Cospirazione animale
Tom Regan ripeteva spesso che i grandi movimenti di pensiero attraversano tre fasi: la ridicolizzazione, la discussione, e l’adozione. La questione animale non è più ormai ridicolizzata (beh, almeno in ambito filosofico), e se i suoi termini non sono ancora stati pienamente adottati, è per lo meno assai discussa. Tuttavia, con questa accettazione, per quanto instabile e precaria, arriva anche una sorta di “stagnazione”, un circolo vizioso in cui azione e argomentazione si impantanano: negli ultimi 50 anni sono stati pubblicati più libri e saggi su questi temi che nel resto della storia della scrittura, ma tutta questa elaborazione teorica, complessa, conflittuale, spesso anche contraddittoria, rischia di diventare autoreferenziale e di girare a vuoto su se stessa. Come con ogni proposta etica, tanti sono gli angoli morti dell’antispecismo, tante le contraddizioni, ed è questa zona grigia che Marco Reggio ha deciso di esplorare nel suo Cospirazione animale. Tra azione diretta e intersezionalità, (Meltemi, Milano, 2022).
Reggio viene dall’attivismo antispecista ma è anche un teorico preparato e raffinato ed è quindi in grado di mettere il dito sui problemi e le contraddizioni sia della prassi che della teoria (che in ultima analisi non sono separabili). Negli ultimi anni Reggio ha lavorato incessantemente per introdurre in Italia una serie di prospettive – dalla teoria queer all’ecofemminismo, dai race studies ai disability studies – che hanno arricchito e complicato l’ortodossia antispecista e hanno in gran parte contribuito alla “svolta politica” che nell’ultimo decennio ha investito e trasformato l’etica animale e anche le pratiche di liberazione.
Questa è dunque la prospettiva che adotta nella sua analisi di alcune delle contraddizioni che si trova a vivere come attivista e come pensatore: orgogliosamente politica e marcatamente intersezionale, consapevole cioè che la questione animale non si riduce a principi astratti ma investe ogni aspetto del vivere comune, e lo fa intrecciandosi in modo inestricabile con le altre forme di oppressione che marcano le nostre società, dal sessismo al razzismo, dalla transfobia all’abilismo all’ageismo.
L’intento del libro è di “mettere alla prova” l’antispecismo con alcuni dei problemi con cui si trova inevitabilmente a cozzare, e la strategia adottata è la “deriva” situazionista (i capitoli si chiamano appunto “derive”), un esercizio sperimentale che volontariamente decide di smarrire la “retta via” e di lasciarsi portare dalla corrente del pensiero per meglio districarsi nel labirinto del presente. Le “derive” del libro sono comunque coerenti e ben strutturate (Reggio è uno scrittore abile, a un tempo complesso e articolato ma anche chiaro e didattico): partono tutte da un episodio o una situazione vissuta dall’autore per portarne alla luce il nocciolo problematico, che viene poi analizzato, illuminato, interrogato – senza mai però cadere nella trappola della ricerca di un punto di arrivo (di un “porto sicuro”).
Alle domande che l’antispecismo solleva e alle contraddizioni in cui inevitabilmente si impantana non esistono risposte facili o soluzioni “sicure.” Questo non vuol dire che le questioni sollevate debbano essere abbandonate (in etica non esistono mai risposte o ricette facili) ma piuttosto che l’unica via praticabile è quella di “stare nella contraddizione”, di accogliere l’imperativo morale accettandone tutti gli aspetti problematici e insolubili.
La prima “deriva” è in questo senso paradigmatica, in quanto si centra sull’“imbarazzo” generato proprio dalle inevitabili contraddizioni della prassi. L’episodio da cui parte è l’assassinio di Agitu Ideo Gudeta nel dicembre del 2020: Gudeta era una migrante di origine etiope impegnata nei movimenti ambientalisti contro il land grabbing (per questo aveva lasciato l’Etiopia) e che in Trentino aveva creato un allevamento di capre che adottava metodi “naturali”, “ecologici” e “felici”.
Il sostegno umano alla storia di emancipazione dal colonialismo, dal razzismo e dal sessismo che questa donna rappresentava, insieme all’impostazione “ecologica” e “progressista” del suo allevamento, si intreccia però alle critiche all’ideologia della “carne felice”, della “cura” e dello “slow food” che anche la sua azienda incarnava e che mascherano lo sfruttamento dietro un’aura ecologista e progressista; ma questo scontro solleva anche interrogativi sul cortocircuito tra eurocentrismo e antispecismo e sulla violenza epistemica delle narrazioni dominanti (comprese quelle di emancipazione). Da questo groviglio, in cui Reggio accompagna il lettore “alla deriva”, non è possibile districarsi, ma l’importante è stare nella contraddizione e accettare l’imbarazzo per poter comunque instaurare una discussione e un dialogo.
La seconda “deriva” è, se possibile, ancor più problematica, in quanto cerca di illuminare la contraddizione tra l’opposizione alla sperimentazione sugli animali e l’innegabile fatto che, nelle nostre società, molti soggetti disabili (o “disabilizzati”) da questa sperimentazione dipendono. La critica al potere “mitico” della scienza medica, che spesso e volentieri sfrutta la disperazione dei gruppi di genitori di soggetti disabili, non può portare a sottovalutare né questa disperazione né la dipendenza dei soggetti da questo sistema.
La critica, dunque, deve indirizzarsi sia alla “norma sacrificale” della scienza sia alla costruzione della disabilità nella nostra cultura abilista. Anche la terza “deriva” si centra poi sulla costruzione culturale e sociale del corpo abile e disabile per criticare più a fondo la performatività del concetto di “specie,” che finisce per escludere non solo i non umani, ma anche molti soggetti che biologicamente umani lo sono. La “guida” in questa “deriva” è un’opera di finzione, il romanzo di Indra Sinha Animal’s People, che porta il lettore alla deriva a mettere in questione le gerarchie e le discriminazioni strutturate attorno al possesso di alcune capacità ritenute essenziali (a partire dalla postura eretta).
La quarta “deriva” costituisce forse il perno attorno a cui ruota tutta la proposta pratico-teorica di Reggio, in quanto si centra sulla questione della “voce” dei non umani e su come l’attivismo antispecista debba rapportarsi all’“agentività” (agency) dei soggetti in difesa dei quali si schiera. La questione dell’“agentività” e della resistenza dei non umani allo sfruttamento e all’oppressione – ormai un punto inaggirabile del dibattito etico, che Reggio esplora con intelligenza – mette in questione uno degli assiomi del primo attivismo in difesa degli animali, quello di “parlare per i senza voce”, che ancora tinge di pietismo e paternalismo tanta retorica animalista. Come sostiene da tempo una parte importante dell’ecofemminismo, se decidiamo di mettere un freno al nostro egocentrismo umano e di metterci all’ascolto dell’altro – anche nonumano – non è poi così difficile interpretare e comprendere quello che ha da dire. (Il problema è precisamente che non vogliamo sentire.) Il compito dell’attivista diventa allora non quello di parlare al posto loro, ma di farsi invece complice della loro lotta, in una “cospirazione” multispecie (da qui il titolo del libro) in cui l’inaggirabile privilegio umano (come anche del soggetto bianco, maschio, cisgender, adulto, normoabile) può essere assunto come facilitatore della parola altrui. Senza mai dimenticare però l’imbarazzo e il turbamento che sempre accompagnano il posizionamento e lo sguardo antispecista.
La quinta “deriva” conclude il libro (che non si conclude, anzi, apre la via a tante altre possibili derive del pensare e dell’agire) con una riconsiderazione del classico scontro tra ambientalismo e antispecismo. Fin quasi dall’inizio, i termini del disaccordo – che ha spesso e volentieri assunto toni molto duri – si sono centrati sul fatto che l’antispecismo si occupa di animali in quanto soggetti dotati di autonomia, mentre l’ambientalismo li prende in considerazione solo in quanto membri di una specie – ad eccezione, ovviamente, dei soggetti umani. Quest’“eccezione sovrana” non è però più sostenibile, e la crisi climatica in cui ormai affondiamo fino al collo costringe a un ripensamento radicale (per quanto ancora assai difficile) delle posizioni ecologiste: se, come auspica Reggio, è ora di fare pace con l’ecologia, non è però possibile pensare la crisi ecologica e sociale se non si mette in discussione lo sfruttamento animale e l’antropocentrismo. Che da solo non spiega nulla, ma senza il quale nessun progetto emancipativo sarà mai radicale.
Contro l’eccezionalismo umano che ancora tinge tanta ecologia non basterà mai ripetere che anche noi umani siamo animali, con un impatto immensamente maggiore degli altri sugli equilibri ecologici del pianeta; ma in quanto animali possiamo anche scegliere di essere complici e di partecipare alla cospirazione animale che quest’eccezionalismo e questa crisi cercano di combattere. Questo messaggio, con cui il libro si chiude, non risolve nessuna delle tante contraddizioni che esistono e sempre esisteranno nella prassi antispecista, ma propone certo un piano d’azione per perseguire, pur nella contraddizione, un progetto concreto di liberazione.