Dalla Sicilia vista da Vecchioni

12 Dicembre 2015

Nei giorni scorsi hanno avuto vasta eco mediatica le esternazioni di Roberto Vecchioni sulla Sicilia ("un'isola di m..." ) e i suoi abitanti. L'esternazione dalle tinte forti è avvenuta durante un incontro presso l'Università di Palermo organizzato dall'Associazione Genitori e Figli a cui Vecchioni era stato invitato come relatore: "Mercanti di luce, narrare la bellezza tra padri e figli". Pippo Baudo, siciliano illustre e uomo ben navigato nella realtà presente e in quella di un recente passato, ha definito le parole del cantautore milanese come dichiarazioni da "innamorato tradito", credo cogliendo in gran parte nel segno. Il sottosegretario Simona Vicari ha poi risposto citando approssimativamente una testimonianza di Goethe (L'Italia senza la Sicilia non lascia immagine alcuna nello spirito. Qui è la chiave di ogni cosa). Citazione deludente, perché "difesa di maniera" o peggio fatta in cattiva fede dato che la Sicilia "raccontata" da Vecchioni è il presente e altro mondo e altra isola da quella che dal Seicento all'Ottocento rientrava nel Gran Tour, ovvero "l'andata e il ritorno" garantita da parte di giovani e intellettuali facoltosi alla ricerca di ispirazione nei luoghi-culla della civiltà occidentale.

 

 

Dichiarazioni quelle di Vecchioni da innamorato tradito certo... ma c'è da chiedersi anche quanta della sensibilità del docente oltre che dell'intellettuale ci deve essere stata nella sensazione di quel "tradimento" e nell'impulso a pronunciare le frasi che hanno suscitato sgomento, indignazione, ma anche condivisione e approvazione. Credo che ci sia stato anche molto del docente che avverte di avere fallito, almeno quando quest'ultimo si consideri un educatore quanto un operatore della cultura, a volte un intellettuale. Quando cioè – venendo suo malgrado meno ad un'aspirazione del ruolo – sente il fallimento di quanto si è sforzato di trasmettere, dimostrare, testimoniare con le parole, la passione, i propri comportamenti.

 

È dei giorni scorsi il dato per cui i circa i due terzi dei docenti delle superiori sono ultra cinquantenni. Docenti "baby boomers" esattamente come molti dei genitori che hanno ancora figli agli istituti superiori. Si tratta di generazioni vaghe nell'età (nati tra la metà degli anni 50 e gli anni 60) ma accomunate dall'essere cresciute in epoche di relativo benessere quando non benessere tout court ed essere stati adolescenti o ragazzi quando "i giovani" diventavano una categoria sociale, una definizione, anzi un "destino": beat, hippy, dark, metallari, new romantic, hip hop, punk, post punk sono solo alcune "ondate di colore" in cui diverse generazioni si sono descritte sulla verità acquisita di essere giovani come condizione e non come età di passaggio verso l'età adulta. È forse questo il motivo per cui orfani di questa fisiologica "muta" molte di quelle generazioni sono state cattivi educatori, ovvero cattivi genitori. Può essere un caso se da circa una quindicina di anni arrivano alle superiori adolescenti e ragazzi certamente più difficili da educare? Diverse le ragioni, ma tra queste anche il fatto che questi ragazzi sarebbero maggiormente portatori di valori strutturati grazie a genitori che "tutto hanno provato" e tutto credono di aver visto, il benessere diffuso appunto, ma anche il diploma e la laurea "facili", il "sei politico", l'amore libero, il turismo seriale, divorzi e separazioni, lo sballo e le droghe leggere, il terrorismo, la politica attiva e le sue disillusioni, le ideologie e il loro ripudio... ultima la rivoluzione digitale di cui con telefonini e social sono attivi consumatori, emuli e in concorrenza con i figli. Soprattutto la conquista e il "diritto" a rimanere giovani a tutti i costi ha provocato danni ai loro figli... che talvolta possono non aver trovato una guida autorevole, una bussola ma al contrario avere avuto vicino imbarazzanti e ingombranti "coetanei", per gli atteggiamenti, i gusti, le ansie... o perché hanno avuto nei genitori figure loro stesse ancora bisognose di guida.

 

I giorni di "ricevimento generale" che proprio in questo periodo si tengono negli istituti superiori sono talvolta il palcoscenico di figure che farebbero la felicità di Verdone o di Sorrentino: tatuaggi e orecchini su crani glabri e canuti, leggins a strizzare cosce e glutei, jeans sdruciti, taglio di capelli all'ultima maniera, sneakers e stesso sostanziale linguaggio, elementi che confondono insieme genitori e figli, li confondono esteticamente e "antropologicamente" ancor prima che abbia inizio un qualunque dialogo con il docente, il quale può fatalmente realizzare di avere davanti la "rivelazione" del suoi fallimenti con quello o quell'altro studente.

 

È un momento quello di questa "rivelazione" in cui il docente può sentirsi anche disarmato, vinto... Quando è così, difficile resistere alla tentazione di inserire "il pilota automatico" e cedere all'ovvietà. L'ovvietà del registro e dei voti, quella dell'impegno e del non impegno, della programmazione, delle interrogazioni, del lavoro già svolto o della generalità sulla "classe"... Cede all'ovvietà perché la realtà gli restituisce indietro la non rilevanza del suo ruolo, l'impossibilità di un effetto positivo – quale avrebbe immaginato e tentato sul quello studente – e l'impossibilità di aprire un canale di comunicazione con quei padri e quelle madri se non forse con una provocazione, un salto emotivo che scuota dall'ovvietà di quella situazione. Quasi mai il docente tenterà una provocazione (anche solo riportare letteralmente un turpiloquio, le scorrettezze, i piccoli e grande arbitri di cui può essere testimone in classe) perché a quel punto si sarà arreso al proprio ruolo marginale di educatore...

 

Se ha voglia, energie e fantasia, in un sussulto di ribellione e vitalità può tentare quella provocazione e vedere quali sentimenti mette in circolo, quale alchimia di umanità può scaturire a quel punto perché l'incontro tra "educatori ed educati" possa avere finalmente le condizioni emotive di un qualche effetto...

 

Ecco... credo che davanti alla platea siciliana sia quello che ha tentato Roberto Vecchioni; parole e immagini forti come la realtà che aveva visto e che lo aveva offeso come persona. Amante tradito, come finemente ha percepito Pippo Baudo, ma anche docente e intellettuale che si è sentito vinto e offeso...

 

Dall'altra parte della sua provocazione non c'era solo la città di Palermo o la Sicilia ma molto della società che stiamo diventando, inconsapevolmente o meno, con noi spesso muti testimoni, a volte correi silenziosi del brutto che ci circonda, di piccole e grandi sopraffazioni quotidiane, inciviltà, con noi a scegliere il riparo – ma anche l'ovvietà – di vite spese solo nel privato; ormai incapaci di vederci come educatori, restiamo lontani dal desiderio di reagire, di immaginarci in un sussulto di ribellione, in un gesto, una testimonianza in grado di mettere in ciclo sentimenti, unica alchimia per la quale educatori ed educati si incontrano davvero. È di questo che bisogna ringraziare Roberto Vecchioni... come soprattutto bisogna ringraziare tutti i docenti (e i genitori) che non si arrendono, che non si sono arresi...

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