Benedetto contro Francesco?
Sono ormai dieci anni, da quando Jorge Mario Bergoglio è stato eletto al Soglio Pontificio, che l’apparato informativo e mediale vuole convincerci che è in atto un duro scontro all’interno della Chiesa Cattolica tra una visione conservatrice dell’ex papa Benedetto XVI e una progressista del nuovo papa Francesco. Uno scontro che, se non risolto, potrebbe addirittura portare a uno scisma.
Da una parte, ormai è noto come la comunicazione informativa nella platform society attuale riesce a stimolare l’attenzione delle audience solamente se polarizza il più possibile le posizioni in campo; dall’altra, effettivamente non si può negare l’esistenza all’interno della Chiesa di posizioni conflittuali su quale dovrà essere in futuro la sua identità e azione del mondo. Il problema è come interpretare questi conflitti e soprattutto il concetto di tempo (passato-presente-futuro) quando li applichiamo al cattolicesimo. Quello che sicuramente non va fatto è considerare le diverse visioni che confliggono all’interno della Chiesa alla stregua di partiti politici di uno Stato democratico o fazioni di un Consiglio di Amministrazione che si basano sui sondaggi mensili delle intenzioni di voto o sull’andamento dell’azienda in borsa. Quando nella Chiesa si parla di futuro l’orizzonte può essere sicuramente anche quello a breve-medio termine del posizionamento politico in vista dell’elezione del prossimo Papa, ma è sempre, e soprattutto, quello a lungo e lunghissimo termine della parusìa, della seconda e definitiva venuta di Cristo. Insomma, se si vuole comprendere veramente lo scontro in atto oggi all’interno della Chiesa non ci si può limitare a “presentificarlo” e a ridurlo semplicemente al duello Benedetto contro Francesco (Meltemi, 2022). Ed è proprio questo il titolo che, provocatoriamente, Fabio Tarzia ha dato al suo ultimo libro, aggiungendo però il significativo sottotitolo Una storia dei rapporti tra cristianesimo e media, dove le parole chiave sono appunto “storia” e “media”.
Se osservato attraverso i tempi lunghi della Storia, il conflitto Benedetto-Francesco non è altro che l’ultima tappa di uno scontro tra visioni contrapposte rispetto al messaggio cristiano che addirittura già si può rilevare all’interno dei Vangeli e che ha nei media uno dei paradigmi più importanti. Va qui precisato che Tarzia si rifà alla concezione mcluhaniana che vede i media come strumenti che costruiscono o rimodellano, da una parte il nostro apparato cognitivo-percettivo, dall’altra lo spazio esterno. I media non sono semplicemente mezzi di comunicazione ma veri e propri ambienti che si abitano. Pertanto, provare a comprendere oggi l’opposizione tra Benedetto e Francesco vuol dire collocarla all’interno dei tempi lunghi della storia analizzando come la versione specifica di apostolato e Apocalisse offerta da Cristo duemila anni fa si declina storicamente in base all’evoluzione dei media e degli spazi (fisici, sociali, politici) che essi contribuiscono a costruire.
Da questo punto di vista allora già nel Vangelo di Marco troviamo le basi di quella concezione chiusa ed esclusiva della Chiesa che oggi attribuiamo a Ratzinger; una visione apocalittica frutto dell’immediatezza dell’oralità perché convinta dell’imminenza della seconda venuta di Cristo. E già nel Vangelo di Luca invece troviamo l’altra visione, quella bergogliana, aperta ed inclusiva che colloca la parusìa a data da destinarsi e quindi non può che mondanizzarsi, aprirsi spazialmente al mondo, produrre radicali strategie di apostolato di lunga durata che non possono che basarsi sui tempi lunghi della scrittura. Addirittura, in Matteo si può riscontrare un compromesso tra le due posizioni precedenti.
Tarzia, lungi dal considerare questa antinomia primigenia come un difetto originario e insanabile del sistema cristiano, la vede invece come il suo vero punto di forza, quello che ha permesso alla Chiesa di sopravvivere negli ultimi duemila anni alle invasioni barbariche, all’espansionismo islamico, agli scismi e all’avvento della modernità; e di gestire con successo l’evoluzione mediale senza subirla passivamente ma addirittura utilizzandola per i suoi interessi a seconda delle differenti circostanze storiche. Aver incluso, sebbene in maniera oscillatoria e conflittuale, oralità, scrittura e, successivamente, immagini ha permesso al cristianesimo di consolidarsi, rispondere alle emergenze della Storia e trovare una mediazione tra i possibili eccessi insiti nel messaggio cristiano stesso: tra rigidità teologica della norma e prassi della vita quotidiana del credente che dipende dalle circostanze; locale (le piccole comunità ecclesiali) e globale (l’Impero Romano prima e poi l’espansionismo coloniale e la globalizzazione); visione apocalittica e visione mondana; chiusura comunitaria per preservare l’identità originaria e apertura apostolica per adattare il messaggio al progresso o ad altre culture e latitudini; centro istituzionale e periferie missionarie, etc.
Quando, dopo la caduta dell’Impero Romano, la Chiesa si troverà accerchiata e minacciata dalle popolazioni barbariche, per sopravvivere si inventerà il modello di piccole comunità chiuse, esclusive, impegnate a mantenere un’identità ben definita attraverso la rete dei monasteri benedettini; una chiusura basata essenzialmente sull’oralità primaria che però, attraverso l’uso delle immagini e lavorando silenziosamente sulla scrittura nel chiuso delle biblioteche, si stava già preparando alla prima timida apertura dell’epoca francescana. E quando, qualche secolo dopo, una Chiesa ormai ricca e potente si troverà di fronte alla tragedia dello scisma luterano sarà pronta a rispondere con la grandiosa apertura spaziale e multimediale rappresentata dalla Controriforma e dai Gesuiti.
E quindi, tornando al titolo libro, Benedetto contro Francesco, è volutamente fuorviante se lo si prende alla lettera. Analizzati con la lente della Storia, sono ambedue papi legittimamente cattolici che utilizzano concezioni di apostolato diverse, entrambe da sempre previste all’interno del Cristianesimo.
La vera posta in gioco è un’altra e Tarzia le dedica l’ultimo capitolo del libro. Per rispondere e provare ad adattarsi alle nuove e radicali sfide che a partire dagli anni ’90 del ‘900 la mediasfera digitale ha lanciato alla millenaria Chiesa Cattolica è più efficace il modello Benedetto o il modello Francesco? Lasciando da parte la contingenza, i rancori pubblici di Padre Georg, le lamentazioni opposte di qualche vescovo americano o tedesco e i vari scandali (pedofilia, corruzione, pubblicazione di documenti riservati, etc.) che hanno caratterizzato la Chiesa negli ultimi anni, è in realtà sulla sua sopravvivenza di fronte ai nuovi violenti processi di secolarizzazione, globalizzazione e disintermediazione prodotti dai media digitali che si gioca la vera partita. Qui Tarzia, dopo aver analizzato gli ancora goffi tentativi della Chiesa Cattolica di “digitalizzarsi” (ad esempio con il grande progetto del portale Vatican News che non sembra avere molto successo), in realtà non si arrischia a dare una risposta a questa domanda anche se, leggendo tra le righe e nonostante una inclinazione per il modello Francesco, sembra emergere un certo pessimismo sul futuro della Chiesa. E questo si deve essenzialmente a uno specifico elemento di natura mediale: la centralità, fin dalle origini, della scrittura per gestire e tenere sotto controllo le tante oscillazioni (teologiche, spaziali, politiche, mediali) che hanno caratterizzato la Chiesa negli ultimi duemila anni. “Ognuno dei quattro Vangeli mostra un suo specifico profilo nel quale predomina di volta in volta l’aspetto apocalittico o quello mondano o entrambi in modo dialettico. Ognuna di queste direzioni comporta un diverso e specifico trattamento mediale, l’invenzione cioè di un sistema che, posta la centralità cardine della scrittura, decide a seconda dei casi di spingere verso un diverso equilibrio-rapporto rispetto all’oralità primordiale”. “Il nascente cristianesimo ha infatti bisogno di stabilizzare la propria identità ma senza perdere la primordiale multimedialità […] La scrittura, posta a sorreggere il nuovo sistema mediale, salva tale complessità e contemporaneamente dà al tutto un senso nuovo”.
Quindi, un pensiero apocalittico da una parte e uno mondano dall’altra; che corrispondono alla chiusura oppure all’apertura al mondo; che a loro volta prevedono, come lo chiamerebbero gli esperti di marketing, un mix mediale diverso; con alla base però la scrittura come medium stabilizzante. Nel pensiero apocalittico la scrittura chiude lo spazio del credente nei contorni definiti e rassicuranti della pagina diventando uno strumento di catalogazione, distinzione, normazione, introspezione (il credente deve purificare sé stesso ed essere pronto alla seconda venuta di Cristo). E qui ci sono le dense pagine che il libro dedica a Sant’Agostino e a San Benedetto fino ad arrivare all’altro Benedetto, quello XVI, che, come sappiamo, parlava poco e scriveva molto ed era cresciuto nelle università teologiche tedesche che negli anni ‘30-’40 del ‘900 erano imbevute di pensiero agostiniano e pascaliano. Ma la scrittura può essere anche il medium dell’apertura al mondo, un medium anti-apocalittico, ad esempio nella casuistica dei gesuiti. La casuistica è sempre una forma di catalogazione e normazione ma ha la funzione di aprire, di salvare tutti, di universalizzare la salvezza ovviamente depotenziando moltissimo la funzione dell’Apocalisse vera e propria. Ed è su questa versione che si collocano le varie “aperture” ai gay, ai divorziati, agli atei del Papa (non a caso gesuita, spesso lo si dimentica) Francesco.
Che si tratti di una Chiesa chiusa o aperta, quindi, l’importante è che ci sia un medium come la scrittura capace di stabilizzare ed evitare che le tendenze più estreme di queste due posizioni superino il limite. La visione più chiusa, dominata dalla scrittura, deve comunque incorporare un piccolo tasso di multimedialità altrimenti si smarrirebbe la natura apostolica e universalistica del cattolicesimo. E la visione più aperta e spettacolare, quella gesuita ad esempio, non può fare a meno della funzione centripeta della scrittura altrimenti la sua estrema multimedialità produrrebbe un universalismo talmente estremo che si perderebbero poi i segni identitari di ciò che vuol dire essere cattolici.
Fino al Concilio Vaticano II, secondo Tarzia, il sistema sembra reggere. Anche nella mediasfera elettrica, seppure con molte difficoltà, la scrittura riesce a ritagliarsi il suo ruolo e autonomia, a distinguersi dagli altri media a ribadire la sua funzione stabilizzante. Ma oggi, nell’era digitale, essa è stata totalmente incorporata nelle nuove logiche e forme mediali. È diventata ibrida (il discorso scritto è ormai contaminato con testi, immagini, video, emoticon, parti vocali), è praticata contemporaneamente alla lettura, è sempre più dialogica e orizzontale. Oggi rischia cioè di non essere più capace di mediare tra le tendenze centrifughe della Chiesa rappresentate dai seguaci di Benedetto e Francesco. E, se fosse vero, il titolo del libro non sarebbe più una provocazione ma una deriva in atto non più frenabile.