Elisir

26 Gennaio 2012

Tra le pieghe della lunga storia che l’uomo ha intessuto con gli alimenti e la natura, la ricerca di uno o più che potessero preservare e prolungare l’esistenza è sempre stata una costante, per quanto sottaciuta o nascosta all’ufficialità della conoscenza. Una ricerca spesso silente ma continua attraverso il tempo, spesa “setacciando il creato” e sempre nel tentativo di allungare i giorni, di aggiungere vita alla vita.
Dentro questo infinito tentativo, ci siamo intrattenuti con alimenti esotici che per un “breve istante” sono stati considerati miracolosi, abbiamo inseguito l’acqua di una fonte cercata in ogni nuovo continente e sempre una serie di composti più o meno estremi per un risultato ancora da venire. Così è stato per cibi improbabili a base di rare spezie e carne di vipera come la triaca medievale - teoricamente in grado di curare ogni male - o alimenti-integratori che potessero restaurare l’umore radicale, ovvero la freschezza della gioventù, o ancora l’oro potabile del Rinascimento, utopia alchemica e rimedio estremo per rendere incorruttibili le carni.
Nessun cambiamento nel presente, almeno non nei sentimenti; ai nostri giorni –mille volte più fortunati e molto lontano da quegli improbabili rimedi – la ricerca e la scelta di sostanze anti radicali liberi non manifestano lo stesso intendimento, non nascondono lo stesso sentimento?

Tra le pieghe accidentate di questa lunga storia, tra i rimedi accidentali o ricercati in cui ci siamo imbattuti, l’infatuazione di un filosofo sembra meritare una pagina a sé. Non un filosofo qualunque bensì George Berkeley, uno degli ultimi maestri dell’Idealismo, colui che per Jorge Luis Borges meglio di chiunque rappresentava quella filosofia, pensatore che più di altri era riuscito nell’intento di negare la materia, di renderla simile a un’illusione in cui potersi perdere (e in cui Borges amava perdersi…).

Di George Berkeley le cronache riportano che si addormentò un’ultima volta sul divano, prima di cena, senza che qualcuno dei familiari se ne accorgesse, ultimi frammenti di una vita apparentemente tranquilla e agiata.
Dentro i momenti increduli e definitivi che seguirono, dentro i gesti e le voci convulse, ci sarà stata anche la bella moglie…
Fissa diritto davanti a sè la giovane Anne Forster, lo sguardo vivo e un destino chissà quanto felice a fianco di un marito di quindici anni più anziano, filosofo, prete, politico e missionario, padre di sette figli con cui le arricchirà e ingombrerà la vita. Così la si vede in un ritratto ispirato e in un quadro - The Bermuda Group del pittore John Smibert – realizzato in occasione del viaggio che Berkeley intraprese per evangelizzare una nuova umanità. Già, era capace di grandi utopie Berkeley, come in fondo è utopia la filosofia idealista di cui fu uno delle principali voci.
In quel viaggio, il sogno è quello di una nuova umanità, una comunità alle isole Bermuda, dove nativi delle Americhe sarebbero stati evangelizzati ai principi di un Cristianesimo che nell’ Europa del Settecento appariva ormai corrotto, decaduto, avvelenato dai tempi e dalle nuove idee.

Singolare figura di studioso quella di Berkeley, irritante come può essere quella di un uomo geniale e fortunato, quella di un ricco prelato inglese che predicava ai Cristiani il timor di Dio, ai poveri irlandesi l’ubbidienza alla propria condizione; come filosofo negava la materia, inesistente perché inconoscibile quando la conoscenza si può avere solo nei sensi e nelle percezioni, quando la “testimonianza” dell’esistenza della materia si ha dalle idee – l’idealismo appunto - che ci facciamo del reale attraverso le percezioni. È su questi presupposti che Berkeley poteva arrivare a chiedersi se facesse rumore un albero che cadendo in una foresta non era visto da nessuno. Lo stesso Berkeley risolveva il paradosso affermando che quell’albero faceva rumore solo perché era Dio a vederlo.
Pensatore appartenuto al “mondo dopo Newton”, al mondo delle leggi della meccanica, dell’esattezza della fisica, ma il mondo di un universo prevedibile non sembra toccare la sua idea di natura e di materia.

 

Eppure Berkeley è anche la dimostrazione che la contraddizione appartiene all’uomo, che la storia di ogni essere umano – uno scienziato, un filosofo - la nostra storia, non può essere riassunta in un percorso lineare. Troppe le eccezioni, le idee abbozzate, gli impulsi vitali che in una vita non risultano associabili ai propri convincimenti radicati o anche solo razionali, fossero questi anche un’intuizione mirabile, fossero anche due o duecento, fosse anche una dottrina costruita e difesa per una vita intera.
Facile vedere che qualunque sia stata la causa, in conclusione fu proprio la materia che lui volle sempre ignorare la ragione della sua fine come quella di chiunque altro. Facile vedere…. ma la più grande contraddizione di Berkeley fu precedente, perché almeno una volta nella sua vita credette in ciò che aveva sempre disconosciuto, credette nella materia, nella materia e in un medicamento che considerò universale. Quel medicamento era la tar, un’acqua di catrame ottenuta dal legno di pino, che aveva conosciuto tra i nativi d’America: fu la tar la sostanza che lo “stregò”, quella la ragione che lo fece riavvicinare agli studi sulla natura, quella infine la medicina che considerava in grado di curare ogni malattia.
Quasi che la materia – per una vita negata – reclamasse la sua vista agli occhi, improvvisamente si trovò a pensare l’acqua di catrame come panacea di tutti i mali, paradosso ed epilogo di una vita spesa sino ad allora a specchiarsi nelle idee, a filosofare su cosa fossero la realtà, la conoscenza e Dio.

 

Possibile che uno dei padri dell’idealismo - la cui idea unificante attraverso i secoli è stata negare l’esistenza della materia - finisse per cercare nell’acqua di catrame vegetale, vale a dire in un distillato di legno carbonizzato, in un “essudato di natura”, il rimedio per dare valore alla vita, per sanare l’esistenza?
L’acqua di catrame non lo salvò da una fine improvvisa, sul divano di casa prima di cena. Quella fine improvvisa, e un Dio benevolo, gli occultarono la sua contraddizione.

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