Santo Stefano Belbo, 22, 23, 24 luglio e 5 agosto / Ho creduto che l'isolamento fosse la felicità

20 Luglio 2016

 

Nelle pagine dei suoi romanzi e racconti , nel diario, nelle lettere Pavese ha disegnato immagini di luoghi- Santo Stefano Belbo, le Langhe - e ha ritratto figure umane che in quei luoghi erano di casa o che da essi si erano allontanati per poi ritornarvi. Questi luoghi e quelle facce appartengono ormai alla nostra memoria, hanno assunto tratti quasi mitologici; Pavese, come è accaduto ad altri grandi artisti, vive oggi nelle riscritture degli scrittori che sono venuti dopo di lui o nelle creazioni in altre forme espressive, nella musica ad esempio, nella canzone d’autore, nella musica elettronica. La sua voce ricompare nei reading di poeti, narratori e attori.


In occasione della rassegna di iniziative pavesiane Con gli occhi di Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo,  22, 23, 24 luglio e 5 agosto) doppiozero ripercorre alcune tracce di questo effetto Pavese, di questa strana corrente magnetica che attraversa le generazioni e sedimenta un senso di appartenenza ad un mondo spesso solo immaginato ma forse proprio per questo più vero di quello reale.

 

ALLA SORELLA MARIA, TORINO

[Brancaleone,] 2 marzo [1936]

 

 

Cara Maria,

Quando un uomo invece di scrivere poesie, scrive lettere, è finito.

Brutta cosa, la memoria.

Metto fuori il naso alla sera, e vedo Orione, bello limpido, che mi ricorda un libro letto in altri tempi.

Respiro l’odore di linfa, alla finestra, e mi ricordo quando andavo a fare scuola a Corradino in fondo a via Nizza due anni fa.

Passa il treno e mi viene in mente domani mattina, che ne correrà uno alle quattro attraverso la pineta di Viareggio.

Guardo le montagne in distanza e tremo dal freddo, ripensando al Natale di Cheneil (tre giorni allora - ora tre anni).

Mi spoglio per andare a letto e compiango il mio nudo, così giovanilmente bello e così solo.

Esco al mattino presto, appena è consentito, e mi ricordo quando andavo all’alba al caffè, aspettando e fumando la pipa.

Leggo sulla «Gazzetta del Popolo» i cinema di Torino e immagino chi assiste ai film, allo Statuto, all’Alpi, all’Ideal.

Guardo per dei quarti d’ora su un testo di geografia una veduta del Gran Paradiso.

Mi tocco il neo sulla guancia per convincermi di essere proprio io.

Canterello «Carogna carogna».

Rivedo i tempi in cui traducevo “la Balena Bianca” e tutto era ancora da avvenire.

Ripenso a quando mi permettevo di non dormire una notte per un po’ di gelosia - osavo darle questo nome - e non sapevo quale morso da affamato, da squalo, da cancro abbia la lontananza.

Racconto la rabbia contro i terzi che volevano venire con me in barca in Po e rimpiango la mia passata infelicità.

Mi trovo troppo stupido ad aver creduto in passato che l’isolamento individuale, anche di un attimo, fosse la felicità.

Tutto il giorno ripasso queste litanie e altre infinite.

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