Costruire la virtualità

18 Dicembre 2015

Tutto cominciò con Il teatro e il suo doppio di Antonin Artaud (1938), in cui fu coniato il concetto di “realtà virtuale” per esprimere la strategia di evitamento degli eventi spiacevoli da attuarsi nella fuga in altri mondi, possibili e impossibili. C'è stato un tempo in cui la realtà virtuale era solo nei film, primo tra tutti Tron (1982), diretto da Steve Lisberger, e ora tutto è a portata di mano con la piattaforma Google Cardboard e i video a 360 a gradi di YouTube.

 

Cardboard, il visore di cartone

 

Cardboard è un visore compatibile con gli smartphone, lanciato durante il 2015, proposto in varie forme e materiali. Il modello basic è costruito con cartone ondulato, un materiale ecocompatibile usato per l'imballaggio, della tipologia a onda singola in misura E, la stessa dei contenitori per la pizza, scelta perché molto sottile e facile da piegare. Infatti, diversi visori sono venduti in kit fai da te molto economici, propagando la democratizzazione della realtà virtuale soprattutto attraverso la condivisione dei templates per la produzione di Cardboard a opera di terzi, aprendo le porte a nuove opportunità di mercato nell'ambito degli accessori per gli smartphone. Le mobile app disponibili per la piattaforma Cardboard sono principalmente giochi, immagini, visualizzatori di video, e pubblicità come la sfilata di 7 For All Mankind, o i test drive di Volvo e Mercedes. L'uso più semplice di Cardboard rimane comunque la visione dei video a 360 gradi sull'app android di YouTube, raccolti in un canale dedicato, basta solo inserire il cellulare nel visore e scegliere il video da guardare. In mancanza del visore si può sopperire con l'accelerometro, mentre da computer basta avere il browser Chrome e cambiare le angolazioni con la tastiera.

 

Mike Shinoda, aka Fort Minor, e il suo murale

 

Come affermato da Google stesso, la piattaforma Cardboard rappresenta la realtà virtuale accessibile, lanciando una non tanto velata frecciatina nei confronti di Oculus Rift, il corrispettivo di alta gamma di proprietà Facebook che, dal canto suo ha risposto il 23 settembre 2015 con il debutto social dei video a 360 gradi, sfruttando una delle più attese uscite cinematografiche di quest'anno, Star Wars: The Force Awakens, pubblicando una clip che permette all'utente di scorrazzare nel deserto di Jakku. Per assicurarsi un'esclusiva così importante, Facebook sfrutta l'autoplay dei video, mirato ad assicurare anche le visualizzazioni “inconsce”, e una recente modificazione del suo algoritmo attuata per fare spazio ai contenuti audiovisivi. Inoltre, non bisogna tralasciare la natura feed-based del social network, che letteralmente bombarda l'utente con una quantità impressionante di notizie, desiderate o meno, immergendolo in un flusso senza fine. L'esperienza virtuale immersiva implica il dissolvimento della linea di confine tra spazio reale e finzionale, ma Cardboard rimane, almeno per ora, il più tangibile tra i visori, e paradossalmente convoglia nel sistema percettivo più realtà, più immersività, proprio perché si costruisce.

 

Shinoda polistrumentista

 

La pratica di costruire qualcosa, in questo caso un'opera d'arte, è proposta all'interno del video a 360 gradi dell'ultima canzone di Fort Minor, aka Mike Shinoda, co-fondatore dei Linkin Park, intitolata Welcome, che insieme a Waiting For Love di Avicii e Stonemilker di Björk, è tra i primi esperimenti nella direzione dell'immersività musicale. Nel corso del video è mostrata la genesi di un murale di 15 metri, dipinto da Shinoda grazie all'arte della bomboletta, introducendo per analogia l'atto della composizione musicale che, insieme ai graffiti, si configura quale strumento di auto-affermazione. Il Mike Shinoda solista si diletta a suonare più strumenti e ciò è espresso chiaramente nell'ultima parte del video, dove il murale è terminato e disposto in maniera circolare, innescando un'anafora plastica delle riprese sferiche, circondando i molteplici Shinoda che suonano quattro strumenti diversi attorno al centro vuoto della scena. Lo spettatore può vedere un solo Shinoda alla volta in relazione all'angolazione scelta, in modo da attribuire al cantante il ruolo che deve interpretare in quel preciso istante. La proposta di senso della canzone si riferisce a uno stile di vita coerente, senza compromessi, dove l'anima è tenuta in salvo, mirato a raggiungere i risultati solo basandosi sul duro lavoro. La ricognizione sociale come artista realizzato è giunta per Shinoda dopo anni di tentativi ed è esplicitata nella scena della festa sulla spiaggia, con annessi selfie di rito che servono a rimanere sulla cresta dell'onda degli hashtag. La ricognizione sociale è, dunque, virtuale e reale, e Shinoda intende esplicitare come il social networking ha cambiato l'esperienza degli eventi dal vivo, anche se la pratica della condivisione dei contenuti in tempo reale apre a nuove forme di intimità e di immediatezza, generando diverse relazioni di reciprocità. Lo sguardo tecno-estetico nei confronti dell'opera d'arte e la sua esplorazione attraverso la realtà virtuale può frammentare l'esperienza artistica? I critici risponderanno ovviamente sì, ma se pensiamo all'illusione referenziale di Roland Barthes allora siamo coscienti che è solo un modo per proiettare il pubblico in un non qui e in un non ora, dal punto di vista percettivo, cognitivo e tattile.

 

La festa sulla spiaggia a Venice Beach: Shinoda fa un selfie con Lorenzo Errico, manager dei Linkin Park, che interpreta un cameo nel video

 

È la trasposizione tecnologica dell'ipotiposi, una strategia discorsiva che usa un descrizione impattante per suscitare emozioni, per far vedere e sentire qualcosa altrimenti irraggiungibile. In effetti, Shinoda mostra l'altra faccia della California, di Venice Beach, la location del video, dove non ci sono solo persone felici che ballano in spiaggia, ma anche coloro che sono invisibili e non integrati nella società dei selfie. Si tratta delle minoranze etniche, ed esplorando il video possiamo entrare in contatto con i volti di chi ne fa parte e visitare i luoghi che frequentano, negozi e ristoranti, perché Mike Shinoda, un outsider, sente di farne parte data la sua discendenza giapponese, dimostrando un'empatia tale da sceglierli come soggetto del suo murale. Shinoda è conscio della frammentazione dell'esperienza artistica dato che sceglie come superficie del suo murale le copertine in plastica per dischi di vinile, col fine di dividere l'opera d'arte e poi distribuirla al pubblico. In questo modo crea e distrugge allo stesso tempo, poiché lo scopo ultimo dell'artista è condividere il suo artefatto, consentendo a tutti di esperirlo, proprio come accade con Cardboard. Non possiamo avere a casa un pezzo della Gioconda, ma solo osservarla alla buona distanza impostaci al Louvre. Assicurarsi un tassello di un murale autografato dall'artista è decisamente un forma di socializzazione dell'arte, fatta per tutti, alla portata di tutti. Per questa ragione arte e musica sono performate per strada, inglobando lo spirito della città: non si tratta di un'interpretazione astratta del mondo, ma di un punto di intersezione tra lo spazio urbano e il cyberspazio, tra presente e assente. Ognuno può far parte dell'esperienza. Arte e musica sono in movimento, dinamiche, culturalmente situate, il pubblico può toccarle e saltarci dentro, muovendosi mentre persone e oggetti nel video fanno lo stesso. Qui si può vedere l'arte come processo, nel momento del suo farsi, così da incarnare l'intenzione dell'artista e il significato della suo opera, amplificato dalla canzone.

 

La rivincita degli outsider

 

Si tratta di conoscenza pura, piena condivisione dell'universo di senso, dove i primissimi piani di Mike Shinoda stabiliscono la rimediazione della comunicazione faccia a faccia, a dispetto del rischio dell'astrazione dalla realtà. Inoltre, è anche un modo ironico di veicolare senso, proponendo una vera e propria passeggiata tra significanti e significati: tatto, vista, udito, sono i tre sensi su cinque convocati in questa esperienza, insieme alla cinestesia, alla percezione del movimento. Lo spazio virtuale è interattivo e manipolabile all'interno della nostra realtà, indossando il visore tali sensazioni sono magnificate perché il nostro campo visivo è limitato a quello del video per opera del visore. I video a 360 gradi significano attraverso la manipolazione dello spettatore finale, il cui diritto di scegliere accresce il potere della struttura narrativa e legittima la sua autorialità. Il punto di vista veicola un'illusione referenziale, mentre incrementa l'esplorazione degli aspetti della realtà. Lo spazio del video di Welcome è allo stesso tempo agito e interagito, è una pratica che attribuisce senso all'oggetto sollecitato in maniera cinestesica dalla percezione, usando una forma di comunicazione olistica. Non è un mondo possibile di Leibniz o di Eco, neanche una semplice realtà virtuale, è il mondo stesso, dentro cui ci stiamo immergendo. I diversi semi spaziali di mobilità, euforia e tensione convocano una dimensione immersiva in cui lo spettatore esperisce una fascinazione cinetica e patemica dovuta alle armonie dense del ritmo. L'illusione referenziale generata dall'immersività crea senso, ma soprattutto valore, e Mike Shinoda ha tratteggiato queste linee e noi tutti le abbiamo riempite.

 

 

Video a 360 gradi di Welcome

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