famiglia. In attesa di ulteriori specifiche, alcune riflessioni. La direzione è buona e va sostenuta, superando i problemi con le infrastrutture (le reti wireless dappertutto ad esempio) e il cattivo rapporto con il computer che molti colleghi continuano ad avere. Io avrei privilegiato la didattica, dotando tutti di LIM ad esempio, più che non l’amministrazione e il registro elettronico (è la domanda che ci si poneva ieri a Farenheit su Radio 3). Infine: d’accordo di investire sui Tablet proprio nelle aree critiche e problematiche. I beneficiari saranno scuole di Sicilia, Campania, Calabria, Puglia, immagino in base a un progetto di sviluppo per aree economicamente depresse; credo però che la geografia del disagio non sia regionale ma più complessa e diversificata e che le priorità educative stiano anche in molte periferie di grandi città del Nord.

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