God Bless America

4 Febbraio 2016

Nella politica è onnipresente. Ma la frase rituale “God bless America”, usata dai leader americani per concludere pressoché ogni discorso pubblico, è un’illusione artificiosa, con soltanto pochi decenni di vita. Tirata fuori dal cilindro di Ronald Reagan negli anni Ottanta, e passata in eredità a tutti i suoi successori, fino ad essere adoperata strategicamente, e sistematicamente, dalla presidenza Bush dopo l’11 settembre. Un propellente patriottico da imbonitori.

 

A leggere certi commentatori italiani, quel “Dio” usato a sbafo sembrerebbe la prova di un orgoglio inamovibile per le proprie radici cristiane, testimoniato da quell’invito senza vergogna affinché il Paese dell’atomica, delle carceri privatizzate e di Kissinger venga benedetto dall’alto dei Cieli. Qualcosa che un’Europa troppo pavida e laicizzata dovrebbe imitare e includere nella propria Costituzione.

 

Ma la realtà è un’altra: il “Dio benedica l’America” è un fenomeno del tutto contemporaneo. In un’inchiesta del 2008 sul Seattle Times, gli studiosi di comunicazione Dave Domke e Kevin Coe fecero un po’ di conti: in 15.000 discorsi di leader politici a partire dall’elezione di Franklin Roosevelt nel 1932 fino al sesto anno di presidenza Bush, la frase è stata usata prima di Reagan soltanto una volta: il 30 aprile del 1973, quando Nixon concluse un discorso sul Watergate.

 

La formula così come la conosciamo oggi venne creata dall’ex governatore della California Ronald Reagan nel 1980, quando accettò ufficialmente la candidatura alle primarie repubblicane. Ronald, con un passato di attore a Hollywood, era già famoso per il suo carisma in pubblico, ma quel giorno balbettò le ultime parole, tentando un esperimento mai provato prima: “Possiamo iniziare la nostra crociata… uniti insieme… in un momento di preghiera in silenzio?” Per 13 secondi la folla riunita a Detroit, che fino ad un attimo prima esplodeva in risate e ovazioni scrocianti, stette davvero zitta, e quando il futuro inquilino della Casa Bianca – colui che avrebbe assestato gli ultimi colpi di grazia all’Urss e venduto segretamente armi all’Iran – riemerse dall’estasi religiosa, si udirono quelle tre paroline magiche. God. Bless. America. Applausi.

 

Il senso dello slogan non fu colto immediatamente dai media americani, ma gli strateghi del Gop si strofinarono le mani quando arrivarono i dati elettorali: i potentissimi evangelici, che in precedenza avevano votato in massa per Jimmy Carter – un santone per i liberal, che aveva giurato nel 1976 di essere “rinato” cristiano – si spostarono convinti verso i conservatori. E fu così che il partito repubblicano avrebbe sposato per i trent’anni successivi la retorica della Divina Providenza, dell’Isola di libertà, del “rifugio per tutti”. Il concetto di Eccezionalismo amalgamato all’idea di una “Nazione al di sotto di Dio”.  È curioso vedere come questa riscoperta religiosa sia stata accettata passivamente dai liberal italiani – spesso di formazione laica e radicale. Forse perché il fondamentalismo americano è considerato più innocuo di altri e in definitiva propedeutico per l’etica capitalista? In ogni modo, la relazione sullo Stato dell’Unione del 1984 fu la prima a concludersi con il Dio benedicente, e da allora nessun politico, o quasi, se lo sarebbe risparmiato. I repubblicani vinsero le elezioni pure nel 1988 – un ciclo di 12 anni alla White House non si vedeva da tempo immemorabile – e sia Clinton che Obama capirono che per assicurarsi il voto evangelico c’era da sottoporsi a una serie di rituali e test che ai tempi di John Fitzgerald Kennedy, che pure era cattolicissimo, sarebbero stati impensabili. Da una media di 47 menzioni di “Dio” su 100 discorsi pubblici al tempo di Roosevelt si passò ad una percentuale talebana del 90 su cento nel periodo tra Reagan e Bush junior.

 

Arrivato sulla scena politica mondiale tra il 2007 e il 2008 con il nome di Barack, il middle name Hussein, e voci che lo volevano mussulmano e addirittura privo di documenti di nascita validi per l’elezione, Obama fu assoggettato al conformismo bigotto per tutta la durata della sua prima campagna: ripreso malignamente da molti commentatori per non indossare tutti i giorni la spilletta a stelle e a strisce sull’occhiello della giacca, dovette prima giustificarsi e poi ritrattare, finendo col contraddirsi. In seguito non avrebbe fatto mancare ossequiose citazioni della Bibbia – per coccolare la sua base afroamericana del Sud – e pure circa il “God bless America” si sarebbe accomodato sulla pigra strada della tradizione. Nemmeno l’ultimo State of the Union ha fatto eccezione, e a questo punto c’è da pensare che il motto sia uscito dal campo della propaganda per entrare in quello della scaramanzia, come se rivolto ad un Paese che starnutisce compulsivamente. Ma che differenza con le parole concluse Warren Harding il suo discorso nel 1921: “Non è da escludere la realizzazione di un mondo assai soddisfacente”. Non c’è dubbio che in tivvù non avrebbe funzionato. 

 

Il linguaggio politico si semplifica, i cittadini grazie ad un sistema economico che s’innerva in ogni fase della loro esistenza vengono trattati da scolaretti delle elementari, e dai discorsi scompaiono toni aulici, ricercati, finemente letterari. Nemmeno le chiese sopravvivono al capitalismo - ne chiudono 3.500 l’anno negli Stati Uniti - e l’influenza dei ricchissimi e generosissimi evangelici, sempre proni a donazioni caritatevoli e attività di lobbying, ha subito una dura battuta d’arresto nel 2012, quando fu sconfitto il loro candidato, il mormone Mitt Romney. Ma non fu solo merito degli agnostici e degli atei, sempre più numerosi in America, e di un sentire comune sempre più orientato alla tolleranza pragmatica – accettazione del matrimonio omosessuale e delle droghe leggere, rinuncia al conflitto economico e di classe. Dio è sempre presente, anche se con altre denominazioni, pure tra le comunità nere protestanti più prolifiche e negli immigrati di origine africana e latina. Il Signore ha scelto missionari meno bianchi e ha un po’ più d’imbarazzo a farsi vedere, eppure resta ben presente nel cuore di un Impero dalle ali un po’ spennate e di una società sempre più secolarizzata, e sa che la classe media o aspirante tale ha bisogno di apostoli tranquillizzanti.

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